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Le migliori autobiografie musicali, da Keith Richards a Flea

Le teoria sulla droga del chitarrista degli Stones, gli acidi per bambini del bassista dei Peppers, le confessioni di Elton John, il testamento dei Beastie Boys: ecco i libri più belli con cui scoprire la vita dei giganti della musica

Foto: Getty Images

Da quando nel 400 dopo Cristo sant’Agostino scrisse le sue Confessioni, considerate il primo esempio di autobiografia della storia dell’uomo, ne è passata di acqua sotto i ponti. E in tempi più recenti, senz’altro è uno dei generi letterari in cui i musicisti si cimentano più volentieri, con grande gioia di chi, come noi, ama leggere e scrivere di musica. Non tutte però, bisogna ammetterlo per onestà intellettuale, resteranno negli annali della letteratura: forse avremmo fatto a meno senza rimpianti di quella dei Jonas Brothers, ad esempio. Altre resteranno sì a imperitura memoria dei posteri, ma per i motivi sbagliati: come quella di Moby, diventata famosa soprattutto per le sue vagamente viscide allusioni a una relazione sessuale con una giovanissima Natalie Portman, poi smentite dalla diretta interessata. Ad ogni modo, siccome l’inverno è fatto per rintanarsi sotto una coperta con un disco epocale in sottofondo, una tazza di tè fumante in una mano e un buon libro nell’altra, ecco le migliori autobiografie musicali uscite negli ultimi dieci anni (tradotte in italiano o ancora in lingua originale), da regalarsi e regalare per resistere fino al disgelo.

“Life” (anche in italiano per Feltrinelli) di Keith Richards

La monumentale autobiografia del chitarrista dei Rolling Stones – anche se è forse riduttivo definirlo semplicemente così – è una delle migliori dimostrazioni del fatto che, quando uno ha parecchio da raccontare e se ne frega di quello che la gente penserà quando lo farà, il risultato non può che essere eccezionale. Memorabili le sue teorie sulle droghe (secondo lui, se gli Stones sono sopravvissuti agli anni ’60 e ’70 è perché ancora non le tagliavano con altre sostanze), le sue storie d’amore con donne stupende come Ronnie Spector delle Ronettes e la modella Anita Pallenberg, e soprattutto la sua eterna bromance e rivalità con l’altro Glimmer Twin, Mick Jagger. Da non perdere.

“Born To Run” (anche in italiano per Mondadori) di Bruce Springsteen

L’idea di scrivere una biografia, di fissare nero su bianco le sue esperienze straordinarie, è nata dopo l’esibizione al Super Bowl del 2009, ma ci sono voluti parecchi altri anni di lavoro (e cinquecento e passa pagine di flusso di coscienza) per riassumere finalmente in un libro la vita e la leggenda di Bruce Springsteen. L’edizione americana di Rolling Stone lo ha definito “Epico ed esilarante, pieno di maiuscole e punti esclamativi tipici di un papà che adora mandare messaggini sul telefono”. Migliore descrizione non poteva esserci.

“Me” (anche in italiano per Mondadori) di Elton John

Secondo buona parte della critica, e perfino stando al parere dei suoi esigentissimi fan, finora Me è il capitolo migliore del trittico di opere (il film Rocket Man, il tour Farewell Yellow Brick Road e l’autobiografia in questione) che dovrebbe accompagnare l’addio alle scene di sir Elton. Sincero fino all’inverosimile, autoironico come pochi, Elton non si autocensura mai, neppure quando si tratta di raccontare i postumi del suo cancro alla prostata ormai guarito, o della prima volta che ha pippato ed è corso a vomitare per poi tornare subito a chiederne ancora. Una favolosa testimonianza degli anni d’oro del glam rock e non solo.

“Beautiful Ones” (anche in italiano per HarperCollins) di Prince

La brutta notizia è che si tratta di un’opera incompiuta, e di parecchio: Prince, morto improvvisamente nel 2016, aveva scritto (a mano) solo una cinquantina di pagine, lavorando fianco a fianco con il giornalista Dan Piepenbring, che aveva fortemente voluto per questo progetto e con cui già da tempo si incontrava regolarmente per realizzarlo. Ed è proprio basandosi su questi incontri e i ricordi condivisi da Prince che Piepenbring ha completato il libro, seguendo quelle che sarebbero state le volontà del genio di Minneapolis. Purtroppo non è di grande consolazione a chi avrebbe voluto leggere il testo integrale, ma resta una preziosa testimonianza del suo incredibile mondo interiore.

“Possibilities” (anche in italiano per Minimum Fax) di Herbie Hancock

Il leggendario pianista e compositore detiene parecchi primati, tra cui ad esempio quello di avere inaugurato una proficua stagione di collaborazioni tra la scena jazz e quella hip hop (con il celeberrimo Rockit, del 1983). E nei suoi 75 anni di vita, e negli oltre 50 di carriera, ha suonato e lavorato con chiunque, da Miles Davis in giù. Anche in questo caso, però, i dati più interessanti sono quelli biografici: per la prima volta, ad esempio, racconta i suoi drammatici trascorsi con il crack, che non aveva mai svelato in maniera così esplicita.

