Session e costi folli: 10 album mangiasoldi | Rolling Stone Italia
Mani e braccia bucate

Session e costi folli: 10 album mangiasoldi

Dagli Happy Mondays di ‘Yes Please!’ ai Guns N' Roses di ‘Chinese Democracy’, come buttare via milioni di euro delle case discografiche in droghe e follie varie e vivere (quasi sempre) felici

Session e costi folli: 10 album mangiasoldi

Axl Rose dal vivo coi Guns nel 2010

Foto: Adriano Machado/LatinContent/Getty Images

Fare un album è sì questione di musica e idee, ma anche di profitto. Le case discografiche, anche quelle cosiddette indipendenti, investono nei progetti per ottenere ricavi. Ci sono, però, artisti che hanno sperperato il budget messo a disposizione delle label, in alcuni casi quasi truffandole senza che queste potessero fare nulla per riparare. Ecco un campione di casi in cui genio e sregolatezza consentono di uscire dalla logica del profitto.

“Killing Is My Business… And Business Is Good!” Megadeth (1985)

Il primo disco dei Megadeth nasce dal rancoroso desiderio di rivalsa da parte di Dave Mustaine verso gli ex compagni dei Metallica dai quali è stato cacciato a causa dell’uso di alcol e droga e di instabilità emotive varie. Mette su i Megadeth che vogliono superare i Metallica da tutti i punti di vista: velocità, tecnica, brutalità, grafica, testi polemici con politica e società, e ovviamente uso di sostanze stupefacenti. Al gruppo viene elargito un anticipo cospicuo per le registrazioni, ma il quartetto se lo spara in droga, alcol e junk food, rimanendo con due spicci con i quali risulta impossibile pagare ingegneri del suono e produttori. Mustaine decide in un impeto megalomane di mettersi ai comandi. E il risultato è un panettone in cui le chitarre suonano torbide, la voce sembra sopra le righe e la batteria sembra fatta di padelle e scatole da scarpe. Killing Is My Business ha un suono che è entrato nella leggenda del male. È un punto fermo del thrash metal che non si piega e non si spezza all’hype.

“First Issue” Public Image Ltd (1978)

John Lydon non era in un mood molto diverso da Mustaine quando entrò in studio per registrare First Issue. I Sex Pistols senza di lui portano avanti la loro ultima messa in scena e lui è deciso a superarne la leggenda con una band ancora più estrema, i Public Image Ltd. Entrano in studio il tempo necessario per registrare una traccia e poi spariscono, nello stupore del produttore John Leckie che viene pagato profumatamente per non fare essenzialmente nulla. Oltre a loro, spariscono anche i soldi della Virgin in droga e cazzate varie, tanto che alla fine sono costretti a spostarsi per registrare gli ultimi tre brani nello studio più a buon mercato in cui i Sex Pistols avevano fatto le loro demo. I PIL sono anche a corto di brani e si inventano di sana pianta Fodderstompf, il brano finale di First Issue che paradossalmente è una delle cose più innovative del disco. Nel brano Lydon confessa che sta cercando di finire l’album con il minore sforzo possibile e che ci sta pure riuscendo. Non è finita: i PIL pubblicheranno il live Paris au Printemps registrato peggio di un bootleg nonostante il budget dignitoso e per Flowers of Romance prenoteranno vari studi per non farci manco metà pezzo.

“Yes Please!” Happy Mondays (1992)

Prendete uno dei gruppi più tossici della storia, date loro un budget di 150 mila sterline, portateli alle Barbados e metteteli nelle braccia di Tina Weymouth e Chris Frantz (Talking Heads/Tom Tom Club), abituati a lavorare con una certa professionalità. Ne otterrete un’odissea. Due elementi sotto costante uso di crack e eroina (il cantante Shaun Ryder e il fratello bassista Paul), uno in esaurimento nervoso (il chitarrista Mark Day), uno che riesce a rompersi tre volte il braccio nel giro di poche settimane (il ballerino sciamano Bez) e un alcolista cronico (il batterista Gary Whelan) a malapena riescono a incidere le basi. A forza di fumare crack (che nelle Barbados si acquistava con facilità) Ryder contrae un’infezione alla gola e non può cantare, e l’uso costante degli stupefacenti gli impedisce di scrivere una riga una di testo. Frustrato, trasforma le session in una gara di autodistruzione. Si narrano leggende che lo riguardano, come l’essersi venduto i vestiti e le poltrone dello studio di registrazione per la droga, per poi chiedere all’etichetta Factory un riscatto per i master del disco (ricaverà 10 mila sterline). L’unica verità accertata è che dopo la lunga permanenza alle Barbados viene completato solo un pezzo, il resto sarà terminato in Inghilterra scavallando il budget iniziale fino a toccare 380 mila sterline e raggiungendo un successo modesto, comunque insufficiente a coprire i costi.

