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Le canzoni estive non devono essere per forza orrende

Basta ritmi latini da discount, l'estate può essere cantata anche in altri modi. Lo dimostrano queste 10 canzoni italiane, da Battisti a Dalla passando per Renato Zero, Edoardo Bennato, Diaframma

Foto: Mondadori via Getty Images

Non c’è alcun dubbio: ascoltando quello che passa la radio nei bar, in spiaggia, nei supermercati le hit estive italiane di questo 2021 sono oggettivamente terrificanti. Sono pura spazzatura e anche se superare Ostia Lido di J-Ax di due anni fa è difficile ci stiamo avvicinando al Guinness dei primati dell’orrore musicale. Perciò ci chiediamo: le canzoni estive devono per forza far cacare?

La risposta è chiaramente negativa. E lo dimostreremo in questa veloce carrellata di canzoni d’epoca in cui il calore, la spiaggia, il mare non sono meri cliché, ma qualcosa di esistenziale perché la stagione ti cambia e non può essere racchiusa in quattro accordi sempre uguali e in ritmi latini da discount. Per liberarsi dall’assuefazione dalle brutte canzoni estive, date un ascolto a queste tracce.

“Bist Du Bei Mir” Milva (2010)

La musica giovane non è per forza prerogativa dei giovani e in questo brano magistralmente interpretato Milva la rossa lo dimostra con prepotenza. Scritto dall’invincibile coppia Sgalambro-Battiato, è un pezzo house apparentemente scanzonato con leggere spruzzate latin, ma nelle sue crepe si cela l’impensabile. Prima di tutto il testo, in cui eros e thanatos sono perfettamente legati a un’estate, tanto spensierata quanto tragica (“sull’ orlo di un precipizio / mi inviti adesso a giocare”). E poi la musica, che oltre a presentare nell’introduzione frammenti pianistici automatizzati tanto cari alle opere colte di Battiato, cita (o meglio dire scippa) a Bach il ritornello dal quale il pezzo prende il nome ed è appunto il titolo di un lied del compositore tedesco. La traduzione del testo (originale del Settecento) rivela queste parole di deflagrante romanticismo: “Se tu sei con me / andrò volentieri alla mia morte e al mio riposo / ah, com’è stata piacevole la mia fine / se le tue care mani allora / chiudano i miei occhi fedeli”. Un capolavoro che è la summa della decadenza estiva tutta.

“Avventuriera” Gianna Nannini (1986)

Le ultime notizie ci davano Nannini in azione mentre mandava in deliquio il pubblico cantando Un’estate italiana aka Notti magiche al Lazzaretto di Bergamo, brano che dopo la vittoria degli azzurri agli Europei è tornato in auge come se agli italiani quel motivetto fosse rimasto in gola dai ’90 ad oggi per la famosa mancata vittoria ai mondiali. Ma Gianna Nannini ha cantato precedentemente l’estate in modo molto più potente, come ad esempio in questo singolo che all’epoca andò bene ma non sufficientemente per rimanere nell’immaginario collettivo. Ed è invece un grandissimo affresco di un estate on the road, tra amiche in un gioco lesbo/bisex attraversando e abbattendo confini, razze e generi ( “torneremo in quel caffè di Porta Ticinese / parleremo in arabo / ti bacerò in cinese”), racchiuso in un ricordo di libertà appunto avventuriero. Uno dei punti di poesia più alto della nostra Gianna, irrobustito da un rock massiccio che sostiene una melodia irresistibile in un periodo in cui non era troppo scontato virare verso certe sonorità dopo la sbornia synth pop (di cui è stata pioniera assoluta). Ultima produzione, tra l’altro, del fido Conny Plank che putroppo lascerà questo mondo poco dopo l’uscita dell’album Profumo, da cui questo singolo è tratto. Da rivalutare assolutamente e da cantare a squarciagola in un’epoca come questa in cui su ogni “avventuriera” si punta il dito.

