Le 20 copertine più hot di sempre | Rolling Stone Italia
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Le 20 copertine più hot di sempre

Dai genitali di John Lennon fino alla gigantessa nuda dei Red Hot Chili Peppers e al fiore a forma di pene di Prince, ecco le cover che hanno sfidato la censura, spingendo i confini dell'arte (e del buon gusto) un po' più in là

Le 20 copertine più hot di sempre

Tanti anni fa, prima che il porno diventasse un bene per le masse, l’immagine più spinta che si poteva trovare nella camera di un teenager era la copertina di un album. Musicisti ed etichette discografiche avevano capito che una foto con una ragazza mezza nuda in copertina faceva vendere più copie, questo fino a che non è stato cancellato il limite tra “sexy” e “sessismo”. Tuttavia, queste 20 cover hanno oltrepassato decisamente il normale livello di prurito, sovraccaricando le cellule cerebrali dell’America perbenista con un livello di nudità cui non era abituata, tra corpi avvinghiati, volgarità e la conseguente censura. Quindi, senza indugiare oltre, ecco a voi le 20 copertine più sporche di sempre.

“Whipped Cream & Other Delights” di Herb Alpert’s Tijuana Brass (1965)

La copertina che ha fatto salivare una generazione, mentre immaginava di leccare una vagonata di panna montata per scoprire cosa ci fosse sotto. Piccola curiosità: in realtà si trattava di schiuma da barba, e la modella Dolores Erickson era incinta di tre mesi. L’immagine venne poi riprodotta nella fantastica parodia dai Soul Asylum per l’EP Clam Dip & Other Delights.

“Two Virgins” di John Lennon e Yoko Ono (1968)

Non certo la foto più lusinghiera di sempre, tanto che lo stesso Lennon parlò di “due ex tossici leggermente sovrappeso”. Tuttavia ha un’aria post coitale ed è stata pubblicata negli Stati Uniti solo dopo un lungo periodo di censura, con il nudo inedito dell’ex dei Beatles coperto da uno strato di carta marrone.

“Electric Ladyland” di The Jimi Hendrix Experience (1968)

La sensualità all’ennesima potenza: se una donna nuda è eccitante, figurarsi diciannove. Probabilmente era questa la logica dietro questa copertina, nata per l’edizione europea del classico di Hendrix – cui anche noi ci siamo ispirati per la digital cover con Achille Lauro –, la foto anticipava i lavori del fotografo Spencer Tunick. Lo scatto sembra suggerire di ascoltare Crosstown Traffic poco prima di tuffarsi in un’orgia.

“Mom’s Apple Pie” di Mom’s Apple Pie (1972)

Decenni prima che American Pie rendesse popolare il sesso con un dessert, una rock band dell’Ohio realizzava la copertina più lurida di sempre. L’illustrazione riprendeva lo stile Norman Rockwell, fatta eccezione per i giganteschi speaker sullo sfondo e la fetta di torta tagliata, trasformata in una vagina aperta, con tanto di dettagli umidicci.

“Brain Salad Surgery” di Emerson, Lake, and Palmer (1973)

Il titolo – un termine slang per dire “pompino” – veniva da un singolo di Dr. John. L’immagine, ideata da H.R. Giger (famoso per aver realizzato l’alieno del film Alien), inizialmente rendeva più esplicito l’atto sessuale. Nonostante la censura da parte dell’etichetta discografica, l’immagine della strana fellatio con uno scheletro è rimasta.

“Roxy Music” di Roxy Music (1974)

Sulle copertine degli album dei Roxy Music solitamente c’erano ragazze stupende in pose da pin-up, con l’aggiunta di una sfumatura di disagio. Country Life, forse proprio perché le modelle sembrano a loro agio, è diventata la copertina più emblematica tra quelle dei Roxy, mentre le mutandine delle modelle Constanze Karoli ed Eveline Grunwald che enfatizzano il gioco di parole del titolo preso in prestito da un verso di Amleto.

“Honey” di Ohio Players (1975)

Una ragazza da paginone di Playboy ben oliata, illuminata da luci soffuse, con in mano un barattolo di miele. Quale problema poteva mai sorgere che un buon lavasecco non avrebbe potuto affrontare? Secondo la leggenda, la modella Ester Cordet venne sfigurata perché il “miele” era in realtà acrilico, e quando si presentò in studio, il manager della band la accoltellò, con le urla registrate in Love Rollercoaster. Il batterista degli Ohio Players, tuttavia, negò l’accaduto: “Non siamo mai stati arrestati, incarcerati o interrogati”, raccontò a Rolling Stone. “Certo, alcuni di noi sono stati ammanettati – abbiamo avuto i nostri momenti selvaggi – ma è tutta un’altra storia”.

“Lovedrive” di Scorpions (1979)

La band metal tedesca, grazie all’assist del design firmato Hipgnosis, presentò una delle versioni della sessualità più adolescenziali di sempre: il sedile posteriore di un’auto, un seno nudo e un’infinità di gomma da masticare.

“Cut” di The Slits (1979)

Feroci, in topless e coperte di fango. Sulla copertina del loro album di debutto, Cut, le inglesi Slits mescolarono lo stile pin-up con sfumature da National Geographic, godendosi il potere che poteva dare un’immagine tanto sexy.

