Oltre ‘Stranger Things’: le canzoni del passato riscoperte grazie alle serie tv | Rolling Stone Italia
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Oltre ‘Stranger Things’: le canzoni del passato riscoperte grazie alle serie tv

‘Senza un perché’ di Nada ascoltata da Papa Jude Law, il secondo revival di ‘Hallelujah’, il caso di ‘Red Right Hand' di Nick Cave e gli altri pezzi che hanno avuto una seconda vita grazie a tv e piattaforme

Oltre ‘Stranger Things’: le canzoni del passato riscoperte grazie alle serie tv

Nick Cave

Foto: Kimberley Ross

Schegge di un jukebox degli anni ’80 impazzano nel web. Grazie all’inserimento nella quarta stagione di Stranger Things, prima ha fatto breccia il singolo di Kate Bush di 37 anni fa Running Up That Hill (A Deal with God), schizzato in cima alle classifiche di otto Paesi. Poi è toccato a Master of Puppets dei Metallica, che ha totalizzato 17,5 milioni di stream ed è entrata per la prima volta nella Billboard Hot 100.

Guardando oltre Stranger Things, abbiamo stilato una lista di pezzi che dal passato (recente o remoto) sono stati riscoperti grazie al loro perfetto inserimento nelle serie tv più popolari degli anni 2000, anche se nessuna di queste canzoni ha generato un fenomeno simile a quello di Running Up That Hill.

“The Young Pope e “Senza un perché” di Nada

Come i Metallica, anche Nada si è detta meravigliata dalla messa in scena della sua canzone, peraltro piuttosto oscura (dall’album del 2004 Tutto l’amore che mi manca, prodotto da John Parish, storico collaboratore di PJ Harvey e Howe Gelb). Il regista de La grande bellezza la volle per la sua miniserie internazionale del 2016 interpretata da Jude Law, Diane Keaton e Silvio Orlando. La canzone compare due volte nel corso degli episodi. La prima volta quando Pio XIII riceve il vinile in dono dal primo ministro della Groenlandia nel quarto episodio. Grazie alla scelta di Sorrentino, Senza un perché andò al secondo posto nella classifica di iTunes, a un passo da Vasco Rossi e dal suo singolo Un mondo migliore.

“Dr. House” e “Teardrop” dei Massive Attack

Se Grey’s Anatomy era più orientato all’indie pop, Dr. House era più rock-blues. Ma è un classico del trip hop ad aver lasciato il segno nella storia del clinico più beffardo della tv. La serie interpretata da Hugh Laurie, trasmessa da Fox dal 2004 a 2012, partiva con l’inconfondibile intro di Teardrop dei Massive Attack, che su Mezzanine del 1998 prosegue con l’eterea e inconfondibile voce di Elizabeth Fraser dei Cocteau Twins. Il tema musicale fu una precisa scelta del produttore dello show, Bryan Singer. Per questioni di diritti discografici le versioni non americane si dovettero “accontentare” di un montaggio strumentale sulla falsariga del celebre attacco del singolo dei Massive Attack. Anche se la canzone non è rientrata in classifica, ha avuto una seconda vita fatta di cover amatoriali (su YouTube) e professionali, divenendo uno standard. Quella di José González fu scelta dai produttori della serie per accompagnare il finale della quarta stagione. La potenzialità di quei 30 secondi iniziali di Teardrop incuriosì i piani alti di Ubisoft che scelse la stessa identica parte per la pubblicità del primissimo Assassin’s Creed nel 2007.

“The Last Dance” e “Sirius” dell’Alan Parsons Project

La docuserie che narra le gesta di Michael Jordan e dei “suoi” Chicago Bulls è infarcita di ottima black music. Ma il pezzo più gettonato della soundtrack è stato Sirius degli Alan Parsons Project. A un mese dall’uscita della serie nell’aprile del 2020, segnò un aumento degli ascolti su Spotify del 335%. Dopo esser diventato l’inno del Chicago Stadium, il brano strumentale del gruppo prog britannico fu usato in molte arene del basket americano come colonna sonora e musica motivazionale durante l’ingresso del team di casa. What Time is it? Game Time!

“Peaky Blinders” e “Red Right Hand” di Nick Cave and the Bad Seeds

Uno dei tratti distintivi dello show scritto da Steven Knight è il contrasto fra la colonna sonora moderna e l’ambientazione storica. La lotta per il potere dei ragazzacci di Birmingham, guidati da Tommy Shelby (Cillian Murphy) nell’Inghilterra post bellica degli anni ’20 è accompagnata da canzoni recenti, fuligginose e abrasive. Red Right Hand da Let Love In del 1994 la fa da padrone come sigla ufficiale, ma compare anche nelle interpretazioni inedite di altri artisti come PJ Harvey, Iggy Pop con Jarvis Cocker e Laura Marling. La canzone di Cave, già saccheggiata da schiere di registi (Scream, Hellboy, Scemo & più scemo) è nelle top 5 dell’artista in tutti i servizi di streaming musicali al fianco di O Children, che gode del tocco magico di Harry Potter.