“Chinese Democracy” Guns N’ Roses (2008)

Il disco dei Guns che avrebbe dovuto rappresentare la rivincita di Axl Rose nei confronti dei suoi soci, licenziatisi a causa del suo caratterino dittatoriale, è diventato invece un lento e pachidermico cammino nel delirio. Rose arriva a spendere ben 250 mila dollari al mese tra guitar techs e studio engineer, ma soprattutto nell’affitto di ben 14 studi di registrazioni diversi. In tutto questo ci sono anche i vizi e lo stipendio dei musicisti (una caterva di persone). Strano a dirsi, ma spendono per le bizzarrie più che per le droghe. Basti pensare che per convincere Buckethead a non mollare la band venne piazzato nello studio un pollaio gigantesco nel quale possa suonare. Invece di armeggiare con la chitarra, lui guarda il porno armeggiando con ben altro arnese. Per quanto commercialmente Chinese Democracy sia stato un disastro (non poteva fare numeri tali da coprire queste spese folli), per chi scrive è l’album più coraggioso dei Guns, quello che finalmente sposta la lancetta dall’hard rock/glamster di strada a qualcosa di più variopinto e imprevedibile. Certo, alla Geffen a sentir nominare il disco si fanno ancora il segno della croce, ma in fondo è anche una delizia esserne venuti a capo, no?

“Dopesmoker” Sleep (2003)

Dopo l’uscita di Holy Mountain, gli Sleep decidono di firmare – tra le tante etichette che si propongono – con la London Records in quanto assicura loro assoluta libertà creativa e soprattutto un budget notevole. Che usano innanzitutto per fare scorte epiche di erba, che si fumano a nastro per ottenere la giusta ispirazione. Essendo poveri in canna, usano il resto per pagare i debiti e spendono gli ultimi “spicci” (75 mila dollari) per comprare attrezzatura e creare amplificatori customizzati. Quando i dirigenti della casa discografica sentono Dopesmoker impallidiscono. Il disco è a tutti gli effetti composto da una sola canzone di un’ora e l’etichetta non sa che cosa farne. Gli Sleep rifiutano la proposta di creare una versione editata e la London Records blocca la pubblicazione del disco, che girerà fino al 2003 solo in versioni taroccate. Dal punto di vista artistico, Dopesmoker è un picco del doom metal e della storia degli Sleep. Dal punto di vista pratico, sarà la causa dello scioglimento della band. Sta per essere ripubblicato in vinile, segno che alla fine tante contraddizioni fanno culto e che i soldi non fanno la felicità. Ma se compri roba buona da fumare…

“Technical Ecstasy” Black Sabbath (1976)

Nella lista degli spendaccioni non potevano mancare i Black Sabbath (Vol. 4 fu caratterizzato da spese folli per quantità di cocaina esagerate). Vanno a registrare Technical Ecstasy a Miami e la situazione in studio non è delle più rosee. Regna un caos infernale. Ozzy è imbaratrato nelle droghe e negli alcolici, cosa che ne rallenta le capacità operative, e non è che gli altri siano da meno, tanto da pippare direttamente sulla consolle di missaggio. I costi delle registrazioni saranno astronomici e in buona parte dovuti – ancora una volta – all’acquisto di sostanzine. Aggiungiamoci che buona parte della band diserta la parte produttiva andandosene al mare e lasciando la responsabilità al solo Tony Iommi. Nonostante il fatto che, come ammesso da Geezer Butler, nessuno della band all’epoca sapesse cosa stava facendo, il disco avrà abbastanza successo commerciale. È ancora oggi poco amato dai fan duri e puri, considerato un LP in cui i Sabbath giocano a fare i Queen. In realtà è un disco coraggioso, che prova a dare uno scossone allo stile dei Sabbath che, forse, stava diventando una prevedibile gabbia dorata. Meno male che se la sono venduta subito spendendone il ricavato…

“Rumours” Fleetwood Mac (1977)

