La guida definitiva agli album di Morgan e dei Bluvertigo | Rolling Stone Italia
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La guida definitiva agli album di Morgan e dei Bluvertigo

L’avete mai ascoltato l'esordio dei Golden Age? E vi siete resi conto della grandezza di ‘Zero’? Conoscete la colonna sonora del 'Siero della vanità'? E i progetti Jetlag e Fluon? Ecco tutti i dischi del gruppo e quelli solisti

Bluvertigo, foto stampa

Bluvertigo, foto stampa

Diciamolo senza giri di parole: i Bluvertigo sono stati un vero miracolo. C’è infatti modo e modo di fare pop. Il più abusato è quello di sfornare canzoni che se ne fregano della qualità e puntano solo a farsi apprezzare dalla massa. Ma c’è anche chi cerca di alzare l’asticella proponendo qualcosa che sia fruibile ma che abbia al suo interno elementi originali, inedite misture, suoni, melodie e accordi che fanno drizzare le orecchie.

Tra gli artisti che sono riusciti a unire qualità e mercato ci sono appunto i Bluvertigo, che tra il 1995 e il 1999 hanno creato uno strabiliante mix di influenze per dare vita a tre album. Per dirla in maniera stringata, i Bluvertigo sono stati il perfetto mix tra i Depeche Mode e i King Crimson degli anni ’80. Se poi ci avventuriamo ad analizzare i singoli brani scopriamo di tutto e di più: Stockhausen a braccetto con i Duran Duran, David Bowie, Battiato, i Roxy Music e i Red Hot Chili Peppers che convivono allegramente nella stessa canzone. Tanta roba. Qualcosa che mai nessuno aveva osato fare in Italia e che sfortunatamente non avrà epigoni, o se li ha avrà non ci sarà mai lo stesso coraggio, maestria e abilità nel songwriting.

Purtroppo da qualche anno i Bluvertigo non incidono più. Ma tutto può ancora succedere, tanto più che le carriere soliste, pur con prove di grande pregio, hanno stentato a decollare. In primis quella dello stesso Morgan, che ha raccolto molto in termini televisivi ma si è anche arenato a livello discografico (il suo ultimo album di inediti risale infatti al 2007). Marco Castoldi resta però una delle menti più illuminate del nostro panorama artistico, uno che ha preparazione e curiosità per spingersi oltre. Nell’attesa di nuove uscite, ripercorriamo l’intera carriera dei Bluvertigo e dei suoi componenti, dalla prima uscita a nome Golden Age alle carriere soliste.

Golden Age “Chains” (1990)

Nel 1988 l’enfant prodige Marco Castoldi (voce, basso, tastiere), dà vita insieme ad Andrea Fumagalli (detto Andy, tastiere e sax) e a Fabiano Villa (chitarra) agli Smoking Cocks che altro non è che la traduzione del cognome di Andy (che in inglese suona anche come “Cazzi fumanti”). Notati dalla PolyGram e costretti al cambio di nome in Golden Age, danno vita a un album nel quale già si riconosce il talento compositivo, nonché l’arte delle misture che saranno proprie dei Bluvertigo. I ragazzi a quel punto hanno 17-18 anni, gli anni ’80 sono appena conclusi e le orecchie sono ancora piene di Duran Duran, Tears For Fears e compagnia. La musica dei Golden Age guarda in quella direzione in un disco ancora ingenuo, ma con melodie e arrangiamenti che già fanno intravedere qualcosa di molto buono all’orizzonte.

Bluvertigo “Acidi e basi” (1995)

