Le 20 canzoni essenziali di Sly and The Family Stone | Rolling Stone Italia
dance to the music

Le 20 canzoni essenziali di Sly and The Family Stone

A pochi giorni dalla morte di Sly Stone, ricordiamo la leggenda funk e del soul psichedelico che ha definito il suono di un’epoca e di una generazione

Le 20 canzoni essenziali di Sly and The Family Stone

Sly and The Family Stone nel 1968

Foto: Michael Ochs Archives/Getty Images

In un famoso ritratto di Rolling Stone del 1970 scritto da Ben Fong-Torres, Sly Stone spiegava l’idea che animava lui e la Family Stone: «Se c’è qualcosa per cui essere felici, allora lo siamo tutti. Se ci sono tante canzoni da cantare, tutti possono cantare. Se soffriamo per qualcosa o portiamo un peso, lo facciamo assieme». Queste parole, un raro momento di lucidità per Stone in quel periodo, fotografano la parabola del gruppo fino a quel momento: dal roseo ottimismo del debutto nella Summer of Love all’epoca delle hit fino al cinismo di quei primi anni ’70 la band ha sopportato insieme tutto questo, fino a quando non ce l’ha più fatta.

Sly and the Family Stone sono diventati il simbolo della sensibilità tipica della San Francisco di fine anni ’60: inclusiva, progressista, idealista. La loro musica, un mix esplosivo di rock psichedelico, funk, soul e pop solare, li ha collocati al centro di movimenti culturali convergenti e li ha di conseguenza portati in cima alle classifiche. Però, proprio quando sembravano sul punto di raggiungere un successo ancora maggiore, Stone si è chiuso in se stesso sia dal punto di vista sociale che psicologico, per poi riemergere nel 1971 con l’equivalente sonoro di un ripudio: un disco scuro, brillante e coraggioso. Il gruppo non è andato avanti a lungo, ma in quel breve lasso di tempo ha ridefinito i confini della musica pop. Sly and the Family Stone sono stati una delle grandi band funk americane? Una rock band? Una pop band? Probabilmente tutte queste cose insieme.

Laugh, Laugh

The Beau Brummels

1965
The Beau Brummels: Laugh Laugh

Il primo assaggio del sucecsso Sly Stone ce l’ha a 19 anni, quando produce il malinconico singolo pop Laugh, Laugh per i Beau Brummels, band folk-rock di San Mateo. Da adolescente, quand’era chitarrista e si esibiva nell’area di San Francisco, conosce Tom Donahue della Autumn Records, che gli dà la possibilità di cimentarsi nella produzione. Laugh, Laugh è uno dei primi lavori di Sly e all’inizio del 1965 è già in Top 20. Come ha scritto Ben Fong-Torres «Sly aveva prodotto i primissimi successi rock’n’roll usciti da una città che prima era nota solo per Johnny Mathis e Vince Guaraldi». Il San Francisco Sound sarebbe sbocciato di lì a poco: Sly ne ha piantato i semi in anticipo.

Rock Dirge

Sly and The Family Stone

1965

Durante il suo breve periodo alla Autumn Records, Stone usa gli studi dell’etichetta per lavorare a composizioni proprie, tra cui questa strumentale funky e vibrante. Nel mentre impara da solo a suonare vari strumenti, tra cui l’organo che si sente nel brano. Rock Dirge e altri esperimenti simili del periodo sono usciti in una compilation del 1975 che raccoglie i primi lavori di Stone. Il brano è stato successivamente stampato su un 7” diventato popolare tra i dj appassionati di breakbeat.

I Ain’t Got Nobody

Sly and The Family Stone

1967
I Ain't Got Nobody (For Real)

Usando i soldi guadagnati con la Autumn, Stone si trasferisce con la sua famiglia a Daly City, appena fuori San Francisco. È qui che la Family Stone inizia a prendere forma a metà degli anni ’60. La prima uscita ufficiale è questo singolo per l’etichetta locale Loadstone. Con il suo ritmo incalzante e le armonie vocali stratificate, la canzone oggi suona come l’anticipazione di uno stile che avrebbe preso piena forma nelle hit a venire del gruppo. I Ain’t Got Nobody ha avuto un po’ di risonanza solo a livello locale, ma ha contributo a far notare il gruppo dalla Epic Records, che in quello stesso anno lo mette sotto contratto.