“The Wire” e “Way Down in the Hole” di Tom Waits

Nella serie tv più celebrata dalla critica trovano spazio differenti e fantastiche versioni del brano di Tom Waits, ciascuna posta come sigla di apertura delle cinque stagioni create fra il 2002 e il 2008 dal genio di David Simon. Nella prima c’è quella dei Blind Boys Of Alabama e nella seconda quella originale, pubblicata sul disco Franks Wild Years. Poi, in successione, trovano spazio i Neville Brothers, DoMaJe (un collettivo di teenager di Baltimora) e Steve Earle. Il cantautore americano recita anche nella parte di Walon, ex tossicodipendente e consulente nella riabilitazione dalla droga. Il recupero multiforme di Way Down In The Hole – quindi non la singola canzone ma l’idea di farne una cover per stagione – ha avuto un impatto sul concept stesso delle colonne sonore di serie tv come Peaky Blinders.

“CSI” e “Who Are You” degli Who

A volte esiste anche un carattere di fedeltà fra musica e sigle d’apertura delle serie tv che non paga solo in termini finanziari ma anche in popolarità per le fasce d’ascolto più giovani. Fin dall’inizio di CSI, datato 6 ottobre 2000, gli Who hanno concesso i loro brani al progetto di Anthony E. Zuiker. Oltre alla sigla che ha per sottofondo Who Are You (la prima volta non si scorda mai) si sono fatti spazio negli spin-off Won’t Get Fooled Again (CSI: Miami), Baba O’Riley (CSI: NY), I Can See for Miles (CSI: Cyber). Per il recente seguito dell’originale (CSI: Vegas) la sigla è tornata a essere la title-track dell’ottavo disco del gruppo londinese, uscito nel 1978.

“La casa di carta” e “Bella ciao”

Stagione uno, episodio 13, anno 2017. Un fuoco arde nel camino. Il Professore, seduto al tavolo durante una cena, guarda Berlino e comincia a intonare in italiano l’inno della Resistenza. Oggi, grazie a La casa di carta e alla creatività di Álex Pina, Bella ciao non è mai stato così pop e globale. Da qualche tempo si fanno diverse considerazioni sulla sua complessa genesi. I musicologi l’hanno definita una canzone gomitolo, di cui è complicato trovare il filo, scovare l’origine. A pensarci bene: è così importante?

“The O.C.” e “Hallelujah” di Jeff Buckley

Uno dei finali di stagione più struggenti di sempre. È la scena di The O.C. in cui Ryan se ne va, qualcuno piange sulle spalle di un altro, qualcun altro ricomincia a bere, qualcuno prende il mare. In sottofondo la cover che forse più di ogni altra ha spezzato il cuore a una generazione, giusto qualche anno prima. Probabile che gli ascolti musicali di Josh Schwartz, classe ’76, il più giovane showrunner della storia della tv americana e ideatore di The O.C., abbiano influenzato la scelta. Hallelujah fu inserita nella serie anche nella versione a cappella di Imogen Heap per l’ultimo tragico episodio della terza serie uscito nel 2006. L’influsso di questi innesti ha accresciuto la popolarità del brano di Leonard Cohen, facendolo diventare un modello con il quale più o meno tutti, a torto o a ragione, si vogliono confrontare nei talent show e non solo.

“Lost” e “Make Your Own Kind of Music” di Mama Cass

Una delle poche cose che si sono davvero capite dello show più criptico (e irrisolto) della storia recente è che quelli del progetto Dharma avevano buon gusto in fatto di musica. Nelle loro case quasi metafisiche, durante gli episodi, spuntava di tanto in tanto un disco inaspettato. Come quando Locke incontra Sawyer mezzo brillo mentre gira il vinile di Raw Power degli Stooges. C’è però un LP che ai tempi fu come un brivido rivelatore. Anche perché l’uomo di spalle che pigia il tasto play del giradischi è un personaggio chiave che fa da trait d’union fra i naufraghi e i misteri dell’isola nell’indimenticabile primo episodio della seconda stagione, andato in onda nel 2005. In quei giorni le radio FM, in piena Lostmania, passavano a nastro Mama Cass, Patsy Cline e Petula Clark con la sua Downtown. I’ll see you in another life, brotha.

“I Soprano” e “Don’t Stop Believin'” dei Journey

Il brano dei Journey del 1981 non era visto molto bene dalla crew dei Soprano per un suo inserimento nel corso degli episodi, quindi David Chase lo scelse per il finale dello show. Era il 10 giugno del 2007. In seguito alla messa in onda la canzone divenne una hit in Gran Bretagna e a livello globale su Spotify totalizzò mezzo miliardo di ascolti. Due anni dopo il cast di Glee la interpretò in stile musical nel loro episodio pilota decretando l’inizio del successo della serie ma anche il trionfo del brano cantato da Steve Perry. Nel 2009 il brano originale della band di San Francisco divenne la canzone del ventesimo secolo più venduta su iTunes. In America è ormai considerata come una sorta di inno. È comparsa in South Park, Griffin, My Name Is Earl, Scrubs e decine di film (senza contare X-Factor e American Idol). Tutto merito di Tony Soprano e di quell’attore gigantesco che lo interpretava, James Gandolfini.