Le migliori ristampe del 2020 | Rolling Stone Italia
Classifiche e Liste

Le migliori ristampe del 2020

Ripubblicazioni e box set sono sempre più ricchi e numerosi. Ecco i più interessanti dell’anno, direttamente dagli archivi di Tom Petty, Prince, Doors, Elton John, Iggy Pop, Motörhead, Bob Marley

Le migliori ristampe del 2020

Foto usate nell'illustrazone: Getty Images (2) e AP

Nel 2020 ci ha concesso più tempo per riscoprire e approfondire le opere di grandi artisti. Non sono mancate le possibilità di farlo, tra cui edizioni ampliate di album classici di Prince e Tom Petty, ricche panoramiche delle opere di Bob Marley, John Prine, Richard & Linda Thompson, e altro ancora.

Neil Young, “Archives Volume II (1972-1976)”

Neil Young - Archives Volume II (1972-1976)

Andare in tour è stato impossibile? Neil Young si è dedicato alle pubblicazioni d’archivio, dall’eccellente lost album Homegrown del 1975 a Return to Greendale. Ha chiuso l’anno con l’atteso Archives Volume II (1972-1976) che arriva dieci e passa anni dopo il precedente volume. Questi 10 dischi offrono una panoramica stupefacente del suo periodo migliore, quando pubblicava musica a un tale ritmo da mettere in difficoltà la sua etichetta. Ci sono 12 gemme inedite, da L.A. Girls and Ocean Boys a Greensleeves. Tra gli highlight, Young che canta alcuni secondi di I Got You Babe Babe di Sonny & Cher, Stephen Stills in una jam di Separate Ways e Young che si unisce a Joni Mitchell in Raised on Robbery. Se il 2020 ci ha insegnato qualcosa, è che nemmeno la pandemia può fermare Young. (A.M.)

Prince, “Sign O’ the Times (Super Deluxe Edition)”

Il doppio del 1987 era un miscuglio eclettico di funk, pop, rock, R&B, gospel che parlava d’amore, sesso e fede. Un capolavoro. E sembra persino meglio dopo aver passato al setaccio le quasi quattro ore di inediti della ristampa super-deluxe. All’epoca Prince giocava su vari tavoli: stava registrando canzoni per un doppio LP intitolato Dream Factory; per il triplo LP Crystal Ball; per un progetto parallelo in cui il suo canto era accelerato e in cui si faceva chiamare Camille; per un musical che ha poi saggiamente accantonato; per un progetto per Bonnie Raitt; per una collaborazione con Miles Davis; e potremmo andare avanti. È impossibile rintracciare un pensiero musicale univoco, il che rende ancora più eccitante trovare le perle contenute nei suoi archivi. (K.G.)

Tom Petty, “Wildflowers & All the Rest”

Mai mettere in dubbio l’intuito di Tom Petty. È l’insegnamento che si trae dalla versione su cinque CD di Wildflowers che porta a ocmpimento il progetto originale del rocker che voleva che l’album fosse doppio (la Warner Bros. si oppose per vari motivi) e vi aggiunge extra di valore, performance dal vivo, registrazioni casalinghe. Quello che doveva essere il secondo disco di Wildflowers è il più rivelatore: brani inediti come il fingerpicking di Harry Green, il midtempo sognante Something Could Happen o la power ballad Somewhere Under Heaven ampliano ulteriormente la tavolozza di colori usata da Petty per lavorare all’album nel 1992, rendendo ancora più impressionante la trama variegata eppure coesa dell’originale. (J.B.)

Elton John, “Jewel Box”

Elton John ha già pubblicato un box set, l’oramai fuori catalogo To Be Continued…, ma Jewel Box è tutt’altra cosa. I suoi otto CD includono una gran quantità di materiale inedito e una quantità ancora maggiore di canzoni note in una forma o nell’altra, sia su album che su singolo. Elton John non ha svuotato i cassetti: ha svuotato tutta la casa. I gioielli sono le registrazioni precedenti il boom, effettuate alla fine degli anni ’60, che occupano tre dischi. Potete considerare il confanetto un affascinante studio psicologico: è Elton che immagina un universo alternativo in cui il suo pezzo rock più amato è (Gotta Get a) Meal Ticket e non The Bitch Is Back e al pubblico I Think I’m Going to Kill Myself piace più di Crocodile Rock. (D.B.)