Underdog

Sly and The Family Stone

1967
Sly & The Family Stone - Underdog

Come primo singolo e brano d’apertura del primo album del gruppo, A Whole New Thing, Underdog presenta al mondo Sly and The Family Stone nel modo più scatenato possibile. Il pezzo, stranamente, inizia col sassofonista Jerry Martini che suona Fra Martino, per poi lasciare spazio a una jam acid rock infarcita di fiati, urla all’unisono e un messaggio sociale sugli outsider che devono dimostrare di essere “due volte più bravi”. George Clinton ha detto al biografo ufficiale della Family Stone, Jeff Kaliss, che ascoltando la canzone «ti sentivi come se stessero parlando direttamente a te». Il pezzo e l’album in cui è incluso sono il magnum opus creativo del gruppo… ma non quello commerciale. Il successo a livello nazionale sarebbe arrivato presto.

Dance to the Music

Sly and The Family Stone

1968
Sly & The Family Stone - Dance To The Music (Audio)

La canzone di Sly Stone più facile da trovare in una di quelle compilation anni ’80 pubblicizzate in televisione, ovvero Dance to the Music, regala al gruppo nella primavera del 1968 il primo successo da Top 10. L’energia vivace e contagiosa del singolo, registrato sotto la guida di Clive Davis, aiuta a far dimenticare che a livello di testo c’è poco più che la spiegazione degli strumenti che entrano nel groove: batteria, poi chitarra, basso, ecc. All’interno del gruppo, la canzone e l’album omonimo sono accolti con reazioni contrastanti. Il sassofonista Jerry Martini, parlando con il biografo Joel Selvin, ha sottolineato: «Per noi era tutt’altro che una figata. I ritmi erano quelli classici da Motown. Seguivamo una formula». Tuttavia, il fonico Don Pulese, citato dal giornalista Miles Marshall Lewis, sostiene che lo stesso Sly una volta ha detto del singolo: «Ha il miglior suono di basso e batteria che abbia mai ottenuto».

Dynamite!

Sly and The Family Stone

1968

Life è l’album di transizione tra il successo di Dance to the Music e la perfezione trascendente di Stand!. Eppure, nonostante gli scarsi risultati commerciali, il disco ha un certo impatto sulla critica, in particolare su Barret Hansen di Rolling Stone (alias il futuro Dr. Demento) che ai tempi lo definisce «l’album soul più estremo mai pubblicato». Hansen rimane particolarmente colpito dall’elemento sorpresa del gruppo: pezzi come Dynamite, dalle sfumature psych, o la title track carnevalesca offrono cambi di arrangiamento azzardati, con improvvise parentesi sonore che si aprono e si chiudono mentre i cantanti della Family giocano con le voci principali. Come ha raccontato la trombettista Cynthia Robinson a Ebony poco prima della morte, «eravamo liberi di improvvisare. Sly montava le cose in modo diverso, rispetto alle registrazioni effettive, tagliava e passava ad altro».

Everyday People

Sly and The Family Stone

1969
Sly & The Family Stone - Everyday People (Official Video)

«Gli eventi che si stavano verificando in tutto il Paese ci hanno cambiato come persone», ha dichiarato Freddy Stone, nel 2013, intervistato da Wax Poetics. «Abbiamo iniziato a parlare tra noi e Sly, da quel genio che è, ha trasformato questi pensieri in canzoni». L’album che nasce in quel momento, Stand!, assorbe le energie rabbiose dei rivolgimenti politici e musicali del periodo, dando forma a un LP così potente che più della metà delle sue canzoni verranno state incluse un anno dopo appena nel Greatest Hits del gruppo. Everyday People è il capolavoro della band di quell’epoca, un inno sfacciatamente utopico sulla creazione dell’unità attraverso le differenze. Tutto questo e “scooby dooby dooby”, gente.

Sing a Simple Song

Sly and The Family Stone

1969
Sly & The Family Stone - Sing a Simple Song (Official Audio)

È innegabile che Everyday People sia una hit feel-good, ma nel lato B del singolo più venduto la Family Stone sgancia questa bomba funk. Oltre a essere un brano aggressivo e scatenato come quelli sfornati da James Brown e la sua crew, qui si sente Sly giocare con la tecnologia dello studio, come il panning stereo per smistare gli strumenti in canali separati. Greg Errico, il cui lavoro di batteria sul brano verrà ampiamente campionato per i decenni a venire, ha detto nel 2013 che «il pezzo è stato studiato con grande cura, tutti noi lo sapevamo. Si sentiva».

Don’t Call Me Nigger, Whitey

Sly and The Family Stone

1969
Don't Call Me Nigger, Whitey

In altri punti di Stand!, i Family Stone esprimono le loro idee usando varie metafore, ma Don’t Call Me Nigger, Whitey lascia ben poco spazio all’interpretazione. Coi suoi sei minuti di durata, la canzone è quasi tutta un hook (a parte una breve strofa di Rose Stone) e il tono duro e di sfida è in netto contrasto con le vibrazioni più ottimistiche dell’album. Il brano colpisce anche per gli effetti vocoder bizzarri e la distorsione sugli strumenti, anticipando e preannunciando il P-Funk con mezzo decennio di anticipo.

