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Quando la cover ha più successo dell’originale

Da 'I Love Rock 'N Roll' di Joan Jett a 'The Best' di Tina Turner, passando per Cyndi Lauper e David Bowie, esempi eclatanti di canzoni diventate hit solo quando a interpretarle è stato qualcun altro

Foto: Terry Lott/Getty Images

A volte diamo per scontato che i singoli di successo siano esclusiva dell’interprete. E invece succede che le grandi hit siano “riciclate”: magari sono stati successi minori o singoli che non hanno neanche messo piede in classifica, ma la cosa fondamentale è che sono stati già cantati da altri artisti con esiti meno fortunati. Se oggi il campionamento ha cambiato anche la pratica della cover, così da creare ibridi tra l’inedito e il già sentito, una volta si riprendevano di sana pianta singoli mandati al macero per rivitalizzarli. In queste righe prenderemo in esame alcuni esempi eclatanti che ci fanno pensare che a volte le copie sono meglio degli originali o che come minimo uno stesso brano può cambiare in base alla semplice personalità dell’interprete.

Money Changes Everything

The Brains / Cyndi Lauper

1978 / 1983

I Brains erano tra i gruppi new wave di fine ’70 più potenti della loro generazione, capaci di mantenere una tensione classic rock pur mirando verso lidi sintetici e post punk. Nel 1978 pubblicano su singolo Money Changes Everything creandosi un certo seguito nell’underground e attirando l’interesse della Mercury, che li mette sotto contratto. A quel punto all’autoproduzione subentra l’esperienza del grande Steve Lillywhite che forgerà il sound impeccabile del loro esordio e registrerà di nuovo il singolo dandogli una maggiore compattezza. La versione originale però mantiene una tensione, una rabbia e un’attitudine lo-fi/punk imbattibile, che è a tutti gli effetti un canto di rassegnato e soffocato dolore sul fatto orrendo che i soldi, per l’appunto, possono rivoltare le prospettive e l’idea che gli altri hanno di te. Ci sono pochi inni così duramente anticapitalisti, forse solo Everything Counts dei Depeche Mode. Nel 1983 Cyndi Lauper la canta nel debutto She’s So Unusual e nel 1984 la pubblica come singolo, trasformandola in una hit planetaria. Nella versione dei Brains è l’amara constatazione di un perdente, in quella della Lauper il reietto ha avuto la sua rivincita – cioè il successo – e il moto di realismo è quasi visto da lontano.

No More I Love You's

The Lover Speaks / Annie Lennox

1986 / 1995

Nel 1985 due membri del gruppo punk The Flyes mettono su una band più accessibile, i Lover Speaks. Inviano una demo a Dave Stewart degli Eurythmics che prontamente, tramite passaparola, riesce a procurare loro un contratto con la A&M. Il singolo apripista del primo album omonimo è No More I Love You’s, che suona come un prodotto dei suoi tempi: una new wave educata, digitale e soprattutto smaliziata in territorio AOR. I risultati non sono convincentissimi, in Inghilterra arrivano al numero 58 e negli Stati Uniti al numero 88: è il loro primo e ultimo ingresso nella classifica inglese, nonostante aprano i concerti degli Eurythmics. Nel 1995 Annie Lennox si ricorda di loro e inserisce No More I Love You’s nel secondo album Medusa, composto interamente di cover. Lanciato come primo singolo, il brano ha un successo strepitoso dovuto all’interpretazione magistrale della Lennox, che elimina l’arrangiamento “coatto”, rallenta il passo, rende il tutto a guisa di ballatona dream pop suadente e languida e riesce a entrare nel cuore della canzone dandole un respiro che all’originale mancava. Ovviamente gli autori ne sono entusiasti, e una volta tanto non solo per motivi di copyright.