“My Love Story” (anche in italiano per HarperCollins) di Tina Turner

Qualche giorno fa ha festeggiato ottant’anni, vissuti in maniera davvero intensa: dagli esordi al fianco del marito Ike (una relazione purtroppo passata alla storia per gli abusi e le violenze di lui) alla rinascita, fino agli anni ’80, in cui fu la prima vera grande diva crossover, adorata sia dagli amanti del rock che da quelli del soul. La sua è una storia molto commovente; dopo molti drammi e tragedie, culminate con il suicidio del figlio Craig, Tina ha ritrovato la serenità grazie alla fede buddista, affrontando con coraggio e saggezza la vecchiaia.

“Porcelain” (anche in italiano per Mondadori) di Moby

Questa, che si concentra sugli anni che precedono il grande successo di Moby, è un’autobiografia controversa e chiacchieratissima, soprattutto per le rivelazioni su una presunta relazione con Natalie Portman che hanno messo il suo autore (a ragione, effettivamente) al centro del mirino del movimento #MeToo, costringendolo addirittura a interrompere il suo tour di presentazione in America. Le recensioni non sono state entusiastiche, non tanto per la qualità del libro, quanto per la vena bizzarra e spiazzante del diretto interessato, che tra un eccesso alcolico e l’altro trova il tempo di ringraziare gli scoiattoli, diventare vegano, frugare nei cassonetti alla ricerca di mobilia e tante altre cose ancora. Da leggere anche solo per curiosità.

“No, non sono ancora morto” (anche in italiano per Mondadori) di Phil Collins

Il titolo, molto ironico, è un riferimento al fatto che molti, quando incontrano Phil Collins, si meravigliano del fatto che sia ancora vivo (e in effetti c’è da stupirsene, considerando tutti i problemi di salute che ha attraversato). Il libro, che ripercorre in maniera equilibrata tutta la sua carriera fin dagli anni ’60, senza concentrarsi solo sul periodo dei Genesis, racconta anche vari retroscena personali, tra cui quelli relativi alle sue magagne, dai danni ai nervi della spina dorsale ai problemi al pancreas causati dall’alcol.

“Let’s go (So we can get back)” (anche in italiano per Big Sur) di Jeff Tweedy

Eletta una delle migliori autobiografie uscite in America nel 2018, è un toccante ed esclusivo dietro le quinte in cui il frontman dei Wilco, notoriamente piuttosto riservato, si apre su svariate questioni, dal processo creativo che lo porta a fare musica ai drammi personali, mostrando una profondità pari solo a quella che riesce a tirare fuori quando scrive canzoni.

“Acid for the children” (per ora solo in lingua originale) di Flea

“Spero che possa essere un buon libro non solo per i fan della band, ma che possa anche stare in piedi da solo come opera letteraria”, ha dichiarato l’autore prima di pubblicarlo. Ovviamente, però, è quasi impossibile che questo non sia un libro fortemente incentrato sui Red Hot Chili Peppers, considerando che lui e Anthony Kiedis si sono conosciuti quando avevano appena quattordici anni. E la narrazione si concentra soprattutto su quel periodo pre-fama e sulle loro avventure nella Los Angeles degli anni ’80. Tanto che molti sospettano che Acid for the Children sia il primo libro di una serie, il che sarebbe un’ottima notizia

“Face It” (per ora solo in lingua originale) di Debbie Harry

I critici letterari americani lo consigliano anche a chi non è fan dei Blondie ma adora Sex and the City, perché quella di Debbie Harry è una vera e propria lettera d’amore alla ruggente e selvaggia New York pre-gentrificazione, in cui svariate scene artistiche e sottoculture si intersecavano e si stratificavano nel sottobosco della metropoli. Insomma, non ci sono proprio scuse per non leggerlo.

“Decoded” (per ora solo in lingua originale) di Jay-Z

Quella di Jay-Z è un’autobiografia atipica, perché di fatto è in parte libro illustrato (contiene moltissime foto d’archivio e opere create ad hoc) e in parte una sorta di antologia dei testi (contiene anche le sue liriche più famose, decodificate da lui in persona per permettere al lettore di coglierne ogni significato, da qui il titolo). Annunciata con un monumentale battage pubblicitario che ha coinvolto l’intera città di New York, che si è prestata a pubblicare intere pagine del libro sulle pensiline degli autobus, nei menù delle tavole calde e su qualsiasi altra superficie disponibile, è ancora oggi considerato uno dei migliori libri mai pubblicati da un rapper.

“The Beastie Boys Book” (per ora solo in lingua originale) di Beastie Boys

Affettuosamente soprannominato “Pizza” per via della foto di copertina, che vede i tre allora giovanissimi rapper davanti a una pizzeria, è un libro riccamente illustrato che celebra il gruppo, ma purtroppo ne segna anche la fine: dopo la morte di MCA, scomparso prematuramente per un cancro, Mike D e AD-Rock hanno voluto celebrare il loro sodalizio con questo volume, che probabilmente è anche l’ultimo progetto che porterà il nome dei Beastie Boys.

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