I Want to Take You Higher

Sly and The Family Stone

1969
Sly & The Family Stone - I Want to Take You Higher (Official Audio)

È sicuramente appropriato dire che questa canzone, al centro di una delle esibizioni più leggendarie di Woodstock, abbia preso forma durante un altro concerto importantissimo dei Family Stone, quello al Fillmore East del 1968. L’originale Higher, un brano nervoso tratto da Dance to the Music, era in scaletta e durante l’esecuzione il gruppo ha iniziato a improvvisare, aggiungendo la frase chiave “I wanna take you higher”. Al momento di incidere Stand!, la canzone si era evoluta in un brano pesante e aggressivo che prometteva di portarti a un livello superiore, che tu fossi pronto o meno a farlo.

Hot Fun in the Summertime

Sly and The Family Stone

1969
Sly & The Family Stone - Hot Fun in the Summertime (Official Audio)

La Epic si è sbrigata a far fruttare l’esibizione infuocata del gruppo a Woodstock, pubblicando Hot Fun in the Summertime come singolo nell’agosto del 1969. Rispetto al messaggio sociale di Stand!, Hot Fun mantiene la promessa del titolo: un inno estivo divertente, dolce e nostalgico, nonché uno dei rari casi in cui Stone utilizza una sezione d’archi. I critici in generale l’hanno etichettato come una gradevole curiosità (Jon Landau di Rolling Stone l’ha paragonato a «una versione hard dei Lettermen»), ma anni dopo George Clinton l’ha lodato definendolo «la prova che col funk si potevano creare standard pop».

Thank You (Falettinme Be Mice Elf Agin)

Sly and The Family Stone

1970
Sly & The Family Stone - Thank You (Falettinme Be Mice Elf Agin) (Official Audio)

Thank You (Falettinme Be Mice Elf Agin) sarebbe stata già memorabile grazie al titolo scelto da Sly, ma il lascito imperituro della canzone sta principalmente nel ruolo del bassista Larry Graham. La sua tecnica ha rivoluzionato il ruolo del basso come strumento principale nell’R&B, portando il musicista e studioso Ricky Vincent ad affermare che «forse, più di qualsiasi altro disco, Thank You ha inaugurato il decennio del funk».

Everybody Is a Star

Sly and The Family Stone

1970
Sly & The Family Stone - Everybody Is a Star (Official Audio)

Che una compilation chiaramente assemblata per raccogliere i successi passati abbia finito per dar vita a tre hit completamente nuove la dice lunga sulla forza e la popolarità dei Family Stone nel 1970. Hot Fun e Thank You sono stati grandi successi a tutti gli effetti, ma forse quello intramontabile è Everybody Is a Star. Ancor più di Everyday People, Star rappresenta il meglio di Sly and The Family Stone dal punto di vista dell’autoaffermazione, una versione allegra e più hippy dello slogan “black is beautiful”. Naturalmente, se la canzone ha rappresentato un punto culminante della carriera di Sly and The Family Stone significa che da quel momento in poi per la family è iniziato il declino.

I’m Just Like You

6ix

1970
Sly Stone (with 6IX)...I'm Just Like You

Nel 1970 Sly and The Family Stone avrebbero dovuto far seguire all’antologia Greatest Hits un nuovo album in studio. Invece Stone decide di rimandare la registrazione e di trasferire la sua base operativa a Los Angeles: questa è stata la prima di una serie di scelte che hanno iniziato a logorare i rapporti all’interno della band. Per circa un anno, Sly si isola creando frustrazione nei compagni della band, nei dirigenti della sua etichetta discografica, nei fan. Droga e paranoia non aiutano, ma è un momento creativo molto prolifico per Stone, che sperimenta con nuovi strumenti, in particolare con le drum machine che erano una novità, nulla che un musicista serio avrebbe preso in considerazione come strumento da usare in studio. Ma tramite la propria etichetta Stone Flower, Sly inizia a esplorarne il potenziale musicale nel singolo del gruppo vocale 6ix. In una rara intervista del periodo per le note di copertina di I’m Just Like You, un’antologia della Stone Flower, Sly dice ad Alec Palao: «Tutti gli strumenti sono reali. Tutto ciò che può dar voce al tuo cuore è uno strumento». Nel 1971, quelle idee avrebbero trovato piena realizzazione nell’epocale There’s a Riot Goin’ On.