“Il gioco continua” Edoardo Bennato (1988)

E parlando di notti magiche non possiamo dimenticarci il partner di allora della Nannini, ovvero Edoardo Bennato. A un certo punto della sua carriera, particolarmente felice in termini di vendite e popolarità (parliamo del periodo Ok Italia), viene pressato dalla Virgin affinché produca delle hit, insomma la classica storia del limone da spremere finché dura. Edoardo prova a smarcarsi per quanto può, perché l’ ispirazione non scende dagli alberi: pubblica un disco dal vivo con un inedito (Edoardo Live), poi però si sente con le spalle al muro e per far stare buoni tutti pubblica l’EP Il gioco continua, un accrocco fatto di ripescaggi riarrangiati e di cover. La title track è appunto un rifacimento di un pezzo americano del 1969, per l’ esattezza Games People Play di Joe South, riarrangiato in un irresistibile stile italo-digitale in cui il testo graffiante la fa da padrone. Edo denuncia senza peli sulla lingua la casa discografica che lo costringe alla competizione delle classifica, una gara in cui “non si vince niente”. E mentre arranca in questo “gioco” (che non è né più né meno che il game della trap), rivela il disagio di un’estate che lui non vedrà: “E tu bambina con lo sguardo dolce / che continui imperterrita a sognare / come vorrei non deluderti / come vorrei farti volare / ma ieri quelli dell’ufficio opinioni mi hanno chiesto d’urgenza un disco nuovo / io quest’estate volevo portarti al mare invece devo stare al gioco”. Più chiaro di così. Sarebbe bello che gli autori degli attuali pezzi latin confessassero lo stesso dramma, almeno per poter avere una giustificazione alle loro malefatte…

“Windsurf Windsurf” Lucio Battisti (1982)

Se c’è un pezzo che potremmo definire estivo per eccellenza è questo. Tratto dal disco più controverso di Battisti, ovvero E già, che si pone come spartiacque tra l’era Mogol e l’era Panella, è una cavalcata bizzarra di synth pop cerebrale e minimalista, con armonie audaci ma nello stesso tempo un testo semplice e melodie che cercano una via altrettanto diretta. Una narrazione quasi da home video delle vacanze, in cui Battisti narra in maniera autobiografica la sua passione per il windsurf, con tutti i particolari del caso, quotidiani e assolutamente anonimi (“mi mangio una mela”). Sport visto come modo per andare lontano dalla città rumorosa, un po’ come il mare di Battiato che portava lontano a naufragare. In questo caso è il windsurf a liberare il soggetto e non il mare in sé, un po’ come la passione dei Kraftwerk per le biciclette. Per un’estate all’ insegna della tecnica e della tecnologia applicate al sentimento, insomma.

“Caldo” Diaframma (1988)

Uno spaccato iperrealista dell’estate ci viene da questo grande pezzo dei Diaframma, quando Fiumani si cimentava nella voce solista in Boxe, al posto di Sassolini, ma soprattutto nella versione sotto l’egida di Vince Tempera. Il binomio pianoforte e voce ne fa un instant classic della musica italiana. La sensazione è di disagio e di distanza: “Io sono venuto a trovarti al mare / per guardarti nuotare e baciare i tuoi bambini”, con lui vestito come in città che muore di calore, tra pensieri che esplodono, autostrade che sembrano serpenti che strisciano e l’impossibilità di ricominciare perché “non vale la pena / con questo caldo”. L’estate come trappola, la luce del giorno come si fosse in Tenebre”di Dario Argento, il bagnasciuga come tomba dei sentimenti alla faccia degli amorazzi. Una grande canzone che più che essere anti estiva è contro i luoghi comuni dell’estate e dice esattamente le cose come stanno. Altro che Malibu

“Giallo uguale sole” Adriano Pappalardo (1982)

Prima della svolta techno pop, Battisti fa delle prove di produzione con Adriano Pappalardo. Avevano in comune la passione, oltre per la musica soul, per il mare, le immersioni, il windsurf. Ragion per cui il primo album in cui il duo lavora insieme è Immersione, un concept sul mare da cui viene tratto un singolo Giallo uguale sole, esplicito in materia di manicheismo città/brutta vs isola/bella. Il cantante incita la gente ad abbandonare il grigio delle città industriali (in questo caso Milano) per buttarsi nei “mari del sud / e fianchi ed occhi scuri / dolce nirvana / che immaginavo appena”. Questo anche solo sognando l’estate, la fuga, che per Pappalardo è già l’inizio di una rivoluzione, di un cambio di prospettiva abbandonando l’illusione suicida dell’uomo civilizzato per il buon selvaggio in armonia con la natura e le sue lussureggianti ipnosi. Tutto questo ovviamente in una solarizzazione sintetica, dove la macchina sembra abbandonarsi al calore della natura fino a fondersi letteralmente sotto il sole.

