Come ‘Bringing It All Back Home’ di Bob Dylan ha sconvolto il mondo | Rolling Stone Italia
Musica

Come ‘Bringing It All Back Home’ di Bob Dylan ha sconvolto il mondo

Nel 1965, con un solo grande disco His Bobness ha inventato il folk-rock e ha cambiato la percezione di quel che si poteva dire nelle canzoni, e di come lo si poteva dire

Come ‘Bringing It All Back Home’ di Bob Dylan ha sconvolto il mondo

Foto: Local World/REX/Shutterstock

Quando è entrato nello studio di registrazione della Columbia Records nel gennaio 1965 e in tre giorni ha tirato fuori un disco di 11 brani, Bob Dylan non ha soltanto inventato il folk-rock e non si è solo trasformato da cantautore acustico a musicista rock. Ha anche cambiato completamente il modo in cui la musica pop comunicava – non solo quello che poteva dire, ma anche come lo poteva dire. “Molte persone dicono che sono un poeta”, scriveva sul retro copertina del disco. Era pronto a sfidare i limiti di ciò che quella parola significava, a ricalibrarsi tramite un singolo momento rivoluzionario. Il simbolo del rifugio antiatomico sulla copertina lo spiegava bene: Bringing It All Back Home era l’equivalente culturale di una bomba nucleare.

“La forza di Bringing It All Back Home erano le sue parole”, dice David Crosby. “È con quelle che Bob ha sconvolto il mondo. Fino ad allora era tutto un ‘oooh, baby’ e un ‘ti amo’. Bob ha cambiato le cose. Ci ha dato dei testi davvero belli”.

Come ha scritto Dylan nella sua autobiografia Chronicles, “non ho fatto altro che prendere il folk e metterci dentro un nuovo immaginario e una nuova attitudine, usare frasi a effetto e metafore combinate con tutta una serie di cose che si sono evolute in modo diverso da quello che si sentiva prima”.

Dyaln stava pensando da un po’ al suo successivo stadio artistico, almeno dal 1964, quando era rimasto folgorato ascoltando alla radio I Want to Hold Your Hand dei Beatles. “Facevano cose che non faceva nessuno”, ha detto. “Gli accordi erano scandali, semplicemente scandali, e le melodie li rendevano perfetti. Una cosa del genere la potevi fare solo con altri musicisti”.

Il 13 gennaio 1965, il primo giorno di session dell’album, Dylan aveva registrato da solo e in modo completamente acustico, come al solito, con chitarra, armonica a bocca e pianoforte. C’era chi pensava che l’idea fosse quella di incidere dei demo. Ma Dylan stava chiaramente provando quale fosse l’approccio migliore per ogni canzone. Aveva l’istinto di uno squalo. Subterranean Homesick BluesBob Dylan’s 115th DreamLove Minus Zero/No LimitOn the Road Again e una variante di Outlaw Blues sono state registrate tutte quel primo giorno in versioni poi pubblicate. Nel corso delle successive 48 ore, tutti questi brani sarebbero stati ri-registrati in versione elettrica per l’uscita definitiva.

Nella prima session c’erano anche It’s All Over Now, Baby Blue I’ll Keep It With Mine. Quest’ultima, che non è stata inclusa nel disco, a quanto pare era stata scritta per Nico, l’attrice e cantante tedesca che, prima di venire reclutata dai Velvet Underground, aveva passato del tempo con Dylan in Grecia (Nico avrebbe poi registrato la canzone per il suo primo disco solista, mentre le versioni di Dylan sarebbero comparse solo più tardi). Il fatto che uno dei suoi pezzi migliori fosse finito fra gli scarti è un segno dell’incendio che Dylan stava appiccando. Il giorno seguente, il 14 gennaio, il produttore Tom Wilson aveva messo insieme un gruppo di musicisti per portare le cose al livello successivo. C’erano il bassista Bill Lee (il padre del regista Spike Lee), che aveva suonato su The Freewheelin’ Bob Dylan, il batterista Bobby Gregg, il pianista Paul Griffin e il polistrumentista Bruce Langhorne che era anche il proprietario dell’enorme tamburello mediorientale che ha ispirato Mr. Tambourine Man, anche se nella canzone lui ha suonato la chitarra elettrica.

Un mese prima, Wilson aveva cercato senza successo di sovrapporre un tappeto sonoro rock a tre canzoni di Dylan, compresa la sua versione di The House of the Rising Sun. Questa tecnica avrebbe più tardi creato una hit da primo posto, quando l’anno dopo Wilson avrebbe aggiunto batterie e tastiere a The Sound of Silence di Simon & Garfunkel. Dylan trovava più funzionale suonare con una band e man mano che la session andava avanti le canzoni venivano fuori molto rapidamente. Come ha ricordato più tardi Daniel Kramer, che ha scattato la foto che poi sarebbe diventata la copertina di Bringing It All Back Home, “la maggior parte delle canzoni era venuta fuori velocemente, in tre o quattro take. Il suo metodo di lavoro, il fatto che sapesse esattamente quello che voleva, facevano andare le cose lisce”. 