Bob Marley, “The Complete Island Recordings”

Per commemorare il 75° compleanno di Marley, l’intero catalogo della leggenda del reggae è stato ristampato in versione deluxe su CD e rimasterizzato in half speed in vinile. Dai dischi del 1973 Catch a Fire e Burnin’ alle ultime incisioni del 1980 contenute in Uprising e nel postumo Confrontation, è uno dei cataloghi più influenti della musica pop. La serie di ristampe comprende anche l’antologia di successo Legend e i dischi dal vivo Live! e Babylon by Bus. All’inizio del 2021 sarà disponibile anche un’edizione limitata degli album di Marley stampati e numerati presso la sede della Tuff Gong International a Kingston, in Giamaica. Sarà inclusa la versione originale giamaicana di Catch a Fire. (J.D.)

The Rolling Stones, “Goats Head Soup (Deluxe Edition)”

Goats Head Soup non era e non è il disco che uno s’aspetta dagli Stones dopo Exile on Main St. Dopo un decennio passato in sala d’incisione e in tour per il mondo, per non parlare di eccessi vari, gli Stones sembravano esauriti, persino malinconici, addirittura vulnerabili – in altre parole, esseri umani, non divinità rock invincibili. I mix alternativi non aggiungono granché al disco, meglio la jam strumentale Dancing with Mr. D che permette di spiare la band che registra senza Jagger o l’outtake Scarlet che è più sporca rispetto alle tracce pubblicate (forse per via del riff di Jimmy Page). E nel live The Brussels Affair, dall’ultimo tour con Mick Taylor, gli Stones suonano alla grande. (D.B.)

Iggy Pop, “The Bowie Years”

David Bowie era il massimo sostenitore di Iggy Pop. Gli ha prodotto Raw Power ed è andato a trovarlo quando a metà anni ’70 era ricoverato in un ospedale psichiatrico a lottare con la dipendenza. Sono poi andati assieme a Berlino dove Bowie ha prodotto e contribuito a scrivere The Idiot e Lust for Life, entrambi del 1977. In pezzi come China Girl e Tonight, poi rifatti dall’inglese, Iggy sembrava ringiovanito e il tour che è seguito, con Bowie alle tastiere, ne ha solidificato il mito. Questo box set mette assieme i due dischi, l’album dal vivo dimenticato TV Eye, un CD di demo e rarità, tre bootleg inediti registrati nel marzo 1977 che testimoniano la nascita di una leggenda. (K.G.)

John Lennon, “Gimme Some Truth. The Ultimate Mixes”

Nell’ottantesimo anniversario della nascita, la famiglia di John Lennon ha pubblicato un’incredibile collezione di 36 pezzi solisti. Le nuove versioni sono remixate dai master originali, che fanno brillare il suono di pezzi meno noti come Steel and Glass e I’m Losing You e di classici come God e Watching the Wheels. Tra le curiosità incluse nel cofanetto c’è una copia della lettera spedita da Lennon alla Regina Elisabetta II in cui restituisce il titolo di membro dell’Ordine dell’Impero Britannico. «È stato un anno duro per tutti», ci ha detto Sean Ono Lennon, che ha prodotto la raccolta. «Avere un motivo per andare a riscoprire la musica di mio padre, riascoltarla, ripensarla è stato terapeutico. È stata un’opportunità di tornate indietro negli anni e riconsiderare il suo lavoro». (A.M.)

Paul McCartney, “Flaming Pie: Deluxe Edition”

A metà anni ’90 Paul McCartney ha rivisitato gli anni dei Beatles nel documentario Anthology, è stato nominato cavaliere, ha condotto un programma radiofonico chiamato Oobu Joobu, tutte esperienze che l’hanno messo nello stato d’animo giusto per realizzare Flaming Pie. È un potpourri datato 1997 di pezzi rock, ballate e jam prodotto da George Martin, con pezzoni come la dolce Beautiful Night e la title track ispirata a Lennon. La ristampa super-deluxe contiene registrazioni casalinghe, prove in studio, outtake e un po’ di Oobu Joobu. Le demo casalinghe sono scarne e intime, e ogni cosa è tenuta assieme dai brani tratti dai programmi radiofonici e da una visita di un’ora nello studio casalingo del musicista. È il tipico cofanetto in cui i pezzi extra contribuiscono a completare il puzzle. (K.G.)

