L’hard prog in 10 dischi fondamentali | Rolling Stone Italia
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L’hard prog in 10 dischi fondamentali

Dai Black Widow ai Rush, viaggio nell'epoca in cui l'hard rock si è fuso col progressive. Ecco chi sono i progenitori anni '60 e '70 del prog metal

L’hard prog in 10 dischi fondamentali

I Rush nel 1978. Da sinistra, Alex Lifeson, Neil Peart, Geddy Lee

Foto: Fin Costello/Redferns

Tra il 1967 e il 1969, quasi in concomitanza con quello del prog, avviene l’avvento dell’hard rock. Artisti come Rolling Stones, Beatles, Yardbirds, Who o Cream hanno nel tempo approfittato dell’invenzione di distorsori per chitarra sempre più utili a rendere la loro musica potente e “rocciosa”. I cantanti hanno sfoderano tutta la loro energia, le sezioni ritmiche si sono fatte incessanti e serrate. Spesso è arrivato anche un ruggente organo Hammond, sull’onda del sound prodotto dai Deep Purple. Questi già dal 1968 propongono brani che, a influenze beat e psichedeliche, uniscono un impatto mai udito prima. A differenza dei nomi sopra citati, i Purple vanno a inserire anche elementi mutati dalla musica classica, espediente del quale è fautore il tastierista Jon Lord. Da una parte decretano il successo dell’hard rock, dall’altra lo tingono di atmosfere care al nascente progressive. A ben guardare anche i King Crimson possono essere inclusi fra i gruppi che hanno definito non solo il prog, ma anche l’hard prog, 21st Century Schizoid Man è lì a dimostrarlo in tutta la sua forza dirompente e i continui cambi di tempo.

Sulla base di ciò ci spingeremo a esplorare l’universo delle band che non si sono accontentate di proporre semplice hard rock, ma hanno saputo ampliarne le tessiture grazie alla filosofia del prog. Questo tipo di proposta nel tempo evolverà, l’hard rock si trasformerà in heavy metal, che tra tutte le sue declinazioni includerà il prog metal, le cui basi si devono ricercare proprio nei dischi qui elencati, pubblicati nel decennio 1969-79.

“Sea Shanties” High Tide (1969)

Gli orrori marini, magistralmente narrati da visionari quali Lovecraft o Coleridge, trovano un corrispettivo musicale nell’opera degli High Tide. Specie quelli del primo disco (definito da più parti come il primo album prog metal della storia). Sea Shanties è pura furia orrorifica, con chitare tesissime e la lancinante presenza del violino elettrico di Simon House che cavalca le possenti onde del capolavoro nel capolavoro: lo strumentale Death Warmed Up, nel quale pare veramente di scorgere Cthulhu emergere dagli abissi.

“Sacrifice” Black Widow (1970)

Come vedremo in altri dischi di questa lista, l’hard prog non ha bisogno di chitarre granitiche per risultare potente. Il caso dei Black Widow è emblematico, solo un’acustica e il resto del suono che poggia sulle invenzioni di fiati e tastiere, oltre che sul canto altisonante di Kip Trevor. Ma provate ad ascoltare Come to the Sabbath e poi mi direte. Sacrifice è ossessivo e sepolcrale, un vero rito satanico inscenato anche dal vivo che influenzerà non poco i neonati Black Sabbath.

“Clear Blue Sky” Clear Blue Sky (1970)

Giovanissimo (pare che i componenti non superassero i 18 anni) trio inglese di grande impatto sonoro, i Clear Blue Sky nel 1970 danno alle stampe per la Vertigo un album dalla sontuosa gatefold cover realizzata da Roger Dean. A farla da padrona è la megasuite Journey to the Inside of the Sun, divisa in tre furiosi movimenti hard prog psych nei quali già si possono avvertire echi di quello che in futuro verrà chiamato stoner.

