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Elio e le Storie Tese e ‘La terra dei cachi’: i 25 anni del Sanremo più folle di sempre

Esibizioni memorabili, conferenze stampa nonsense, il mistero del riconteggio dei voti e una canzone assurda: storia di una band che sognava l’ultimo posto e che invece ha rivoluzionato il festival

Foto: Rino Petrosino/Mondadori via Getty Images

Sono passati 25 anni da quel Sanremo. Era il 1996: l’Italia intera scoprì di essere la terra dei cachi e consacrò il successo, non solo di nicchia, di una rock band di musicisti virtuosi, le cui canzoni avevano testi complessi, comici, spiazzanti e talvolta sconsigliati ai minori che rispondeva al nome oggi familiare di Elio e le Storie Tese.

Quando nel 1989 avevano pubblicato il primo album, gli Elio e le Storie Tese a Milano erano già una band di culto, l’album Elio Samaga Hukapan Kariyana Turu un cult immediato. Quando nel 1992 esce Italyan, Rum Casusu Çikti, preceduto dal singolo Pipppero, tutta l’Italia under 25 conosce il loro repertorio, spesso a memoria. Eredi diretti di esperienze come il rock demenziale degli Skiantos, che omaggiano nel loro stesso nome («storie tese» è una citazione delle «storie pese» della hit dei bolognesi Eptadone), sommano alla forza del comico la loro conoscenza della memoria collettiva e della cultura popolare, e soprattutto alla potenza della loro musica. C’è chi li paragona a Frank Zappa e chi li definisce già «la più grande rock band italiana».

Quando nella lista dei Campioni del Festival 1996 appare il loro nome, commentatori e i fan mostrano soddisfazione, ma anche timore: riusciranno a portare in gara un motivo all’altezza della loro fama di dissacratori guadagnando l’applauso del pubblico del Teatro Ariston, affezionato alla tradizione e al bel canto? Sono gli anni di Pippo Baudo direttore artistico: da plenipotenziario del Festival, a volte Pippo ascolta le canzoni, talvolta suggerisce aggiustamenti, in casi particolari dirama inviti ad personam fidandosi della creatività degli artisti. Gli Elii ricadono in questa ultima fattispecie: quando sa che faranno Sanremo, la band raccoglie la sfida provando – racconteranno loro stessi – a scrivere la canzone più brutta possibile, un calderone dove buttano dentro di tutto, in una mescolanza di generi e di contenuti apparentemente senza senso.

Il risultato finale, non certo per caso, ma per genio o per lucida costruzione in laboratorio, arriva però a rasentare il sublime. «Vogliamo arrivare ultimi», dichiarano in una conferenza stampa che è da sola uno spettacolo fuori programma, poi si correggono non senza rinunciare al loro nonsense: «puntiamo al quarto posto». Infine, ammettono: «vogliamo vincere, ma solo per rappresentare l’Italia all’Eurofestival». L’Eurovision Song Contest è una manifestazione negletta dalla Rai, e anche se oggi è tornata a popolare, un riferimento alla competizione europea suona bizzarro ed esotico. Nessuno sospetta che a vincere il Festival andranno vicinissimi.

La prima esibizione spazza via i timori dei fan: gli Elio e le Storie Tese riescono a rispettare tutte le regole del Festival e allo stesso tempo a portare sul palco una rivoluzione concettuale che poche volte si era vista in precedenza in 46 edizioni. La loro si rivela una canzone complessa anche se costruita in modo da sembrare semplice, parodiando e evocando diversi generi della storia della musica leggera, dal melodramma al ballabile, dal rock alla tarantella, fino al finale a tempo di charleston. Al pubblico regalano onomatopee derivate dai fumetti («Italia bum», «Italia prot», «Italia gnam»), un ritornello orecchiabile e – come loro stessi raccontano sul palco – «facile da fischiettare»: preceduta da un conto alla rovescia del maestro Peppe Vessicchio, «pronti, partenza, via!», è l’unica canzone in gara che «per non fare annoiare gli orchestrali» come spiegarono loro stessi, impiega tutti gli strumenti dell’orchestra, incluso il gong. «Il suonatore di corno inglese non suonava dal 1968», racconterà il tastierista della band Rocco Tanica.