I rapporti tra i membri della band (i coniugi McVie, Stevie Nicks e Lindsey Buckingam) sono decisamente tesi, tanto che quasi smettono di parlarsi tra loro se non per motivi musicali. E se l’album diventerà un best seller e verrà elogiato come uno dei migliori dischi pop-rock di sempre, la band fatica a registrare una sola nota. A Susalito, località nel quale gli studi sono situati, il punk non è ancora arrivato manco per scherzo e le droghe e il fricchettonismo sono ancora al top. Risultato: lo studio diventa un luogo di party 24 ore su 24 con un continuo andirivieni di persone e un consumo di cocaina senza freni dovuto al budget del disco praticamente illimitato. In sostanza, dalle 19 alle 2 di mattina i Mac non fanno altro che sfondarsi iniziando a registrare quando in pratica sono oramai invalidi civili, tanto che spesso gli after se li fanno direttamente in ospedale. I costi si alzano e le tempistiche si allungano. A peggiorare la situazione, le tracce di rullante e di hi-hat si danneggiano a causa dell’uso continuo dei nastri e per recuperarne il suono si deve chiamare uno specialista con un’ulteriore spesa e cancellazione di un tour americano per completare il missaggio. Nonostante tutti questi casini, il disco come già detto andrà una bomba: evidentemente i Fleetwood Mac avevano un angelo custode in paradiso (o quello che volgarmente chiamiamo culo). Anche perché col successivo Tusk le cose andranno non dico a fotocopia, ma a occhio e croce pure peggio.

“Antisystem” Lory D (1993)

Anche in Italia ci sono casi di denaro buttato al secchio in sede contrattuale. Basti pensare ad Antisystem di Lory D, disco che segna il passaggio dall’underground dei rave e della Sound Never Seen alla major BMG/RCA. I dirigenti della major non sanno assolutamente cosa sia la techno, ma vista la popolarità tra i giovani credono di poterne trarre profitto. Lo stesso Lory D parte con l’idea di un suicidio commerciale stile kamikaze contro l’industria, convinto che la major non sarebbe mai stata in grado di maneggiare la materia in questione e che debba salvaguardare la sua reputazione di terrorista sonoro. A parte l’uso di sostanze che avrà sicuramente avuto posto nelle spese di rappresentanza, è soprattutto un episodio geniale a fargli bruciare soldi in un istante manco fosse uno dei KLF. Totalmente a digiuno di nozioni tecniche, mixa un tom della batteria elettronica con delle basse allucinanti e al momento del mastering nelle comode stanze della major le frequenze vanno a distruggere la puntina adibita a incidere le lacche. Risultato, svariati milioni di danno, ovvero il prezzo stesso della puntina. Più che antisistema, un album davvero antitutto.

“End of the Century” Ramones (1980)

È il disco più ambizioso dei Ramones, forse il loro Smile. E proprio in ragione di ciò, il budget a loro riservato sarà piuttosto alto in relazione a quanto speso per incidere i loro altri dischi. Di solito con due spicci e una presa diretta i nostri portavano a casa il risultato, da bravi punk. In questo caso il budget è di 200 mila dollaroni perché il produttore è il mitico Phil Spector, l’inventore del wall of sound, il paranoico pazzo che minacciava tutti con la sua pistola e nello stesso tempo era capace di arrangiamenti incredibilmente commoventi, accorati e magnificamente potenti. E avere uno come lui dietro la consolle non può che significare vedere il danaro sfumare tra eccessi personali, perfezionismo maniacale e un procedere a lumaca seguendo gli alti e bassi dell’ispirazione. Alla fine l’unico a rimanere appresso a Phil è il cantante Joey Ramone. Sei mesi per missare 12 pezzi in media di breve durata, una caterva di musicisti e ingegneri addizionali, parti strumentali fatte ripetere per ore sotto la minaccia del “ferro”, 15 ore al giorno per 13 giorni a suonare senza che Spector registri una sola nota: questo secondo la leggenda. Alcuni dei presenti non erano proprio lucidissimi (vedi Dee Dee), il che fa pensare che un po’ di soldi siano finiti in più di un braccio.

“Invincible” Michael Jackson (2001)

Nella lista non poteva mancare il maestro, colui che ha spinto l’acceleratore dello sperpero nel mondo della black music prima ancora di Kayne West e del suo My Beautiful Dark Twisted Fantasy che copia proprio Invincible nella sua sregolata realizzazione. Jackson prenota numerosi studi allo stesso momento (addirittura li fa costruire su misura, per Teddy Riley ne mette su uno con lo stato dell’arte tecnico). Ne verrà usato praticamente solo uno. Non contento, coinvolge una lunga lista di collaboratori, alcuni pagati per non lavorare. Aggiungiamo anche le spese per le sue follie personali, tra bodyguard e hotel. Quattro anni per mettere su 50 canzoni delle quali 16 finiranno nell’album. Pare che Invincible sia costato 30 milioni di dollari e più che un disco pop sembra una roba IDM incentrata sulle ritmiche e sulla sottrazione delle melodie. Jackson, annuncia di voler lasciare l’etichetta a disco uscito, scatenando una vera e propria ritorsione economica nei suoi confronti. Invincible resta un disco “scomodo”. In seguito, il motto «chi più spende meno spende» non avrà più alcun senso.