The Doors, “Morrison Hotel (50th Anniversary Deluxe Edition)”

Dopo il suono da big band di The Soft Parade, i Doors tornarono all’essenziale con Morrison Hotel. Robby Krieger ci mise i groove di Roadhouse Blues e Peace Frog, Ray Manzarek la psichedelia di Waiting for the Sun, Jim Morrison il crooning di Indian Summer. L’edizione per il quarantesimo anniversario aggiunge alla track list esecuzioni in studio inedite di Queen of the Highway, Peace Frog e Roadhouse Blues. Nella Take 1 di quest’ultima si sente Morrison creare l’atmosfera giusta per il pezzo: «Abbiamo una confezione da sei birre e qualche canna, ascoltiamo la radio e guidiamo verso la locanda attraverso la natura». Krieger tirò fuori un assolo migliore, la traccia vocale di Morrison non era buona quanto quella finita sul disco, ma la take ci permette di comprendere il metodo di lavoro della band. (K.G.)

Motörhead, “Ace of Spades: 40th Anniversary Edition”

Dopo avere acquisito sicurezza nel 1979 con due capolavori hard rock, i Motörhead hanno raggiunto il loro picco con Ace of Spades del 1980. Lemmy Kilmister sputa canzoni sul fatto di essere uno nato per perdere che vive per vincere e lo fa su basi rock’n’roll scarnificate e crude. Il box set per il quarantesimo anniversario offre un’ampia panoramica dell’album con registrazioni dal vivo, lati B, rarità, demo strumentali, un DVD di apparizioni televisive, un libretto di 40 pagine che racconta la storia del disco e altri gadget. Non è un “asso di picche”, è una scala reale. (K.G.)

Def Leppard, “The Early Years 79-81”

Prima di diventare superstar hair metal, i Del Leppard guidavano la New Wave of British Heavy Metal con riff pesanti e canzoni sul devastarsi il sabato sera (per il dispiacere di Tipper Gore). I loro grandi successi, all’epoca, erano the Bringin’ on Heartbreak poi rifatta da Mariah Carey e Let It Go, che a malapena entrarono nella classifica dei pezzi rock del 1981. Nel giro di anno, sarebbero arrivati al numero uno con Photograph, col risultato che i pezzi dei primi due album On Through the Night e High ‘n’ Dry sparirono dalle set list. The Early Years è dedicato a quel periodo e include un live dal suono fantastico risalente al 1980, qualche lato B e rarità (tra cui il Def Leppard EP), session alla BBC del 1979-80. (K.G.)

Joni Mitchell, “Archives – Volume One: The Early Years (1963-1967)”

Registrazioni effettuate in piccoli club, session radiofoniche, demo casalinghi: questa raccolta dedicata agli anni precedenti la firma del contratto discografico è un bel viaggio negli archivi di Joni Mitchell. È una storia che somiglia a quella di tanti altri cantautori della sua generazione: gli inizi nei bar e nelle caffetterie suonando antichi pezzi folk e poi le prime canzoni originali in cui mostra una sensibilità personale. Ma persino quando canta Woody Guthrie, Mitchell mette le cose in chiaro: non è una folksinger come le altre. E alla fine del cofanetto, dopo aver sentito la prima versione di Both Sides Now, Night in the City e Eastern Rain, si incontra infine l’autrice pienamente formata che conosciamo. (D.B.)