Warm Leatherette

The Normal / Grace Jones

1978 / 1980

Nel 1978 Daniel Miller fa uscire un singolo a nome The Normal, ispirandosi a Crash di J.G. Ballard, per la sua neonata etichetta indipendente. L’etichetta è la Mute e il brano diverrà un classico dell’industrial synth pop, perfetto nella sua chimica di suoni alienati, freddezza paranoica e ritmiche ossessive. È una canzone più influente di qualsiasi album del genere uscito successivamente e ne esistono varie cover, dai Nine Inch Nails ai Duran Duran, nessuna mai riuscita ad entrare in classifica. Sarà un personaggio trasversale e ambiguo a riuscire nell’impresa di farla arrivare al ventesimo posto della classifica dance degli Stati Uniti con una versione mutant funk di rara intelligenza. Alla passività della versione originale sostituisce un vitalismo consapevole e sanguigno, un inno alla perversione distopica, in cui la maniacalità lascia il posto al puro godimento nichilista. Questo personaggio è Grace Jones, la musa androgina la cui missione è portare dei virus letali nel corpo del mainstream, tanto che nel 1980 il suo album per la Island porterà proprio il nome del brano di Miller, Warm Leatherette. Sarà uno degli apripista per altri esperimenti del genere in cui roba indigesta diverrà commerciabile a forza di make-up sonoro (Bowie sarà uno di quelli che prenderà quella strada).

China Girl

Iggy Pop/ David Bowie

1977 / 1983

Dicevamo, David Bowie: tra il 1976 e il 1977 scrive e registra con Iggy Pop il primo disco solista di quest’ultimo, The Idiot. Album incredibile e influente (Ian Curtis si impiccherà con questo disco sul piatto), dà origine a un paio di singoli come l’avvolgente China Girl, bellamente ignorato da tutti. Bowie probabilmente rimugina su come rendergli giustizia commerciale e arriva a far quadrare il cerchio nel 1983, quando lo inserisce nel best seller Let’s Dance e lo lancia come secondo singolo. Questa volta, grazie anche all’arrangiamento “da bigiotteria esotica” di Nile Rodgers, che sostituisce il kraut malato dell’originale, il brano diventa un classico del repertorio di Bowie. Alla passione morbosa per la donna di un amico (come da stesura autobiografica di Pop) mischiata ad evidenti allusioni allo speedball (“China” sta per la cocaina e “girl” per l’eroina, come da slang dei bassifondi newyorkesi), Bowie risponde con un romanticismo da clash culturale tra due superpotenze in conflitto, ma che sono fatalmente attirate l’una dall’altra. In effetti il successo della canzone è il lampante esempio di come sia possibile vendere metanolo spacciandolo per succo di frutta, politica al posto di sentimenti, inquietudine al posto di appagamento. L’importante è non dare per scontato il materiale di partenza, ma appunto vederlo come un trampolino di lancio verso nuove forme possibili dello stesso.

Hanging On the Telephone

The Nerves / Blondie

1976 / 1978

I Nerves si formano nel 1974 e sono un gruppo power pop importantissimo per la futura scena pop-punk losangelina dalla quale usciranno fuori per esempio i Knack. Nel 1976 pubblicano un EP il cui brano di punta è Hanging On the Telephone, ma è un disastro commerciale che porterà presto il gruppo a sciogliersi. L’autore, Jack Lee, si trova in casini finanziari quando i Blondie gli chiedono il permesso di fare una cover di Hanging On the Telephone, svoltandogli la vita. I Blondie hanno ascoltato casualmente il brano da una compilation su cassetta fatta in casa da Jeffrey Lee Pierce dei Gun Club. Scoprono che nel frattempo i Nerves si sono sciolti e pensano di sviluppare il potenziale commerciale del pezzo rendendolo più solido nella struttura. Sostituendo agli arrangiamenti “scaciati” dell’originale un pop-punk quadrato guidato dalla voce di Debbie Harry, i Blondie fanno propria la canzone portandola al quinto posto della classifica inglese e in altre chat internazionali. Il risultato più interessante di questa operazione è spiegato dallo stesso Lee: «Anche le persone che mi odiavano, ed erano parecchie, dopo il successo hanno dovuto ammettere che la canzone era grandiosa».