“Palinuro Bar” Nino Buonocore (1980)

Non molti lo sanno ma Buonocore, prima di cose come Scrivimi, era in zona new wave. Questo brano contenuto nel suo Q-disc di debutto dall’ambiguo titolo di Acida è il non plus ultra del suo stile in questo senso, tra chitarroni passati direttamente nel mixer e pad algidi. Anche qui in cui l’estate porta disillusioni, assunzioni di Cibalgina, separazioni naturali e storie che finiscono malamente. Ma fortunatamente c’è un colpo di scena: “Toh guarda chi c’è / Tony la bionda / se amicizia fa / la fa profonda”. Il protagonista sembra risolvere le sue delusioni amorose gettandosi nelle braccia di un trans, generoso e solare. Un brano che potremmo definire assoluto nel descrivere lo spaccato di vita in una Palinuro che ha anche una dark side. È un pezzo importantissimo che ha ispirato, tra le tante cose, le scorribande dei guaglioni di Napoli Segreta, per i quali rappresenta quasi il miracolo di San Gennaro in forma di canzone pop.

“Zona Bikini” Zerozen (2000)

Negli anni ’90 nella penisola tutto pullulava di musica indie, non ancora nell’accezione italica di oggi. Tra i tanti gruppi meteora di allora, gli Zerozen sembravano avere le carte in regola per avere un posto in classifica. In realtà ebbero un modesto seguito per quello che avrebbero dovuto e potuto ottenere, ma ciò non ha importanza. Ci lasciano in eredità un pezzo estivo sulla scia di Vamos a la playa, cioè un incubo da dopobomba tra mutazioni dovute al cibo transgenico e un tentativo di sopravvivere all’estate. Il doppio senso del titolo gioca appunto sugli esperimenti nucleari nell’atollo di Bikini e sul bikini che deve calzare nella prova costume. Questa paranoia anni 3000 è descritta egregiamente con un techno/lounge caratterizzato dalla voce volutamente infantile della frontwoman, proiettata in un’estate da surriscaldamento globale.

“Galeotto fu il canotto” Renato Zero (1981)

Tra le canzoni estive più dirompenti della storia d’Italia non possiamo non citare questa perla di Renato Zero, un singolo che narra senza freni di un uxoricidio in piena estate. L’affitto di un canotto, un luculliano pic-nic da consumare sul mare, ed ecco che il protagonista fa annegare la tediosa lei allontanandosi impunito col cestino del pranzo colmo di roba. Il brano suona scanzonato nei suoi vibrati glam rock e per questo agghiacciante nella sua grottesca e psicotica narrazione. Probabilmente oggi griderebbero allo scandalo ma (inutile spiegarlo) il nostro Renato non faceva altro che dipingere un mondo violento che trova nelle situazioni più quotidiane e apparentemente innocue l’humus per attecchire. Con il suo humour nero quasi anglosassone è più attuale che mai: quando lui dice che per colpa di un canotto la sua dolce metà è defunta, usa le stesse parole di Letta quando dice che a Voghera un uomo è morto per colpa di una pistola.

“Ciao” Lucio Dalla (1999)

Dulcis in fundo, uno dei brani meno considerati del Dalla nazionale pur essendo uno dei più potenti. Riflettendo sulla follia della guerra in Kosovo, Dalla si rivolge a quegli italiani che sono sulle spiagge come se nulla fosse, come se una simile tragedia a pochi chilometri da loro non li toccasse, dando loro una sonora sberla. Con una musica elettronico-sinfonica con aromi ossessivi quasi jungle e parole dure quanto allucinate, mette in chiaro quella che sarà la malattia degli anni 2000: “ La spiaggia di Riccione / milioni di persone / le pance sotto il sole / il gelato e l’ombrellone / abbronzati un coglione / non l’hai capito ancora / che siamo stati sempre in guerra / anche il 15 a Viserba”. Ce la portiamo oggi nelle radio, in queste musiche fatte con il deretano, nei testi fuori dal mondo che parlano di divertirsi in piscina o in luoghi esotici, come se non fossimo in piena emergenza, come se il mondo non si fosse fermato. È il momento di dire a questo sistema di cose un fermo e sonoro ciao: soprattutto ad agosto, che magari anche l’idiozia va in ferie.

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