Senza parole: 10 grandi concept album strumentali | Rolling Stone Italia
Musica a prog-ramma

Senza parole: 10 grandi concept album strumentali

Nella classica si raccontano da sempre storie usando solo mezzi musicali. Nel rock ci hanno provato soprattutto i progger, dal Rick Wakeman delle mogli di Enrico VIII all'Anthony Phillips di '1984'

Senza parole: 10 grandi concept album strumentali

Rick Wakeman

Foto: Michael Ochs Archives/Getty Images

È successo spesso nella musica che si provassero a raccontare delle storie, oppure a descrivere dei paesaggi e stati d’animo, senza ricorrere a parole, basandosi unicamente sulle note. Espediente paradossale da molti punti di vista che però lascia campo libero a uno dei tratti essenziali dell’arte musicale: la capacità evocativa. La classica lo insegna: chi può negare che l’ascolto di La mer di Claude Debussy agevoli l’ascoltatore a vedere davanti a sé proprio un placido paesaggio marino? O che Igor Stravinskij ne La sagra della primavera non riesca a visualizzare il rito sacrificale e la danza vertiginosa che porta alla morte?

Nel rock ci hanno pensato spesso i musicisti prog (non a caso lo stile maggiormente imparentato con la classica) a fornire tali suggestioni in concept album nei quali la voce non è stata ritenuta essenziale per descrivere fatti, personaggi, opere letterarie, miti e leggende che prendono vita senza bisogno di parti cantate a spiegare quello che la musica spiega da sé. Gli esempi migliori sono nei dieci album sotto riportati.

1984

Hugh Hopper

1973

Primo tentativo di rilettura musicale del capolavoro di George Orwell, il 1984 del bassista Hugh Hopper è un concentrato di inquietudine. Il musicista già in forza presso i Soft Machine sonorizza le atmosfere distopiche del romanzo. I titoli si riferiscono ai vari ministeri (dell’amore, della pace, dell’abbondanza e della verità) e tutti i suoni scaturiscono dal basso, volta per volta trattato fino a renderlo irriconoscibile. 1984 si muove tra la Canterbury più ardita e una sorta di industrial ante litteram consegnando un vero incubo a occhi aperti.

The Six Wives of Henry VIII

Rick Wakeman

1973

Nel 1973 Rick Wakeman inaugura la stagione dei concept sontuosi con una serie di ritratti musicali delle sei mogli del perfido Enrico VIII. In libera uscita dagli Yes, il tastierista si diverte ad armeggiare con tutta la tecnologia disponibile all’epoca rendendo il disco un vero bombardamento di Mellotron, Moog, Hammond e similari. Ogni brano dipinge i caratteri delle sei sfortunate mogli e Wakeman (coadiuvato spesso dai compagni di band) si muove con freschezza tra rock sinfonico, jazz, gospel e funk. Per ogni stile un ritratto.

The Snow Goose

Camel

1975

The Snow Goose è ispirato al libro omonimo di Paul Gallico (in Italia La principessa smarrita), ambientato nel 1930 nell’Essex, dove vivono il solitario Philip Rhayader e la giovane Fritha. Le vicende sono narrate da una lunga suite divisa in più movimenti che copre entrambe le facciate. Rivelatosi il più grande successo dei Camel, The Snow Goose si inoltra nella storia per offrirne una colonna sonora a base di prog sinfonico nella più pura accezione del termine, spesso soffuso, delicato e canterburiano, con intensi momenti guidati dalla chitarra del leader Andy Latimer.

Douar Nevez

Dan Ar Bras

1977

Ys era una terra leggendaria situata al largo della baia di Douarnenez, in Bretagna, che venne inghiottita dall’oceano a causa di oscure forze. La leggenda ha da sempre affascinato molti artisti (in Italia Il Balletto di Bronzo ne ha dato una sua interpretazione). Tra questi c’è Dan Ar Bras, chitarrista di Alan Stivell che dedica il suo primo album solista proprio a Ys offrendo un’avvolgente suite strumentale che si snoda in 12 quadri, dalla nascita dell’isola al suo inabissamento, con richiami al folk bretone e accenni jazz-rock.