The Saints Are Coming

Skids/ U2 feat. Green Day

1978 / 2006

Gli Skids erano un grandissimo gruppo punk scozzese, nelle cui file militava Stuart Adamson che avrebbe fondato i Big Country. Caratterizzati da un ricerca sonora che spaziava dal folk tradizionale della Scozia al punk più ruvido fino al synth pop, nel 1978 pubblicano l’EP Wide Open lanciando come singolo The Saints Are Coming, un roccioso pezzo sulle paure umane che si mescolano a un repentino e minaccioso cambiamento climatico. Il singolo arriva al numero 48 della classifica inglese e nel 2006 viene ripreso dalla coppia inedita formata da U2 e Green Day. Dopo che l’uragano Katrina ha devastato New Orleans, le due band decidono di registrare il singolo e devolvere i profitti in beneficienza. La scelta di The Saints Are Coming non è casuale, sia per il testo simbolico, sia per l’ idolatria che gli U2 – e probabilmente anche i Green Day – hanno per gli Skids. In particolare per Stuart Adamson: The Edge ha sempre dichiarato che quest’ultimo scriveva le canzoni che gli U2 hanno sempre tentato di fare, fallendo. Il connubio delle due band lancerà The Saints Are Coming verso un successo strepitoso, collezionando svariati numeri uno in tutto il globo.

I Love Rock 'N Roll

The Arrows / Joan Jett and the Blackhearts

1975 / 1981

Si pensa che la grande hit di Joan Jett, oramai inno di ogni rocker che si rispetti, sia farina del suo sacco. Si tratta invece della cover di un singolo degli Arrows, band che alle masse di oggi non dice assolutamente nulla. Eppure nel 1976 sono stati protagonisti di una serie televisiva per teenager, fatta di 28 episodi, trasmessa regolarmente nel Regno Uniti. Erano un fenomeno per ragazzine e in tv suonavano le loro canzoni e ospitavano musicisti famosi, inframezzati da numeri di ballo “pop”. Hanno collezionato varie hit tra il ’74 e il ’75, ma I Love Rock ‘N Roll (nato in risposta a It’s Only Rock’n’Roll But I Like It degli Stones) una volta uscito come singolo non genera alcun risultato. Joan Jett nota la canzone suonata dagli Arrows guardando la loro serie in tv e decide di farne una cover coinvolgendo Paul Cook e Steve Jones dei Sex Pistols/Professionals e usandola come lato B di un’altra cover, You Don’t Own Me. Nell’81 , con i suoi Blackhearts, la pubblica su singolo e rimane per sette settimane in vetta alla classifica americana. Ora, il motivo di tanto successo è misterioso: la versione di Joan Jett non è cosi distante dall’originale, ma probabilmente è proprio il carisma della cantante a fare la differenza. Fatto sta che alle prime note del pezzo si pensa subito a Jett: quando la suona lei forse ci crede più degli Arrows e i risultati lo dimostrano.

The Best

Bonnie Tyler/ Tina Turner

1988 / 1989

Altro grande equivoco è quello che circonda uno dei brani simbolo di Tina Turner, quello che la incorona come eroina assoluta del pop. La traccia faceva parte del repertorio di Bonnie Tyler. Lanciato come singolo nel 1988, The Best non è andato molto lontano, ottenendo un numero 10 in Norvegia e poco altro. Turner decide che può fare meglio della Tyler e chiama Holly Knight, ex nel gruppo hard rock Spider e co-autrice del pezzo, chiedendo di fare alcune modifiche sostanziali. Via la patina rockettara AOR e, al contrario, carta bianca a una sorta di pop patinato e midizzato con tanto di solo di sax al posto della chitarra elettrica. Con queste premesse e con l’interpretazione “carnale” della Turner, The Best diventa una hit incredibile tanto che anche la Tyler dovrà ammettere di non aver capito bene le potenzialità del pezzo. Probabilmente il segreto del successo della versione della Turner è che non sembra rivolgersi a una controparte amorosa, ma a se stessa; come se si guardasse allo specchio e si gasasse da sola, insomma. In quel periodo storico con da una parte yuppismo, narcisismo, patriottismo e dall’altra nuove conquiste, voglia di riscatto ed emancipazione femminile, Tina Turner ha trovato il modo per mettere d’accordo tutti anziché dividerli. Simply the best, non c’è dubbio.

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