Storia del rap a Sanremo, da Mikimix (Caparezza) a Shade | Rolling Stone Italia
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Storia del rap a Sanremo

Da Mikimix (Caparezza) a Shade, passando per Frankie Hi-NRG, i Sottotono, Piotta, Clementino... Tutti i rapper che sono passati sul palco dell'Ariston

Dai Sottotono a Shade, tutti i rapper passati dall'Ariston

Dai Sottotono a Shade, tutti i rapper passati dall'Ariston

Musicalmente parlando, di solito si può contare sul fatto che il nuovo avanzi più o meno ovunque e più o meno rapidamente, TRANNE che a Sanremo, dove è sempre regnato uno spirito conservatore che a tratti puzzava di immobilismo. Mai come nel 2019, però, il Festival della Canzone Italiana sembra voler cambiare le carte in tavola, prediligendo i ritmi urbani alla melodia tradizionale. Su venti concorrenti, ci sono ben quattro rapper: Achille Lauro, Ghemon, Shade e Briga. A loro si aggiungono tre cantanti che provengono dalla scena urban/contemporary R&B: Ultimo (che ha vinto tra le Nuove Proposte nel 2018 ed è prodotto da Honiro, etichetta hip hop indipendente), Mahmood (che ha alle spalle collaborazioni con Fabri Fibra e Gué Pequeno) e, in coppia con Nino D’Angelo, Livio Cori (secondo molti, il nome che si nasconderebbe dietro al cappuccio di LIBERATO). Inoltre: qualche giorno fa Daniele Silvestri ha annunciato che in tutte le serate sarà accompagnato sul palco da Rancore, altro pilastro del rap underground; Mahmood ha svelato che il suo superospite per la serata dei duetti di venerdì sarà Gué Pequeno; quello dei Boomdabash, invece, sarà Rocco Hunt. Insomma, per ora siamo a un totale di dieci rapper e artisti urban sul palco, e il numero potrebbe aumentare, perché non tutti i duetti sono ancora stati annunciati. Se tutto ciò non bastasse, la lista dei produttori delle tracce è un tripudio di beatmaker hip hop, da Zef (per Ghemon) a Boss Doms, Frenetik & Orang3 (per Achille Lauro), passando per Big Fish (per Nino D’Angelo e Livio Cori) fino ad arrivare addirittura a Charlie Charles (per Mahmood). Cosa sta succedendo alla tanto decantata musica leggera italiana? Siamo a un punto di non ritorno? Andrà a finire che tra qualche anno i vari Nek, Anna Tatangelo e Francesco Renga saranno la sparuta ma agguerrita minoranza che si oppone allo strapotere dei rapper all’Ariston?

Anche se radio, tv e stampa generalista sembrano essersi accorti della sua esistenza solo negli ultimi anni, il fatto che il rap (e l’R&B) italiano approdi al festival non è certo una novità recente. Spesso, almeno finora, non si trattava di nomi con grande street credibility, e altrettanto spesso le loro proposte si avvicinavano più al pop parlottato degli Zero Assoluto che all’hip hop senza compromessi dei Sangue Misto. Sicuramente, però, i precedenti ci sono, e non sono pochi, anche se molto diluiti: difficilmente c’è stato più di un rapper per edizione. L’unico a vincere, nella categoria Nuove Proposte, è stato Rocco Hunt con Nu juorno buono, ma abbiamo dovuto aspettare fino al 2014 perché questa rara e finora irripetibile congiunzione astrale si verificasse: prima di allora, i temerari che si erano avventurati a Sanremo erano praticamente abbonati ai piani bassi della classifica. Tra le poche eccezioni c’è Caparezza che – ebbene sì – nel 1997 è stato il primissimo rapper nella storia del concorso, anche lui nella sezione Nuove Proposte. All’epoca si faceva chiamare Mikimix, presentò una canzone non proprio memorabile dal titolo E la notte se ne va e si aggiudicò un dignitosissimo quarto posto dietro a Paola e Chiara, Alex Baroni e Niccolò Fabi. Verrà ricordato per una delle barre meno hardcore in assoluto della storia: “Stanco, sotto il mio rettangolo di tetto / cado morbidoso sul rettangolo di letto”.

L’unica medaglia di bronzo che si conta finora è quella di Mudimbi, rapper atipico (è stato anche un mc da soundsystem ed è quindi molto legato alla scena dancehall e drum’n’bass) che nel 2018 arrivò terzo nella categoria Nuove Proposte con Il mago. Molto peggio andò a Piotta, che nel 2004 con Ladro di te si classificò ultimo, e a Moreno, penultimo nel 2015 con Oggi ti parlo così; a Frankie Hi-NRG, che nel 2008 arrivò quattordicesimo (su diciannove) con Rivoluzione e nel 2014 ottavo (su tredici) con Pedala; ai Gemelli DiVersi, esclusi dalla finale del 2009 con la loro Vivi per miracolo, e agli ex rapper Nesli e Raige, che nel 2017 subirono la stessa sorte rispettivamente in coppia con Giulia Luzi e Alice Paba. Più altalenante la performance di Clementino: se nella finale del 2017 si classificò ultimo con Ragazzi fuori, nel 2016 arrivò a metà del guado, con il settimo posto per Quando sono lontano. Merito anche di una strepitosa cover di Don Raffaé di De Andrè, che gli valse un’ovazione della platea.

