Jeff Beck non ha una canzone-manifesto come Jimmy Page o Eric Clapton, ma la grande varietà di stili che ha esplorato nel corso degli anni rispecchia i tanti cambiamenti a cui sono andati incontro il rock e la chitarra. Era uno dei chitarristi più tecnici e “fisici” del rock, sembrava trarre piacere dalla lotta con lo strumento. S’è fatto un nome con la British Invasion, ma non è stato fermo e si è spostato verso il rock-blues che impazzava a fine anni ’60 e nel decennio successivo verso un suono più hard e la fusion. Attorno a lui cambiava tutto, il suo stile rimaneva quello: note taglienti come lame di coltello e allo stesso tempo dal gusto melodico. Questi sono 10 fra i suoi brani più importanti.
I due più grandi riff di chitarra fuzz del 1965 sono stati incisi a poche settimane l’uno dall’altro. Jeff Beck è stato il primo. Qui la sua chitarra, che imita un sitar, diventa manifesto d’un decennio, prima che Keith Richards pestasse il suo pedale del fuzz per (I Can’t Get No) Satisfaction. Nell’assolo, Beck si limita a ripetere la melodia della strofa, una mossa che ha funzionato benissimo anche per Kurt Cobain, 26 anni dopo. (B.H.)
«Dovevi assolutamente conoscere Jeff’s Boogie», ha detto una volta Stevie Ray Vaughan, «ma nessuno sapeva che in realtà si trattava di un pezzo di Chuck Berry: Guitar Boogie». Effettivamente Beck avrebbe dovuto accreditare Berry come co-autore della canzone, ma d’altronde la sua versione, piena com’è di parti avanti sui tempi e armonici metallici, è talmente spinta da risultare irriconoscibile. (B.H.)
Ci sono moltissimi momenti indimenticabili nel film di Antonioni Blow-Up. Uno è la scena in cui il personaggio interpretato da David Hemmings vede gli Yardbirds in un club. Keith Relf canta in modo appassionato con l’accompagnamento di un giovane Jimmy Page, mentre Jeff Beck s’innervosisce per via del suo amplificatore e distrugge la chitarra. «Mi sono incazzato quando Antonioni ha detto che voleva che spaccassi la chitarra», ci ha raccontato nel 1971. «Gli ho detto: aspetta, questa roba la fa Pete Townshend». Ha anche ricordato la prima volta in cui ha visto la pellicola: «Ero imbarazzato: avevo una cazzo di erezione e si vedeva». (A.M.)
Questo breve pezzo strumentale folle e proto prog nasce dal lavoro di un supergruppo epocale formato da Keith Moon degli Who alla batteria, il futuro Led Zeppelin John Paul Jones al basso, il collaboratore dei Rolling Stones Nicky Hopkins al piano e Beck che duella alle chitarre con Jimmy Page, suo compagno di band negli Yardbirds e futura mente dei Led Zeppelin. Parte con Page all’acustica e Beck che tiene la melodia con l’elettrica, per poi decollare verso una psichedelia squillante e un’esplosione rock che è un grande classico. (B.H.)
Al debutto dei Led Zeppelin, alcuni fan (compreso il critico John Mendelsohn, famoso per averli fatti a pezzi su Rolling Stone) li consideravano una brutta copia del Jeff Beck Group. Il motivo lo si capisce riascoltando pezzi come questa potentissima rilettura del classico blues di Willie Dixon, inciso per la prima volta da Howlin’ Wolf, con Beck che piazza una doppia traccia stereo di wah-wah. (B.H.)
Un anno prima che lo facessero i Led Zeppelin, il Jeff Beck Group ha inciso una cover fuzzy di You Shook Me, il classico blues di Willie Dixon, col futuro bassista degli Zep, John Paul Jones, all’organo. «Avevo il terrore che i due pezzi sarebbero stati uguali», ha detto Jimmy Page. «Ma io non sapevo che lui l’aveva incisa e lui non sapeva che l’avevamo fatta anche noi». Prenderemo per buona la versione di Page, per cui il suo bassista non gli avrebbe detto nulla in proposito, ma va aggiunto che la rilettura di Jeff Beck è palesemente superiore. (A.G.)
Risultato d’una jam session con Jeff Beck e Stevie Wonder, Superstition è stata registrata prima da Wonder nella versione inclusa in Talking Book ed è poi diventata la canzone-manifesto del trio (durato pochissimo) formato da Jeff Beck con la sezione ritmica dei Vanilla Fudge, ovvero Carmine Appice e Tim Bogert. È ancora sorprendente ascoltare la parte di clavinet di Wonder suonata dalla chitarra di Beck. (D.B.)
La tecnica di Beck metteva spesso in ombra l’emozione che era in grado di esprimere suonando: l’esempio migliore, nella sua discografia, è la versione strumentale della ballata di Stevie Wonder, tratta da Blow by Blow del 1975. La chitarra ti seduce e, alla fine, piange. (D.B.)
Per un certo periodo a metà anni ’70, Beck s’è reinventato nei panni di musicista fusion, lavorando con il produttore George Martin e a volte col tastierista Jan Hammer. Scritta da quest’ultimo e inclusa nell’album Wired, Blue Wind è una canzone follemente movimentata che ha dimostrato che Beck poteva suonare come qualunque altro grande musicista fusion dell’epoca, ma in modo più duro e furioso. (D.B.)
Quando la formazione originale del Jeff Beck Group si è sciolta nel 1969, Jeff Beck e Rod Stewart hanno preso strade diverse. Si sono ritrovati 16 anni dopo per una cover di People Get Ready di Curtis Mayfield, per l’album Flash di Beck. Nel 2018, Stewart ha detto a Rolling Stone che la sua voce e la chitarra di Beck erano «un’accoppiata divina». Lo si capisce da questa cover che è anche la loro ultima collaborazione in studio. (A.G.)
Tradotto da Rolling Stone US.