Family Affair

Sly and The Family Stone

1971
Sly & The Family Stone - Family Affair (Official Audio)

È stato Greil Marcus a scrivere che There’s a Riot Goin’ On «non era divertente. Era lento, difficile da ascoltare e non celebrava nulla». In breve, «non era groovy». Ma queste parole erano tutte intese come complimenti, dato che i toni cupi dell’album (in senso letterale e figurativo) sembravano esprimere in modo onesto e senza compromessi sia quanto accadeva all’interno dei Family Stone che la situazione di un’America che si stava riavendo dall’euforia della fine degli anni ’60 per affrontarne i postumi amari nei primi anni ’70. L’ultimo singolo del gruppo arrivato al numero uno, Family Affair, è un sobrio allontanarsi dalla positività solare di Everybody Is a Star, sostituita da una riflessione sulle difficoltà e le debolezze umane, abilmente camuffata dal vortice ipnotico dei ritmi della drum machine. In un’intervista del 1971 concessa a Rolling Stone, Sly diceva: «Non mi sento lacerato». Eppure molti, intorno a lui, la pensavano diversamente.

Runnin’ Away

Sly and The Family Stone

1971
Sly & The Family Stone - Runnin' Away (Official Audio)

Running Away, ancora più di Family Affair, sembra una canzone che si contraddice. Il messaggio è inequivocabile (“scappando per andare via… stai consumando le scarpe”) e le risate sembravano beffarde a ogni strofa. Ma, in contrasto con tutto ciò, la musica è leggera e solare, con una chitarra allegra e una sezione di ottoni squillanti che sarebbe stata perfetta per gli Earth, Wind & Fire. Il cinismo non è mai stato così allegro.

Luv N’ Haight

Sly and The Family Stone

1971

Nel periodo in cui Sly è rinchiuso nel suo studio di Los Angeles, prova a suonare qualunque strumento su cui riuscisse a mettere le mani. In Riot ci sono ancora i musicisti dei Family, ma in molti casi è solo Sly che sovrincide le varie parti che suona. Con ogni nuovo registrazione però la qualità audio si deteriora gradualmente fino a raggiungere il suono oppiaceo e annebbiato che si sente in brani come Time, Thank You for Talkin’ to Me Africa, Luv N’ Haight. L’effetto è tanto affascinante quanto inquietante: un viaggio nel cuore dell’oscurità del funk.

If You Want Me to Stay

Sly and The Family Stone

1973
Sly & The Family Stone - If You Want Me To Stay (Audio)

I Family Stone si sciolgono nel periodo di Riot con una serie di concerti disastrosi diventati quasi leggendari. Per lavorare all’album successivo, Fresh, Sly torna nella Bay Area stostituendo molti dei musicisti più importanti che erano stati con lui (almeno) dai tempi di Dance to the Music. Nonostante il cambio di organico, Fresh è un seguito convincente alle sperimentazioni funk di Riot, anche se non suona così cupo e carico di pathos. If You Want Me to Stay, la hit dell’album, anche se di portata minore, vede ancora Sly tenere a distanza il suo pubblico. Come ha spiegato il cantante in un’intervista radiofonica, «quello che ho scritto è esattamente ciò che intendevo. Se volete che resti, fatemelo sapere. Altrimenti, sayonara».

Can’t Strain My Brain

Sly and The Family Stone

1974
Sly & The Family Stone - Can't Strain My Brain

Il peggior mezzo complimento rivolto a Small Talk, l’ultimo album di Sly and The Family Stone degli anni ’70, potrebbe essere quello nella recensione di Billboard del luglio 1974, dove un critico che non si è firmato scrive che «non c’è molto di nuovo in termini di stile… ma… una star di successo non ha alcun bisogno d’inventarsi qualcosa di nuovo a ogni LP». Non aveva tutti i torti: Small Talk ripropone per lo più i soliti stilemi, ma la formula regge ancora, soprattutto nella tiratissima Can’t Strain My Brain, una delle tante canzoni di Sly dell’epoca in cui alludeva al suo graduale allontanamento dalla realtà.

Remember Who You Are

Sly and The Family Stone

1979
Remember Who You Are

Remember Who You Are è forse l’ultima grande canzone di Sly Stone, anche se non è un ritorno ai Family Stone. Sly aveva mollato la band diversi anni prima per incidere a proprio nome, compreso l’album del 1976 Heard Ya Missed Me, Well I’m Back (forse uno dei titoli più banali della storia). Back on the Right Track del 1979 suona come un’ammissione degli errori passati e, almeno per Remember Who You Are, riunisce i fratelli Freddie e Rose per le parti vocali, rievocando parte della vecchia magia dei Family Stone.

Da Rolling Stone US.

Altre notizie su:  Sly and The Family Stone Sly Stone