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Tutti i dischi di Rory Gallagher, dal peggiore al migliore

Undici album per riscoprire un musicista di culto rimasto ai margini della storia del rock. Amato da Hendrix, non è entrato per un soffio negli Stones ed è sempre rimasto fedele al linguaggio del rock-blues

Foto: Fin Costello/Redferns

Pochi musicisti hanno suscitato un culto e una venerazione come quelli nei confronti di Rory Gallagher. Con la sua chitarra (la scrostatissima Fender Stratocaster Sunburst), che suonava con una classe e tecnica impareggiabili, e la carica dei concerti (è passato alla storia soprattutto per il live leggendario Irish Tour del ‘74), Gallagher ha guadagnato un posto nella storia del rock. Considerato uno dei più grandi interpreti del rock-blues bianco, il cantante e chitarrista irlandese è stato fonte di ispirazione per generazioni di musicisti, grazie a uno stile chitarristico passionale e viscerale, capace di spaziare dal blues all’hard rock, dal country al rock’n’roll, dal folk al jazz.

Schivo e riservato di carattere, fu poco incline ai compromessi commerciali (rifiutò pure la proposta dei Rolling Stones di subentrare a Mick Taylor) e per questo, forse, il suo talento non è stato pienamente riconosciuto. Il suo nome è rimasto quindi confinato nella ristretta cerchia dei personaggi di culto. Eppure è arrivato a vendere oltre 30 milioni di copie dei suoi dischi e leggenda vuole che quando chiesero a Jimi Hendrix cosa si prova ad essere il più grande chitarrista del mondo, lui rispose «Non saprei, chiedetelo a Rory Gallagher».

Appassionato al blues di Muddy Waters, B.B. King e John Lee Hooker, ma anche al rock’n’roll di Elvis Presley, Chuck Berry e Jerry Lee Lewis, non aveva altri interessi al di fuori della musica: l’unica cosa che contava per lui era suonare dal vivo, ma soprattutto il contatto diretto con il pubblico (per questo amava definirsi «chitarrista per il popolo»), con cui instaurava un’empatia totalizzante.

La sua carriera si divide tra l’avventura nella seconda metà degli anni ’60 con i Taste (potente trio rock-blues, protagonista di una storica esibizione al Festival dell’Isola di Wight, immortalata in Live at the Isle of Wight) e i dischi solisti (di cui 11 album in studio). Volendo semplificare, la carriera artistica di Gallagher solista si può dividere in tre fasi: il rock-blues primordiale degli esordi (dal debutto fino a Tattoo), quella hard rock (da Calling Card a Top Priority) e il ritorno alle radici blues (con Defender e Fresh Evidence). Non essendoci neanche un album che sia brutto o poco ispirato, la classifica che leggerete è relativa a una discografia di livello tra il buono e l’eccelso e, a questo punto, scegliere un album piuttosto che un altro diventa anche una questione di gusti personali. La verità è che non ci si stanca mai di ascoltare Rory Gallagher e ad ogni nuovo ascolto è sempre una continua scoperta.

11

Fresh Evidence

1990

 

Ultimo album in studio di Rory Gallagher, in linea con un rock-blues abbastanza classico, ma con un suono insolito rispetto ai lavori precedenti: come da lui stesso dichiarato, ha cercato di ottenere un suono “vintage”, “etnico”, ricorrendo a una strumentazione tradizionale (armonica, fisarmonica, tastiere, sax e tromba) e a una registrazione analogica. I brani dimostrano il suo amore per il blues di artisti come Robert Johnson e Slim Harpo, ma anche per altri generi come lo zydeco (omaggiato in King of Zydeco). Il disco risente fortemente dello stato di salute del musicista ed esplora tematiche come la sofferenza, la morte e la lotta contro forze soverchianti. Prima di andarsene per sempre, il chitarrista ha lasciato ai suoi fan nuovi classici come Kid Gloves (una delle tante canzoni ispirate dalla sua passione per la narrativa poliziesca e i film noir), la travolgente Slumming Angel e l’acustica Ghost Blues, la canzone dell’album preferita da Gallagher, un ipnotico blues ispirato da “Reverend” Robert Wilkins.

10

Defender

1987

Abbandonata la vecchia casa discografica (la Chrysalis) per gestire tutto in piena autonomia e libertà artistica, Gallagher mette in piedi un’etichetta in proprio, la Capo Records, e pubblica un album più classicamente rock-blues rispetto ai precedenti. Un ottimo disco viziato da una pulizia sonora eccessiva, dovuta a un perfezionismo maniacale in fase di produzione. Non mancano, comunque, brani memorabili come Loanshark Blues, l’arrembrante rock-blues di Continental Op, l’energico hard rock di Road to Hell, il vibrante rock’n’roll di Doing Time e una possente cover di Sonny Boy Williamson (Don’t Start Me Talkin’).