Sciolti i Golden Age, attorno a Morgan e a Andy si concentrano una serie di musicisti, tra i quali il chitarrista Marco Pancaldi e il batterista Sergio Carnevale (che sostituisce il precedente Stefano Panceri). Il quartetto cambia ulteriormente nome in Bluvertigo, comincia a macinare date e a comporre canzoni nelle quali si fa sempre più vivo il desiderio di sperimentare con vari generi. Il grunge è ancora nell’aria, ma Castoldi e i suoi sono troppo curiosi per frequentare un solo stile. Quando Acidi e basi viene alla luce (infiocchettato in una copertina che richiama In The Court Of The Crimson King dei King Crimson) lo straniamento è totale: dieci brani che sembrano una cosa e poi sono tutt’altro. A un inizio grunge, con il basso di Morgan sugli scudi, seguono i controtempi alla Japan di Carnevale, salvo poi scivolare in atmosfere ambient, con le chitare frippiane di Pancaldi e il sax à la Roxy Music di Andy. Le musiche si fanno sempre più caleidoscopiche e i testi dissertano dalla lista della spesa alla più alta filosofia. Lo ha già fatto Battiato, ma i Bluvertigo aggiungono una fantasia musicale senza limiti. Il disco inaugura la cosiddetta trilogia chimica, che si snoderà nei due album successivi.

Bluvertigo “Metallo non metallo” (1997)

Messe da parte le tentazioni grunge, sostituito il dimissionario Marco Pancaldi con Livio Magnini (ex fonico della band nonché valente schermitore), il suono Bluvertigo prende una decisa direzione crimsoniana. La chitarra di Magnini unisce Fripp ad Adrian Belew, le ritmiche si scompongono ulteriormente, l’elettronica si mischia con la strumentazione elettrica e con tentazioni classicheggianti. Vertigoblu è vera vertigine, con incastri ritmici al fulmicotone e un testo tra i più acuti di Castoldi. Fuori dal tempo è una hit stellare che mette insieme Kraftwerk e Bowie. Da notare la coda di questo e altri brani che si spingono in direzioni classico/minimaliste, con echi di Brian Eno e la presenza di Mauro Pagani, che con il suo flauto rende Cieli neri una I Talk to the Wind del futuro.

Bluvertigo “Zero – ovvero la famosa nevicata dell’85” (1999)

La perfezione è raggiunta con il terzo capitolo della trilogia. Un disco tra i più importanti della musica italiana, con una miriadi di stili e testi dai molteplici riferimenti, ogni parola è un link, una specie di enciclopedia universale della cultura in musica. La trilogia berlinese di Bowie compatta in un suono unico che ha svoltato definitivamente verso un’elettronica allo stesso tempo gelida ed emozionante. Battiato (qui presente in veste di ospite) e i New Order passati nel tritacarne fino a ottenere 16 schegge (per quasi 70 minuti di musica) tra pop d’alta scuola (La crisi, Sono=Sono), sperimentazione (Zero, Porno muzik, Numero), omaggi definitivi al Duca Bianco (la ripresa della sua Always Crashing in the Same Car, da Low) fino al catartico finale di Punto di non arrivo, capolavoro nel capolavoro che si interrompe proprio quando sta arrivando la sua impennata decisiva, come sull’orlo di un abisso.

Morgan “Canzoni dell’appartamento” (2003)

Nel 2003 Morgan esordisce da solista con un delizioso album che si scrolla di dosso il freddo elettronico di Zero, si veste di caldi suoni analogici e strumentazione vintage. Canzoni dell’appartamento è un disco intimo e immediato, nel quale il musicista può raccontare la sua vita di quel momento con un linguaggio più semplice, senza le sovrastrutture musicali e linguistiche che hanno caratterizzato la sua band fino a quel momento. La atmosfere anni ’60 la fanno da padrone e canzoni come il fortunato singolo Altrove, la ripresa di If dei Pink Floyd e la lunga e strutturata Me sono una bella boccata d’aria. A tratti però la mancanza dell’inventiva di marca Bluvertigo si fa sentire.

Morgan “Il suono della vanità” (2004)

Il suono della vanità è la colonna sonora del film Il siero della vanità di Alex Infascelli, tratto da Il libro italiano dei morti di Niccolò Ammaniti. La colonna sonora mette in luce la parte più avventurosa di Castoldi, con bozzetti nei quali il nostro si prende la libertà di spaziare tra droni, suoni deformati, orchestre simulate elettronicamente, rumori d’ambiente e dialoghi tratti dalla pellicola. Un disco da riscoprire per entrare nelle profondità del suono-Morgan.