Anche le esibizioni sceniche rompono le tradizioni, spezzano le liturgie e ignorano le scaramanzie. I sei vanno in scena vestiti di diverse nuance del colore viola, notoriamente evitato dalla gente di spettacolo per antica tradizione. Elio si presenta sul palco con un braccio finto tenuto disinvoltamente in tasca, e quando venerdì 23 febbraio si svolge la finale delle Nuove proposte, e i Campioni devono proporre al pubblico una versione di appena minuto della canzone che portano in gara, gli Elii, invece di replicare il solo refrain, presentano La terra dei cachi raddoppiando il tempo della canzone, che dura così, cronometro alla mano, appena 55 secondi. Un’esecuzione irrituale e insieme difficilissima che contribuisce a consolidare la loro vittoria del premio della critica e del premio speciale della Giuria di Qualità per il miglior arrangiamento.

La terra dei cachi degli Elii è l’Italia, Paese in cui convivono spensieratezza e inquietudini, drammi sociali e serenità, luoghi comuni, indignazione, paure e voglia di distrazione. Elio e le Storie Tese riescono a mettere insieme tutti questi temi, dagli scandali dell’edilizia alla microcriminalità, dal sangue infetto nelle corsie degli ospedali, dal pizzo alla mancata verità sulle stragi, fino alla violenza degli stadi. L’Italia degli Elii, alla fine, però, si chiede «se famo du spaghi» e ritrova la felicità a tavola, davanti a «una pizza in compagnia», non senza l’aiuto del carattere nazionale e dell’innato fatalismo, «perché la terra dei cachi è la terra dei cachi».

Partiti come outsider, gli Elio e le Storie tese, complice un campione di giurati quell’anno sensibilmente più giovane del solito, si ritrovano in testa dall’inizio del festival fino all’apertura del sipario e solo l’ultimo round di votazioni assegna per un’inezia il trofeo a Vorrei incontrarti fra cent’anni di Ron, che si avvale della partecipazione speciale, seppur non accreditata, di Tosca. La terra dei cachi cambia la storia di Sanremo, ma non riesce ad entrare nell’albo d’oro del Festival della Canzone Italiana.

Il singolo in vendita è diverso da quello eseguito a Sanremo ed è cantato insieme all’orchestra di Raoul Casadei, mentre la versione da studio è inclusa nell’album Eat the Phikis insieme allo special di un minuto eseguito nella quarta serata, ribattezzato citando Battisti Neanche un minuto di non caco. L’album raggiunge il primo posto in classifica, miglior successo dell’intera edizione.

Il dopo Sanremo vede però delle sorprese. Il pubblico ministero milanese Giovanna Ichino invia i carabinieri nella sede della società Explorer. Il magistrato aveva aperto un’inchiesta in seguito alle denunce ricevute nel 1995 da alcuni cantanti esclusi e voleva conoscere procedure e modalità di calcolo dei punteggi del Festival. Nessun addebito viene sollevato a carico dei vertici del servizio pubblico e l’inchiesta è rapidamente archiviata. Tuttavia, un controllo incidentale sui risultati del 1996, secondo il riconteggio operato dai carabinieri, tra errori materiali e voti non contati (sembra che il risultato della sede Rai di Bolzano non siano stati presi in considerazione), rivela inesattezze di portata tale da fare dubitare sull’attendibilità della classifica finale. Con alta probabilità, una conta più accurata dei voti avrebbe potuto davvero regalare al Sanremo 1996 un finale sorprendente e per certi versi inedito nella storia del Festival.

È sicuro di come sarebbe andata, ma si tiene lontano dalle polemiche Rocco Tanica in un’intervista: «per un ritardo nel collegamento con la giuria demoscopica di Bolzano non vennero conteggiati i voti di quella provincia con i quali avremmo vinto», ma da vincitore morale, rende omaggio al vincitore vero: «ha vinto comunque una splendida canzone di uno dei migliori autori italiani. Molto onore arrivare secondi dietro Ron». La vittoria di Ron, affiancato da una Tosca sempre all’altezza e con una bella canzone apice di una carriera pop, fu una conclusione rassicurante per gli autori: i Sanremo pensati da Pippo Baudo potevano avere conclusioni inattese, certamente, ma non troppo.

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