9

Jinx

1982

Jinx (letteralmente “malocchio”, a indicare lo stato di frustrazione personale e professionale vissuto da Gallagher in quel periodo) è un lavoro all’insegna di un solido rock-blues, che recupera il feeling rhythm and blues perduto e nel quale si affievolisce la vena hard rock di dischi come Photo-Finish e Top Priority. Un altro ottimo album di Gallagher, con alcuni brani particolarmente efficaci, come il trascinante rock’n’roll di The Devil Made Me Do It (un omaggio agli idoli Buddy Holly e Eddie Cochran), la struggente ballata Easy Come, Easy Go, con la commovente voce di Rory venata di malinconia, l’esplosivo hard rock di Big Guns e un’elettrizzante cover di Ride on Red, Ride on di Iverson Minter, in arte Louisiana Red.

8

Blueprint

1973

Nel terzo album Blueprint, registrato in sole due settimane, la formazione (con Rod de’Ath al posto di Wilgar Campbell alla batteria e l’immancabile Gerry McAvoy al basso) diventa un quartetto, con l’ingresso alle tastiere di Lou Martin, che amplia lo spettro sonoro. L’impianto rock-blues non è messo in discussione, tuttavia l’apporto determinante delle tastiere porta un’ulteriore maturazione al suono della band, come dimostrano brani quali Walk on Hot Coals, Banker’s Blues e Hands Off. Gli otto minuti di Seventh Son of a Seventh Son si aprono a suggestioni prog e psichedeliche, con i ricami del piano e Gallagher che suona un sassofono in sottofondo.

7

Against the Grain

1975

Già dal titolo Against the Grain è una dichiarazione d’intenti e riflette il rapporto conflittuale di Gallagher con l’industria musicale: lui è sempre andato “controcorrente”, contro i limiti di un mercato alla ricerca di singoli facili e di una musica accessibile dal punto di vista commerciale. La musica di Rory Gallagher non vuole compiacere mode, ma cerca solo di assecondare il feeling e la purezza del blues, come lui stesso ha dichiarato: «Siamo lontani da quel circuito. Abbiamo una nicchia e rimarremo lì». Con questo spirito nascono dieci canzoni, di cui tre riletture di brani altrui, costruite con maggiore cura del dettaglio rispetto al passato. Il disco vira verso sonorità più hard rock e rock’n’roll ed è uno dei più ispirati e riusciti della sua produzione, sebbene figuri tra i suoi lavori meno celebrati: Let Me In ha un dinamismo quasi punk, Souped-Up Ford è un trascinante blues/rock’n’roll, All Around Man (cover di Bo Carter) è un lento blues-rock marchiato a fuoco da una potente chitarra slide e dai martellanti rintocchi del piano, il folk-blues acustico di Out on the Western Plain è una rivisitazione di Lead Belly.

6

Top Priority

1979

Top Priority è sulla stessa linea del precedente Photo-Finish, quindi potente hard rock riletto con lo spirito del blues, senza le ballate e le influenze folk che affioravano in un disco come Calling Card. Il titolo dell’album riflette la pressione che Gallagher spesso avvertiva nel fare musica: dopo un tour di successo negli Stati Uniti, la casa discografica (la Chrysalis) esorta Rory a pubblicare rapidamente un altro album in studio, promettendogli che sarebbe stato la loro “priorità assoluta”. Da qui l’uso di quell’espressione come titolo dell’album. Top Priority mescola senza soluzioni di continuità hard rock, blues, rock blues e rock’n’roll: da segnalare, in particolare, l’iniziale Follow Me, Philby suonata con un raro sitar elettrico Coral preso in prestito a Pete Townshend (la canzone fa riferimento a Kim Philby, agente segreto britannico doppiogiochista, che durante la Guerra fredda lavorava per i sovietici), l’hard rock di Wayward Child e il magnifico rock-blues di Bad Penny, altro classico del suo repertorio, soprattutto dal vivo.