Un capitolo a parte se lo meritano i Sottotono, annunciati tra l’altro poco fa nei duetti di quest’anno con Nino d’Angelo e Livio Cori. Sono stati primi a portare a Sanremo un’attitudine grezza e senza compromessi, cosa che contribuì a renderli protagonisti di una vicenda che è rimasta negli annali. Nel 2001, grazie al successo di album come Sotto Effetto Stono, erano già star nazionalpopolari, ma restavano un punto di riferimento imprescindibile anche per il rap underground, che avevano continuato ad alimentare fondando un’etichetta seminale per la scena italiana, Area Cronica. Quell’anno parteciparono a Sanremo con il brano Mezze verità, ma la strada per loro cominciò subito in salita: la Rai chiese di modificare alcune parole del testo per evitare volgarità e turpiloquio. Era poca roba rispetto a quello che si sente in giro oggi – due “figlio di puttana” e un “fottermene” – ma a quanto si dice le liriche apparivano particolarmente controverse agli occhi dei dirigenti di Raiuno, visto che uno dei loro coristi era minorenne. Big Fish e Tormento rifiutarono di cambiarle e, in segno di protesta, scelsero di lasciare il testo tronco, limitandosi a non pronunciare le parole incriminate, cosa che suonava come un’implicita accusa di censura nei confronti del festival. Come se tutto questo non fosse abbastanza, ci si mise anche Striscia la Notizia, che accusò il gruppo di plagio, lamentando una somiglianza con Bye Bye Bye degli N’Sync. Vaghissima, se non del tutto inesistente: il caso fu montato sul fatto che c’era qualche piccola similitudine a livello di armonia, e che entrambi i testi ripetevano a un certo punto le parole “bye bye”. Nonostante tutto, però, Striscia trasformò la vicenda in una campagna mediatica martellante, che culminò in un celebre tentativo di consegna di un Tapiro d’Oro in cui, braccati per l’ennesima volta in ascensore, i Sottotono reagirono bruscamente e volarono spintoni, sputi e calci. Il giorno dopo Fish e Torme rilasciarono un comunicato dal titolo “Fascisti in sala stampa”. “Striscia la Notizia continua a rompere. Anche in sala stampa a Sanremo, in casa Rai, che lascia fare” recitava. “Si dice che la strategia migliore con loro sia abbozzare, dialogare, prendersi il Tapiro e ringraziare. Ma non è questo che loro vogliono, loro cercano la rissa, proprio come i fascisti. E se vogliono la rissa, perché non bisogna dargliela?”. Raffaella Carrà, che quell’anno era la padrona di casa, durante la finale si schierò apertamente dalla loro parte: “Capisco chi è sottoposto alla pressione del festival. Anch’io l’ho subita e non sono stata violenta perché non ne ho avuto occasione” dichiarò. Nonostante tutto, però, i Sottotono arrivarono terzultimi. Molti identificano ancora quel momento come l’inizio della fine per il gruppo che, caso vuole, si sciolse proprio dopo quell’ultimo album. Naturalmente la questione del presunto plagio non ha avuto nessuno strascico legale, perché com’era evidente a (quasi) tutti, di plagio non si trattava.

Anche l’R&B e l’urban pop non hanno avuto vita facile a Sanremo; o almeno, non prima della vittoria nelle Nuove Proposte di Ultimo l’anno scorso con Il ballo delle incertezze, talmente trionfale che il nostro eroe si prepara al suo primo concerto in uno stadio. Speriamo che sia un segno dei tempi, perché per il momento il genere, da sempre relegato nella categoria Giovani/Emergenti/Nuove proposte, è stato quasi sempre una garanzia di sconfitta. Lo sanno bene Irene Lamedica (ultima nel 1999), Camilla (quartultima nel 1996) e Andrea Nardinocchi (eliminato nel 2013). Anche a chi poteva contare sulla benedizione di artisti più blasonati non è certo andata meglio: vedi alla voce Daniele Vit (ex corista dei Club Dogo, ultimo alla finale 2002) e Danny Losito (ex corista dei Sottotono, terzultimo alla finale 2004). L’eccezione che conferma la regola c’è, ed è Jenny B, ex corista dei Gemelli DiVersi, che ha vinto nel 2000 con la ballad Semplice sai. Curiosamente, invece, la storia ci insegna che presentarsi in gara con un dj hip hop porta bene: è andata così ai Tiromancino e a Riccardo Sinigallia, che nel 2000 con il supporto di dj Stile sono arrivati secondi con Strade, e a Syria, che nel 2003 aveva Bassi Maestro come talismano portafortuna e si è piazzata al quinto posto con L’amore è.

Stando alla statistica, insomma, per la musica urban la vera sfida non sarebbe tanto arrivare sul palco del festival, ma conquistarlo al punto da non fare solo presenza – possibilmente evitando risse e incomprensioni con la cattivissima sala stampa di Sanremo, uno dei contesti più difficili in cui farsi porre delle domande e dare delle risposte. Se almeno due o tre dei rapper e artisti urban in concorso riusciranno ad aggiudicarsi una buona posizione nella classifica finale, vorrà dire che davvero qualcosa sta cambiando. E se invece non ci riusciranno, pazienza: possiamo ragionevolmente ipotizzare che torneranno con serenità a fare strage di tutte le altre classifiche italiane, quelle che contano sul serio.

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