1984

Anthony Phillips

1981

Anche l’ex Genesis Anthony Phillips offre una sua visione sonora del 1984 orwelliano prendendo le distanze dalle sue usuali opere acustiche e bucoliche per lanciarsi in un suono quasi totalmente elettronico. Il mood del libro prende vita grazie a un armamentario fatto di drum machine Roland CR-78, synth ARP e Polymoog a tutto spiano, in un bel matrimonio tra techno pop, new wave e prog. Un piccolo capolavoro campionato finanche da rapper come Boom Bip & Doseone.

To Another Horizon

Gandalf

1983

Il polistrumentista austriaco Heinz Strobl si presenta con lo pseudonimo tolkieniano di Gandalf proponendo un mix di prog e new age. To Another Horizon è il suo terzo album, un concept che immagina una razza aliena in visita al nostro pianeta (grazie a un’astronave di cristallo) per redarguire gli sciocchi terrestri sui pericoli dell’inquinamento e delle guerre nucleari. I temi del concept vengono sviscerati grazie a una sinfonia a base di organo, Mellotron e sintetizzatori. Un viaggio che dalla cupezza iniziale approda a una sorta di consapevolezza universale.

Le Mariage du Ciel et de l'Enfer

Art Zoyd

1985

Ci vuol coraggio a cercare di trasporre in note il poema del visionario William Blake Il matrimonio del cielo e dell’inferno, sorta di Divina Commedia psichedelica nella quale l’Inferno è visto come luogo di sfrenati piaceri dionisiaci, contrapposto al Paradiso, un po’ troppo rigido nella sua divina perfezione. Basandosi su tali intuizioni, i francesi Art Zoyd creano partiture tanto complesse quanto deliranti per un orecchio non abituato. Disarmonie, clangori, una tensione sonora che non lascia un attimo di tregua. Il consiglio è quello di ascoltarla mentre si legge il poema, il trip sarà irresistibile.

Babel

Klaus Schulze & Andreas Grosser

1987

Come da titolo (e copertina) Babel racconta del tentativo da parte dei babilonesi di costruire una torre che possa arrivare fino a Dio. La suite elettronica di Schulze e Grosser accompagna l’ascoltatore sin dalle fasi iniziali della costruzione, lo aiuta a immaginare le altezze vertiginose e la vastità di popoli che abitavano l’immensa costruzione. Peccato che a un certo punto Dio sia piccato dalla superbia dell’uomo e decide di porre fine all’opera, distruggendola. Si arriva così al climax sonoro parossistico, in una descrizione perfetta della catastrofe.

Kojiki

Kitaro

1990

Kojiki è un’opera di grande fascino da parte del campione della new age nipponica Kitaro, qui alle prese con un sound decisamente prog. Il concept è incentrato nientemeno che sull’antica cronaca che racconta la nascita del Giappone e del suo popolo. Sembra quasi di tornare indietro nel tempo, dalle antiche radici dell’isola fino alla modernità, con ampi momenti prog che si fondono armoniosamente a melodie new age e a suoni mutati dal folklore tradizionale giapponese.

A Midsummer Night's Dream

Steve Hackett

1997

Ancora un ex Genesis in una sonorizzazione del Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare. Scelta azzeccata in quanto le atmosfere della commedia ben si adattano agli intarsi acustici di cui Steve Hackett è maestro. La suite si dipana in 18 movimenti per chitarra classica e orchestra, musica strettamente imparentata con la sinfonica, ma dal pulsante cuore prog. Il tutto a illustrare scene e personaggi con grande aderenza, chiudendo gli occhi pare realmente di trovarsi al rocambolesco matrimonio tra Teseo e Ippolita, con Puck a fare da contorno. Chiusura in gloria con l’apoteosi di Celebration, inno alla ritrovata armonia.