5

Photo-Finish

1978

Con Photo-Finish (e il successivo Top Priority) la formazione torna ad essere un power trio come lo erano i Taste e la sua band iniziale: Gallagher mantiene solo il bassista di lunga data Gerry McAvoy e recluta alla batteria Ted McKenna, riconoscibile per il suo drumming possente. Ne beneficia il suono a livello esecutivo e compositivo, che vira decisamente verso l’hard rock e il rock’n’roll. Inoltre, l’aver assistito a un concerto dei Sex Pistols, da cui il chitarrista rimane conquistato, ha impresso una netta sterzata stilistica. Photo-Finish segna infatti una svolta nella carriera di Gallagher: è un lavoro ad alto tasso energetico, un disco brutale, crudo e diretto, dall’impatto immediato, senza i consueti momenti acustici. Il titolo allude al fatto che il disco è stato consegnato proprio alla scadenza fissata dalla casa discografica e riflette il clima da “buona la prima” vissuto in studio: il chitarrista ha scartato l’album registrato a San Francisco (pubblicato postumo col titolo di Notes from San Francisco), da lui giudicato troppo sofisticato e poco spontaneo, e ha inciso tutto in tempi strettissimi. Tra i brani di punta Shin Kicker, Cruise on Out, un furioso rockabilly, e Shadow Play, diventato un classico del suo repertorio.

4

Calling Card

1976

La ricerca di sonorità più orientate verso l’hard rock porta Gallagher a farsi affiancare alla produzione da Roger Glover, il bassista dei Deep Purple e Rainbow. Si avverte che tra i due c’è sinergia e il lavoro di produzione è molto accurato: l’album acquista una veste professionale, con un’attenzione scrupolosa alla scrittura dei pezzi e alla cura degli arrangiamenti. Calling Card, pur mantenendo un impianto sonoro tipicamente rock-blues, è un disco molto vario ed eclettico, con influenze jazz, soul, folk e country. Tra i brani migliori spiccano Do You Read Me e Secret Agent, con un suono che richiama esplicitamente quello dei Deep Purple, Country Mile, con il suo boogie frenetico e soprattutto l’hard rock intenso e ispirato di Moonchild, uno dei vertici della sua produzione.

3

Rory Gallagher

1971

È il disco che inaugura la carriera solista di Gallagher, dopo aver concluso la sua esperienza con i Taste, potente trio rock-blues sul modello dei Cream e della Jimi Hendrix Experience. Il  debutto da solista attinge alle stesse radici della band di provenienza, quindi rock-blues secco e diretto. Anche l’assetto della band è essenziale (un terzetto con Gerry McAvoy al basso e Wilgar Campbell alla batteria e percussioni) e si avvale della collaborazione del talentuoso pianista Vincent Crane degli Atomic Rooster in due brani (Wave Myself Goodbye e I’m Not Surprised). L’album presenta un impressionante ventaglio espressivo: si passa dalla fulminante e affilata Laundromat in apertura al folk di Just the Smile, un omaggio al revival folk inglese, dalla ballata potente e onirica I Fall Apart alla cavalcata blues di Hands Up, dalla torrida chitarra slide di Sinner Boy alla bellissima ballata For the Last Time e alle reminiscenze country di It’s You. In Can’t Believe It’s True Gallagher suona il sassofono, una dimostrazione dell’influenza che il jazz ha avuto su di lui e della sua ammirazione per artisti come John Coltrane e Eric Dolphy. Stroncato da Lester Bangs come «uno dei più evidenti lavori vuoti della stagione», è in realtà uno dei suoi album migliori e più brillanti.

2

Deuce

1971

Deuce mantiene gli elevati standard qualitativi del debutto, ma segna nello stesso tempo un ulteriore passo avanti in termini di qualità di scrittura e degli arrangiamenti. È sempre la stessa band dell’esordio ed è il suo primo tentativo di catturare in studio l’energia dell’esibizione dal vivo, con una produzione ridotta al minimo. Il disco è un altro grande tributo alle radici blues di Gallagher e alterna graffianti rock blues (Used to Be, Whole Lot of People, In Your Town, la cavalcata finale Crest of a Wave, con un’infuocata chitarra slide), canzoni folk (la bellissima e suggestiva I’m Not Awake Yet), country (Out of My Mind) e country blues (Don’t Know Where I’m Going).

1

Tattoo

1973

Quarto album in studio, senza cover a rimpinguare la scaletta, Tattoo ha un suono più adulto e maturo, più ragionato e meno istintivo rispetto agli esordi, con un leader in pieno fervore creativo. La formazione è la stessa di Blueprint, con il fedelissimo Gerry McAvoy al basso, che sarà a fianco di Gallagher dal primo all’ultimo album. Il disco contiene alcuni tra i classici del suo repertorio, come Tattoo’d Lady, la torrenziale Cradle Rock e l’epica ballata, intrisa di malinconia, A Million Miles Away, destinati a diventare suoi cavalli di battaglia dal vivo. Nella jazzistica They Don’t Make Them Like You Anymore Gallagher suona il bouzouki, in omaggio al musicista greco Manolis Chiotis. Il disco spazia con una versatilità impressionante tra molti generi, dal Delta e Chicago blues al folk, dal jazz al blues rock ed è universalmente riconosciuto come una delle vette della sua produzione, a conti fatti il suo vero capolavoro.

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