“Candy-O” di The Cars (1979)

Per il loro secondo album, i Cars richiamarono dalla pensione il celebre artista Alberto Vargas; all’età di 83 anni, il maestro peruviano creò una splendida immagine con una rossa coperta solo da un collant trasparente, sdraiata su una macchina. L’automobile era appena accennata: Vargas sapeva bene che il punto di forza della copertina non era l’automobile, e nemmeno i Cars.

“Lovesexy” di Prince (1988)

Prince, durante la sua carriera, ha realizzato tantissime canzoni cariche di erotismo, da Head a Erotic City, ma nessuna ha mai raggiunto i livelli di questa copertina, arricchita da una sfumatura d’innocenza floreale. Tuttavia, Prince non si accontentò di avere un’immagine di sé come mamma lo ha fatto: la copertina, infatti, includeva anche un pistillo messo in bella vista, chiamato dai fan “il pene-fiore”. Questo è stato il più bel doppio senso esibito da Prince fino al Super Bowl del 2006, quando, nascosta dietro un immenso lenzuolo, la silhouette del cantante con in braccio la chitarra dava l’impressione che lo strumento gli fosse esploso fuori dai pantaloni.

“Surfer Rosa” di Pixies (1988)

Le tonalità seppia della fotografia e il vestito da ballerina di flamenco innalzano di categoria i seni nudi di questa copertina, tanto che dovrebbe esser considerata arte piuttosto che porno. Tuttavia, l’atmosfera ritratta per questo disco è da “sveltina tra due studenti di fotografia, arrapati dentro la camera oscura dell’università”.

“Mother’s Milk” di Red Hot Chili Peppers (1989)

Anthony Kiedis, descrivendo questa copertina, parlò di “quattro Tom Sawyer imprigionati da una gigantesca signora nuda”. Un lavoro particolarmente apprezzato dai fan del porno a tema gigantesse o da chi, al contrario, non disdegna di immaginare i quattro Peppers come delle bambole Ken, anatomicamente perfetti. Tuttavia, quando inizialmente la band stampò il poster in cui si vedevano i capezzoli della modella Dawn Alane, la ragazza li citò in giudizio per 50mila dollari; Kiedis la prese male: “Non capisco perché non siamo riusciti a trovare una modella che fosse contenta di mostrare le tette su una nostra copertina”.

“Divinyls” di Divinyls (1991)

Come si fa a dare la giusta enfasi a un inno alla masturbazione come il classico I Touch Myself? I Divinyls, ad esempio, misero in copertina la cantante Christina Amphlett, vestita con un abito a rete, mentre si tocca e una faccia che sembra chiederti di venire. Pare che sulla copertina ci sia anche il chitarrista Mark McEntee, ma nessuno ha mai guardato l’altra metà dell’artwork.

“Amorica” di Black Crowes (1994)

Una libera interpretazione della copertina di un numero di Hustler pubblicato nel 1976: la più potente miscela ideata da Larry Flint di sessualità e orgoglio americano. In seguito quest’album venne venduto anche in una versione in cui l’immagine era oscurata, ad eccezione del triangolo centrale a stelle e strisce.

“Chocolate and Cheese” di Ween (1994)

Grazie a questa foto, la modella Ashley Savage, vestita con una minuscola maglietta rossa e una cintura che sembra rubata a un campione di boxe, diventò il simbolo del potere del “sottotetta” e del ritocco fotografico strategico.

“This Is Hardcore” di Pulp (1998)

Per la cover dell’album This Is Hardcore, i Pulp assodarono vere star del porno hardcore. Più o meno spogliate, più o meno eccitate, le attrici ritratte nell’artwork del disco sembravano nel bel mezzo di un film a luci rosse. Il risultato fu proprio quello sperato: sporco, crudo, senza essere tuttavia particolarmente eccitante.

“Remedy” di Basement Jaxx (1999)

Una vera orgia? Un sandwich multistrato di carne umana in differenti colorazioni? Qualunque sia la fonte per la copertina dell’album di debutto dei Basement Jaxx, l’immagine suggerisce di prendere la musica come un invito a chiamare dalle quattro alle undici persone e iniziare ad avvinghiarsi tutti insieme e tutti nudi.

“Voodoo” di D’Angelo (2000)

Per il suo secondo album, D’Angelo scoprì che poteva anche permettersi di togliersi la camicia, dimostrando a tutti, quindi, che non era soltanto un cantante/autore/produttore R&B di livello mondiale, ma che aveva anche un fisico pazzesco.

“Is This It” di The Strokes (2001)

Gli americani hanno potuto ammirare un’interessante foto al microscopio di alcune particelle subatomiche, ma la versione della copertina di Is This It pubblicata in Europa è certamente più bollente, con un guanto di pelle appoggiato su una sinuosa anca femminile. L’immagine finita sull’esordio degli Strokes, nonostante ricordasse i lavori di Helmut Newton, era in realtà opera di Colin Lane, con una carica di perversione che sta tutta nell’effetto vedo-non vedo.