La crescita di Dylan come autore di testi è evidente soprattutto in Mr. Tambourine Man e in It’s Alright, Ma (I’m Only Bleeding). In entrambi i brani il flusso verbale esplode in brandelli di immagini deliranti e astratte. Inclusa nel secondo lato dell’LP, Mr. Tambourine Man era stata probabilmente la prima canzone composta per il disco; scritta in parte a New Orleans, Dylan l’aveva già suonata nel maggio precedente durante un concerto al Royal Festival Hall.

Bob Dylan; Bringing it all back home

It’s Alright Ma, una critica alla degenerazione culturale, era invece già stata suonata l’ottobre precedente a Philadelphia. Dylan afferma che entrambi i brani erano stati profondamente influenzati dal blues di Robert Johnson e da Pirate Jenny di Bertold Brecht e Kurt Weill – un disco di brani di Brecht e Weill e un LP di Johnson compaiono tra i dischi nella stanza di Dylan nella foto in copertina dell’album. It’s Alright, Ma è probabilmente la migliore e più cupa canzone politica scritta da Dylan, nonché una delle sue ultime. L’aveva scritta a Woodstock, New York, nell’estate del 1964 mentre a casa sua stava ospitando altri pesi massimi della scena folk come Joan Baez, Richard e Mimi Farina. In studio, Dylan sapeva che per registrarla non gli serviva altro che voce e chitarra acustica e gli era uscita fuori velocemente. Non aveva mai tirato fuori la sua rabbia e qui prendeva di mira il consumismo – “everything from toy guns that spark / To flesh-colored Christs that glow in the dark” – oltre che la pubblicità, la propaganda, i preti, gli insegnanti, i partiti politici, i funzionari, i soldi, le vecchie moraliste che giudicano e il presidente degli Stati Uniti. Eppure, non era una geremiade, non puntava il dito. Era il passaggio di Dylan dalla scrittura politica che l’aveva reso un profeta generazionale a un punto di vista più vasto e più rassegnato. “There is no sense in trying … it’s life, and life only”.


Ma se la visione pulita del folk-rock dei 
Byrds avrebbe lanciato un sottogenere perfetto per le radio, Dylan aveva ambizioni molto più grandi. Il blues elettrico di Subterranean Homesick Blues – che prende in prestito qualcosa da Too Much Monkey Business di Chuck Berry e dai “brani scat degli anni ’40” come ammette Dylan stesso – avrebbe aperto il disco con una botta di swag R&B e una cascata di versi. Sarebbe stata una linea di demarcazione netta (“Il primo brano rap della storia”, afferma Glover). Ma quello sarebbe stato solo l’inizio. She Belongs to MeLove Minus Zero/No Limit  sono due pezzi d’amore molto intimi; Bob Dylan’s 115th Dream On the Road Again sono liricamente divertenti; Outlaw Blues è un blues grezzo con un tocco autobiografico. “Ha avuto un sacco di coraggio”, afferma Kenny Rankin, chitarrista che ha suonato nel disco. “Per Dylan era tanto già prendere in mano una chitarra elettrica”.
 
L’ultimo giorno delle registrazioni, Dylan e in musicisti erano in stato di grazia. Avevano tirato fuori Maggie’s Farm, un inno rock di protesta, in una solo take, e Dylan aveva fatto lo stesso, da solo, con Gates of Eden, un pezzo insieme emozionante e indecifrabile. “Non so nemmeno dire di cosa parli quel brano”, dice Glover, “ma mi piace come suona”.
 
Dylan aveva anche fatto le ultime take di Mr. Tambourine ManIt’s Alright, Ma It’s All Over Now, Baby Blue, uno dei pezzi d’addio più toccanti mai registrati e forse anche uno tra i brani più belli di Dylan. Baby Blue parla di un addio a un amante, ma è anche un addio al pubblico originario di Dylan. È un pezzo acustico, con solo chitarra e armonica, eccetto la bellissima melodia di sottofondo suonata col basso elettrico da Bill Lee. Ma il cuore del brano è rock’n’roll. “Mi sono portato quella canzone nella testa per un sacco di tempo”, ha detto Dylan, “quando la stavo scrivendo, mi faceva venire in mente un brano di Gene Vincent. Ovviamente la mia parlava di un’altra Baby Blue”. Risultato: un altro classico, che sarebbe stato interpetato da Grateful Dead, Van Morrison, Bryan Ferry e altri.
 
Decenni dopo, nel suo Chronicles, Dylan avrebbe riflettuto su Gates of Eden e gli altri brani di quel periodo. “Sono stati scritti in circostanze diverse, e le circostanze non si ripetono mai uguali. Almeno, non esattamente. Non potrei più scrivere quel tipo di canzone. Per farlo, devi avere il potere e il dominio sullo spirito. Ce l’ho fatta una volta, ed è stato già tanto”.

Altre notizie su:  Bob Dylan