Jetlag “On The Air” (2004)

Nel 2004 il chitarrista Livio Magnini mette in piedi i Jetlag con Jacopo Rondinelli (musicista e designer) ed Emilio Cozzi (voce di Kaoslord e Monksoda e giornalista). L’unico album partorito dal progetto vede la presenza di blasonati ospiti quali Max Gazzè, Samuele Bersani, Giorgia, Mario Venuti, la Banda Osiris, Martina Topley-Bird (vocalist di Tricky), Amanda Lear, Andy e George Anne Kalweit (voce dei Delta V). Il disco è quanto più di sfaccettato possa esserci: una vera opera di musica progressive che sposa in pieno la filosofia degli anni ’70, ma la trasla nei suoni e nelle composizioni del nuovo millennio, spingendosi a mischiare direzioni e stili, come erano d’uso fare i Bluvertigo ma con un piglio ancora più rock e avveniristico.

Morgan “Non al denaro non all’amore né al cielo” (2005)

Ancora una divagazione arriva nel 2005, quando Castoldi si mette in testa di rifare da capo a piedi il famoso album di Fabrizio De André uscito nel 1971 e ispirato all’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Quello di Morgan è il primo caso di cover di un intero disco italiano. Il nostro affronta il progetto con estremo rispetto, ma prendendosi alcune piccole libertà, aggiungendo ad esempio un preludio iniziale con le note del brano conclusivo (Il suonatore Jones) e inserendo brevi raccordi tra le varie canzoni. A livello strumentale ogni suono dell’album originario è ricreato con maestria. Sul tutto spicca la voce che si muove su registri diversi da quella di De André, ma riesce nel gravoso tentativo di non farlo rimpiangere.

Morgan “Da A ad A (Teoria delle catastrofi)” (2007)

Con Da A ad A, Morgan torna alla carriera solista. Nel frattempo i Bluvertigo (nonostante non sia stato dichiarato il loro scioglimento) paiono sempre più lontani. Lo si nota da come il leader sta impostando il suo suono, ancora più distante dell’elettronica della band e orientato verso le possibilità del pianoforte e dell’orchestra. Da A ad A è un disco estremamente complesso e sinfonico, inizialmente concepito come doppio cd con 18 tracce, salvo poi (per imposizioni discografiche) essere ridotto a cd singolo con 11 canzoni. Le tentazioni commerciali si allontanano e Morgan segue una strada sempre più personale e visionaria, con i picchi dell’intensa Una storia d’amore e di vanità e dell’autobiografica Contro me stesso.

Morgan “Italian Songbook Volume 1” (2009) + “Italian Songbook Volume 2” (2012)

A partire dalla prima edizione di X Factor, nel 2008, Castoldi diventa una star televisiva. I suoi impegni discografici si diradano, sui Bluvertigo viene messa una pietra, anche al netto dei tentativi di reunion del 2008 e del 2015. Più la celebrità televisiva di Morgan cresce, più la musica che ha dentro si fa complicata e astratta, fino a spingerlo a non incidere più nulla. Quello che ha in mente farebbe a cazzotti con le aspettative di un ambiente discografico votato sempre più verso il disimpegno. A Marco non resta quindi che mettere le sue enormi competenze a disposizione dei giovani che affollano i talent, compiendo il suo lavoro con grande impegno e intelligenza, aprendo la mente di molti, purtroppo subito fagocitati dalle esigenze dell’industria. Nel 2009 e 2012 Morgan incide due album di cover di canzoni italiane degli anni ’50/’60, un esperimento sulla falsariga dei Fleurs di Franco Battiato. Ottime ed elegantissime reinterpretazioni, ma il suo genio dimora altrove.

Fluon “Futura resistenza” (2014)

L’unico album di Andy con i suoi Fluon vede il musicista (qui con Fabio Mittino alla chitarra, Faber alle tastiere e Luca Urbani a voce e sintetizzatori) alle prese con un suono che spazia dall’electro-pop alla dance. Andy non può esimersi da prendere il migliore art pop di Depeche Mode e Bowie e contaminarlo di umori new wave (Devo, Japan). Nonostante la voglia di spingersi oltre il classico sound dei Bluvertigo, a tratti il lavoro dei Fluon sembra proprio un estremo tentativo di riappropriarsi di quel tipo di sonorità. Sonorità che evidentemente fanno parte del dna di Fumagalli e che egli riesce a esternare in maniera convincente e originale.

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