Gabriel Kahane, l’America in una tazza di caffè | Rolling Stone Italia
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Gabriel Kahane, l’America in una tazza di caffè

Ode a ‘Magnificent Bird’, un album nato dopo un anno offline. Ode a un cantautore di culto che racconta storie apparentemente insignificanti dentro le quale riesce a far stare il mondo intero

Gabriel Kahane, l’America in una tazza di caffè

Gabriel Kahane

Foto: Jason Quigley

Sembra di stare in un’altra dimensione e invece è solo la cucina di casa. Sta per albeggiare e l’uomo vaga come un zombie. Prende il bollitore e il filtro, prepara il caffè. Raccoglie il giornale che il ragazzo ha lasciato sulla soglia, legge d’un Paese sull’orlo della guerra civile. La moglie e la figlia dormono serenamente. I primi raggi di sole filtrano dalla finestra. Lui guarda il fondo della tazza e gli pare di vedere una mappa dell’Ohio, gli sembra d’intravedere il disegno delle sue paure.

In un’altra canzone telefona a Linda e Stuart, due anziani che vivono nell’Upper East Side. C’è il Covid, i due stanno chiusi nel loro appartamento tra la 79esima e Madison, i fattorini bussano due volte, lasciano la spesa dietro la porta e se ne vanno. Il protagonista è rimasto bloccato a Portland con la famiglia e non può tornare a casa. E allora chiama Linda e le chiede scherzando quanto sono disperati lei e Stuart. La donna risponde che ogni mese passato chiusi in casa è un mese da sottrarre alla magra contabilità di vita che resta. Improvvisamente i suoi dolori gli sembrano banali e gli sale una nostalgia acuta di New York, delle sue sirene, del freak show abbagliante della città.

In un altro pezzo l’uomo è sotto il porticato di casa, seduto su una seggiola color ciliegia ridicolmente piccola. Guarda il cielo d’un viola pennarello e pensa alla pioggia, la prima dell’inverno, che è arrivata finalmente dopo gli incendi che hanno devastato l’Oregon. Dall’altra parte della strada un uomo in impermeabile rosa porta in giro il cane, il rumore d’un treno giunge da lontano, da qualche parte in città si caricano e scaricano merci.

È il segno di Magnificent Bird. Nel nuovo album dell’americano Gabriel Kahane piccole storie piene di dettagli s’intrecciano al destino della nazione o almeno d’una parte di essa. Tutto è raccontato col tono carezzevole e contemplativo di Kahane, con una voce a metà strada fra Sufjan Stevens e Paul Simon. Gli arrangiamenti sono meravigliosamente misurati, qualcosa che sta a metà strada fra la canzone d’autore e la musica da camera. C’è un’aria malinconica che non diventa mai strazio. Magari stiamo morendo tutti per il Covid, per gli incendi, per la guerra, per chissà cos’altro, ma se non altro la colonna sonora è perfetta.

Gabriel Kahane - Sit Shiva (Official Video)

È una storia che inizia a fine novembre 2019, quando Gabriel Kahane ha pubblicato uno strano post: «Scrivetemi una cartolina». Intendeva di carta, di quelle che non usano più. C’era pure l’indirizzo di una casella postale di Brooklyn. Stava dando il via a un esperimento: per un anno sarebbe stato lontano da Internet. Voleva liberarsi dalla dipendenza digitale, essere costretto a parlare con la gente, mischiarsi di più col mondo. Che ironia: di mezzo c’è stato il Covid, era andato con la famiglia a Portland e lì è dovuto restare a rimuginare un po’ più da lontano sull’esistenza e i suoi traffici, a immaginare le luci di New York, a osservare i vicini di casa, soprattutto a pensare alla propria vita emotiva e prendere appunti su un taccuino. Per un anno, insomma, s’è staccato da Internet (in modo non radicale s’intende, è pur sempre musicista e Creative Chair dell’Oregon Symphony e molte altre cose). L’ha fatto un po’ perché convinto che alteri la nostra percezione, un po’ in reazione all’odiato capitalismo della sorveglianza, un po’ per vedere che cosa sarebbe accaduto.

Kahane è uno a cui piace vedere cosa accade per poi scriverci su. Sei anni fa ha attraversato l’America in treno, 14 mila chilometri, due settimane senza smartphone. Ci ha fatto su un disco titolato Book of Travelers, una delizia. Quello era un viaggio fuori, nel mondo. Magnificent Bird è un viaggio dentro. Alla fine del periodo offline Kahane s’è messo in testa di scrivere una canzone al giorno, per un mese. L’ha fatto e le migliori, quelle che stavano bene assieme, le ha messe in questi 27 minuti che fermano il tempo, in queste 10 canzoni che parlano di cose piccole senza farle sembrare insignificanti e che in fin dei conti, forse per le circostanze in cui è nato, forse per il desiderio frustrato di incontrare gente, esprime il nostro bisogno di sentirci parte di una famiglia, di una comunità, di una nazione, di qualcosa.

Gabriel Kahane - To Be American (Official Video)

Non c’è niente di clamoroso, d’appariscente, d’ipercontemporaneo in Magnificent Bird. Kahane ha 40 anni, è un cantautore vecchio stampo e colto. È anche un musicista vero e quindi sa scegliere i collaboratori, dal grande mandolinista Chris Thile alla cantante, musicista, compositrice e premio Pulitzer Caroline Shaw, tutta gente con cui ha collaborato a distanza usando quella stessa rete che per un anno ha cercato d’evitare. Non c’è una nota sbagliata o di troppo in quest’album dove Kahane mette in una canzone, quella che gli dà il titolo, l’invidia che prova per un’artista incensata dalla stampa oppure racconta nel finale del dolore per la morte attraverso gli occhi della madre o poco prima dei sogni tormentati che fa. “This is the new age of anxiety”, canta a un certo punto, il tono è quello. Non ci sono grandi proclami, niente scorciatoie per farci eccitare o piangere, anche la malinconia è tenuta a bada e cullata da canzoni dal registro colloquiale.

Dopo aver ascoltato il disco capita di scorrere i crediti per vedere chi ci ha suonato, chi l’ha prodotto, chi c’è dietro a tanta misurata bellezza. Ci s’imbatte nella dedica a Stuart Nelson con gli anni di nascita e di morte, 1931 e 2021. E si capisce che è lui, è l’uomo di Linda & Stuart, è uno dei due anziani chiusi in casa a New York. Viene in mente quel che Linda dice a Gabriel al telefono, che alla sua veneranda età sta prendendo lezioni per scrivere racconti brevi e lui le dice giusto, brava, bisogna pur trovare un modo per dare un senso al mondo. Vengono mente le parole della donna sul “poco tempo che c’è rimasto su questa biglia rotante”. E a quel punto un po’ di magone viene.

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