“Quatermass” Quatermass (1970)

La formula del trio è molto in voga in questo primissimo scorcio di ’70. I Quatermass fanno a meno di chitarra e basano tutto sul basso distorto e soprattutto sul devastante Hammond di Pete Robinson. La musica si muove su coordinate che fanno incontrare i Deep Purple con i Pink Floyd, con una menzione speciale per Post War Saturday Echo, lunga e dolente ballad di stampo blues che esplode in interventi hard-classicheggianti, e per il singolo Black Sheep of the Family, poi ripresa dai Rainbow. Occhio infine alla fantasmagorica copertina a cura di Hipgnosis.

“It’ll All Work Out in Boomland “ T2 (1970)

Ennesimo trio inglese ben fornito di strumenti extra rispetto ai classici chitarra-basso-batteria, si segnala soprattutto per il un grande uso del Mellotron, specie per simulare parti fiatistiche che vanno a corroborare l’esplosiva mistura. J.L.T. è una ballad di grande potenza evocativa, sulla seconda facciata poi il tour de force di Morning è da urlo: 21 minuti di saliscendi tra bordate chitarristiche, visioni psych e oasi acustiche.

“Three Parts to My Soul” Dr. Z (1971)

Fasciato in una stupenda copertina apribile, l’unico album dei misteriosissimi Dr. Z mette in campo un suono assai peculiare. Nessuna chitarra ma solo piano e clavicembalo a creare atmosfere dark hard prog con l’ausilio della voce stentorea del leader Keith Keyes. Three Parts to My Soul è un concept che immagina l’anima divisa in tre parti conflittuali, con sei lunghi brani tesi e spettrali alternati a momenti più distesi spesso sopraffatti dall’inquieto magma sonoro. Un disco di puro esoterismo sonoro.

“The 2nd of May” May Blitz (1971)

La benemerita Vertigo pubblica il secondo album degli anglo-canadesi May Blitz, un disco che si muove tra stilettate hard e psichedelia. Non mancano i consueti cambi di atmosfera a rendere il tessuto sempre interessante, vedi il passaggio tra le stilettate proto metal di For Mad Men Only e le allucinazioni di In Part, che sposa anche un certo incedere jazzato non perdendo mai il gusto per un sotterraneo nervosismo hard.

“Tips Zum Selbstmord” Necronomicon (1972)

Una band con un nome del genere non poteva che dedicarsi a un sound tetro e duro. I Necronomicon sono tedeschi e nel 1972 incidono un album dal titolo programmatico, la cui traduzione suona come “consigli per il suicidio”. Si tratta di un vero maelstrom sonoro con spunti hard, garage, psych, prog, folk e avanguardisti. Su tutto regna un’atmosfera apocalittica e surreale che elegge questo lavoro come perfetta colonna sonora per un mondo disastrato.

“Biglietto per l’Inferno” Biglietto per l’Inferno (1974)

Unici italiani della lista, i lecchesi Biglietto per l’Inferno sono responsabili di uno degli album più celebrati del prog nostrano, con decisi tocchi hard che a tratti rendono la proposta della band simile addirittura a quella dei futuri Iron Maiden. Biglietto per l’Inferno è un concept di rara intensità con riff possenti, musica in costante cambiamento e testi che ritraggono una realtà senza speranza, un palese disagio da parte di un giovane in lotta contro i dogmi religiosi e il benpensare. Non finirà bene.

“Hemispheres” Rush (1978)

Con Hemispheres i Rush raggiungono il massimo del loro fulgore. Specie nella prima facciata, interamente occupata dalla maestosa suite Cygnus X-1, Book II: Hemispheres, 18 e passa minuti di goduria hard prog sinfonico-spaziale, con i testi di Neil Peart che analizzano (nel contesto di una vicenda fantascientifica cominciata nel precedente A Farewell to Kings e qui portata a termine) l’eterna dualità tra istinto e ragione. Sulla seconda facciata poi i tre ci danno dentro a dimostrare tutta la loro maestria agli strumenti nei folli equilibrismi di La Villa Strangiato. Da qui al prog metal il passo è brevissimo.

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