John Prine, “Crooked Piece of Time: The Atlantic & Asylum Albums (1971-1980)”

John Prine poteva far la fine di altri cantautori che hanno debuttato con una serie di canzoni tanto importanti da definirne la carriera (nel suo caso, Sam Stone, Hello in There, Paradise, Angel From Montgomery) e penalizzare i dischi successivo. E invece Prine è riuscito a pubblicare ogni volta una mezza dozzina di grandi pezzi, diversificando le atmosfere dei suoi dischi. Questo box set di 7 CD raccoglie i suoi dischi del periodo 1971-1980 e permette di godere non solo il fondamentale John Prine, ma anche Sweet Revenge, Bruised Orange e Pink Cadillac, il disco prodotto da Sam Phillips che un tempo sembrava una mezza débâcle e  cheora suona giusto un po’ confuso. Meritano anche i pezzi meno noti, dalle narrazioni dimenticate come Blue Umbrella ai consigli brillanti di It’s Happening to You fino all’improbabile folk disco Saddle in the Rain. (D.B.)

Bob Mould, “Distortion”

Negli ultimi trent’anni, dopo la fine degli Hüsker Dü, Bob Mould è stato un cantautore alternative folk, un dilettante dell’elettronica, un dj dance. Ma alla fine è sempre tornato alle sue radici noise rock, nei dischi solisti e a metà anni ’90 con gli Sugar. Distortion raccoglie le incisioni di Mould fino a Sunshine Rock dell’anno scorso (è quindi escluso Blue Hearts del 2020), compresi i progetti Blowoff e Loudbomb, rarità, quattro dischi dal vivo e un bel booklet con testi e note di copertina. È il ritratto completo di uno dei più importanti architetti del rock moderno. (K.G.)

Richard & Linda Thompson, “Hard Luck Stories 1972-1982”

Non esiste una sequenza di album di folk britannico fuori dal tempo paragonabile a I Want to See the Bright Lights Tonight (1974), Hokey Pokey (1974) e Pour Down Like Silver (1975) di Richard e Linda Thompson. Hanno la scrittura cupa e a tratti dickensiana di Richard, la voce di Linda, arrangiamenti che mescolano gli strumenti tradizionali del folk con quelli elettrici del rock. Gli otto CD di questo box set contengono i dischi citati e gli altri tre della coppia, compreso l’ultimo e catartico Shoot Out the Lights. Né mancano le rarità: la versione cantata da Linda di End of the Rainbow, un disco di pezzi dal vivo risalenti al periodo 1975-77, l’album di cover Rock On dei Bunch inciso dai Thompson con altri protagonisti della scena folk, da tempo fuori catalogo. Richard Thompson ha fatto tanta altra grande musica da allora, ma le radici del suo stile sono qui. (D.B.)

The Replacements, “Pleased to Meet Me (Deluxe Edition)”

Pleased to Meet Me è il disco in cui i Replacements hanno cercato di fare il botto. Il relativo box set uscito quest’anno mostra che il disco poteva essere persino migliore. Pur avendo ripulito il sound, il trio, con l’aiuto di un folto cast di musicisti, riuscì a piazzare due classici, Alex Chilton e Can’t Hardly Wait. La musica registrata durante quelle session è riemersa in singoli e compilation. Qui ci sono anche demo, versioni alternative e pezzi rimasti inediti. La parte più interessante è costituita dai Blackberry Way Demos, che erano già stati in parte pubblicati. Ci sono anche le ultime incisioni di Bob Stinson con la band. Pezzi come I.O.U., Time Is Killing Us, Valentine mostrano l’album che poteva essere e non è stato. (K.G.)

Pylon, “Pylon Box”

Nati nei primi anni ’80 nella città universitaria di Athens, Georgia, i Pylon misero a punto un nuovo tipo di rock sudista che finì per influenzare R.E.M. e Sleater-Kinney. Il loro sound era scarno ma divertente, disorientante ma invitante, al passo col dance punk di band britanniche come Gang of Four e Au Pairs. Pylon Box contiene i due album della band dei primi anni ‘80 (Gyrate del 1980 e Chomp del 1983), la registrazione di una prova del 1979 e un disco di singoli/demo/outtake. È la storia di un gruppo di studenti d’arte che vivono nel bel mezzo del nulla e usano la loro stessa lontananza dalle grandi città per creare musica libera e inventiva. Meritano. (J.D.)

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US. Schede di Jon Dolan, Angie Martoccio, David Browne, Kory Grow, Jonathan Bernstein