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‘Framing Britney Spears’: a rovinarle la vita siamo stati noi

Il nuovo documentario del NY Times mette insieme tutti i pezzi della vicenda 'Free Britney', ma racconta soprattutto la storia di una donna che ha pagato sulla sua pelle l’ossessione dei media

Foto: Chris Polk/FilmMagic

Do you want a piece of me? cantava Britney Spears qualche anno fa. Beh, la risposta è sì. Tutti vogliono, o meglio hanno voluto, un pezzo di Britney. E a furia di togliere pezzi, si sa, rimane poco. È un po’ questa la sensazione di fondo che si prova dopo aver visto Framing Britney Spears, nuovo documentario sulla popstar firmato NY Times. Un lungometraggio che promette di fare chiarezza su tutte le storie che negli ultimi mesi si sentono sulla cantante, concentrandosi in particolare sul movimento Free Britney e sulla ormai famosa questione conservatorship, la tutela legale che ha reso il padre Jamie burattinaio della vita della popstar, dagli aspetti più privati a quelli, chiaramente, economici. Ma prima di arrivare alle questioni legali e alle testimonianze dei fan, Framing Britney Spears cerca soprattutto di far capire allo spettatore il fenomeno Britney, cosa ha rappresentato per i media americani e perché la sua storia è diversa da tutte le altre.

Per questo si parte da un paesino della Louisiana, Kentwood, nel cuore della Bible Belt. Al centro una storia americana di provincia, come tante, fatta di concorsi e di genitori che sperano nel colpaccio (che arriva): prima il Mickey Mouse Club, poi un contratto discografico. Il resto lo sappiamo. Britney diventa un fenomeno mondiale, col primo disco che vende più di 20 milioni di copie. Ma non solo, Britney è Miss American Dream: bella, simpatica, sexy. «In un mercato di sole boyband, Britney è stata la prima a raggiungere quei risultati», dice la sua ex discografica. Nel giro di poche settimane passa dai centri commerciali – sì, inizialmente si esibiva lì – a MTV, a Times Square piena zeppa di fan che gridano il suo nome. Un successo enorme, devastante, che però inizia a portare con sé gli effetti collaterali.

Come quello che succede alla fine della sua relazione con Justin Timberlake, tra i primi momenti del documentario a mettere in risalto il ruolo che i media hanno in tutta questa faccenda. L’opinione pubblica è tutta contro Britney: «l’ha tradito!», ma pure «cosa hai fatto a Justin per farlo soffrire così?», le chiede un intervistatore in diretta tv, mentre lei è visibilmente imbarazzata. Inizia forse così la rottura di Britney col sistema e con un tipo di narrazione misogina e figlia della tabloid culture e che non le perdonerà nulla.

«Sei una pessima madre, Britney?», le chiederanno pochi anni dopo, sempre in televisione. E via così fino a quando il suo breakdown diventa di dominio pubblico, tra tagli di capelli e ombrellate alla macchina dei paparazzi. Si parla poco di salute mentale ora, figuratevi 15 anni fa. All’epoca si diventava una domanda nei quiz: «Cosa ha perso Britney? I capelli!» risponde una concorrente di uno show andato in onda sulla tv statunitense. «La brocca!», risponde l’altra. E giù a ridere.

E il fulcro di Framing Britney è tutto qui: niente nuove rivelazioni o scoop. È un documentario utile a chi, di questa storia, ci ha sempre capito poco. Ci sono le testimonianze degli ex collaboratori, dei suoi ballerini, di legali e persone a lei vicine, per la prima volta tutte insieme. Nessun nuovo intervento della famiglia, purtroppo. Pare non abbiano accettato l’invito.

Negli ultimi mesi intanto, le cose stanno cambiando. Mentre Britney comunica col mondo solo attraverso coreografie su Insta, i suoi avvocati si stanno muovendo per far sì che la tutela del padre sia rimossa a favore di una società esterna. Nell’attesa di sapere che ne sarà, siamo sicuri che questo nuovo documentario farà grande chiasso online.

Framing Britney Spears racconta le spaccature familiari che vengono fuori quando c’è una grande torta da dividere, ma soprattutto racconta di una donna che è stata l’ossessione dei media per anni, e che ne ha pagato in salute. «Sono sicura che Britney dirà come stanno le cose, un giorno. Racconterà la sua versione», dice Felicia Culotta, sua assistente personale per un lungo periodo. Sarebbe stato bello che qualcuno avesse parlato ora, aggiungiamo noi.

Tra i momenti migliori l’intervento del regista Michael Moore, estratto da un’intervista da Larry King, anno 2008. Sullo schermo le immagini di Britney che esce dalla clinica, dietro di lei decine e decine di paparazzi che fanno cliccare le macchine fotografiche come mitra. «Ma perché non la lasciano stare?».

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