La guida definitiva agli album delle riot grrrls | Rolling Stone Italia
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La guida definitiva agli album delle riot grrrls

Femminismo, chitarre elettriche e assalti frontali. Ecco i dischi migliori di Bikini Kill, Sleater-Kinney e delle altre ragazze che hanno messo sottosopra gli anni ’90 cantando di parità di genere, rivoluzione e mestruazioni

La guida definitiva agli album delle riot grrrls

Kathleen Hanna in concerto a Los Angeles con le Bikini Kill nel 1994

Foto: Lindsay Brice/Getty Images

“Che cosa significa riot grrrl?”, chiedeva una fanzine nel 1991. “Significa che noi ragazze vogliamo creare cose che ci rappresentino. Ogni volta che prendiamo in mano una penna o uno strumento, ogni volta che facciamo qualcosa, noi creiamo la rivoluzione. Noi siamo la rivoluzione”.

Nei primi anni ’90 femministe d’ogni parte del mondo cominciano a usare il punk-rock come mezzo d’espressione. Hanno cose da dire. Si fanno chiamare riot grrrls e s’ispirano alle pioniere punk anni ’70 come Raincoats e X-Ray Spex. Aggiungono qualcosa di nuovo e finiscono per influenzare un ampio spettro di artisti che va da Kurt Cobain ad Alanis Morissette e persino le Spice Girls.

Sono ancora vive e vegete. Bikini Kill, Sleater-Kinney e Team Dresch hanno fatto tour di reunion di recente accolti con favore da un pubblico sorprendentemente giovane.

Gli imperdibili: “Bikini Kill” Bikini Kill (1992)

In una delle prime fanzine riot grrrl, le Bikini Kill lanciavano la sfida: “Trova la peggior stronza in circolazione e fonda con lei una band”. Loro erano nate a Olympia, college town dello Stato di Washington, e avevano lanciato il motto “Revolution Girl Style Now!”. Prodotto da Ian MacKay dei Fugazi, il loro EP di debutto del 1992 era grezzo e potente. Kathleen Hanna cantava di misoginia, abusi e violenza sui riff selvaggi di Suck My Left One e Double Dare Ya. In Feels Blind raccontava come ci si sente a crescere imprigionata dai ruolo di genere: “Sono la donna a cui hanno insegnato ad essere affamata”.

Gli imperdibili: “Call the Doctor” Sleater-Kinney (1996)

Che botto s’è sentito quanto è uscito questo disco, un suono assordante ed eroico prodotto da tre ragazze. Corin Tucker e Carrie Brownstein si erano conosciute nella scena di Olympia, la prima era nelle Heavens to Betsy, la seconda nelle Excuse 17. Quando suonavano assieme accadeva qualcosa di speciale. “Ci fondevamo alla perfezione”, ha detto Brownstein. In Call the Doctor raccontavano come ci si sente ad essere giovani e donne in un mondo ostile. Il picco è I Wanna Be Your Joey Ramone, una sfida all’America stantia e compiaciuta con Tucker che urla “Sono la regina del rock’n’roll!”.

Gli imperdibili: “The Singles” Bikini Kill (1998)

Il disco definitivo delle Bikini Kill. Come molte altre formazioni punk, le Bikini Kill funzionavano alla grande nel formato breve di un singolo di tre minuti e quest’album raccoglie tutte le bombe che la band ha sganciato. C’è l’inno Rebel Girl (“nel suo bacio sento il sapore della rivoluzione”) e in più c’è Joan Jett nel ruolo di produttrice e chitarrista. In New Radio Hanna canta: “sono la bambina che al picnic continua ad alzarsi il vestitino”. The Singles è uno dei dischi punk più esaltanti di sempre.

I classici: “Pottymouth” Bratmobile (1993)

Le Bratmobile trasformavano cantilene da parco giochi in musica e politica: “Girl germs! No return! Can’t hide out, they’re everywhere!”. Alcuni fra i singoli più feroci e divertenti dell’epoca li hanno fatti loro, con Allison Wolfe che fa battute sulla chitarra surf di Erin Smith e sulla batteria di Molly Neuman. Pottymouth è il loro debutto lo-fi e contiene P.R.D.C.T. (che sta per “Punk Rock Dream Come True”) e il capovolgimento di genere operato in Cherry Bomb delle Runaways.

I classici: “Personal Best” Team Dresch (1995)

Queste pioniere queercore da Portland, Oregon si sono messe assieme quando essere gay non era facile nemmeno nella comunità punk. L’album è una fotografia della gioventù LGBTQ e contiene quella Fagetarian and Dyke che fa: “ho passato gli ultimi 10 giorni a copiare gli Smiths”. Le Team Dresch hanno da poco pubblicato una nuova canzone di protesta intitolata Your Hands in My Pockets.

I classici: “Dig Me Out” Sleater-Kinney (1997)

Nessuno si aspettava un altro grande disco dalle Sleater-Kinney dopo Call the Doctor. E invece l’hanno fatto dopo aver trovato la batterista dei loro sogni, Janet Weiss. Dig Me Out è sfacciato e solido, con Brownstein e Tucker che si alternano alla voce in una corsa folle. One More Hour è tormentata e romantica, mentre Words and Guitar è una profezia incendiaria.

I classici: “Le Tigre” Le Tigre (1999)

Dopo lo scioglimento delle Bikini Kill nel 1997, Kathleen Hanna ha spiazzato tutti quanti con il debutto di Le Tigre all’insegna di beat synth-pop e parti vocali giocose modello girl group. In Hot Topic salutano i loro eroi su un loop di batteria in stile Motown: James Baldwin, Sleater-Kinney, Billie Jean King.

Per approfondire: “Soda Pop Rip Off” Slant 6 (1994)

Le Slant 6 facevano musica appariscente il giusto per una band che prendeva nome da un modello di motore sportivo della Chrysler. Il fenomeno delle riot grrrls nasceva dalla fratellanza fra Olympia e Washington DC e le Slant 6 tenevano alto il nome della capitale con groove come quello di Time Expired che evocava il garage rock anni ’60 aggiungendo un senso di minaccia.

Per approfondire: “Calculated” Heavens to Betsy (1994)

Corin Tucker faceva sentire la sua voce già prima delle Sleater-Kinney. My Red Self è la più grande canzone di tutti i tempi a tema mestruazioni: “Di che colore è la vergogna? È rossa?”.

Per approfondire: “Infinity Plus” Lois (1996)

Con la sua chitarra acustica, la sua tazza di sé e il suo ghigno sardonico, Lois Maffeo era la zia saputella della scena. Infinite Plus è un classico perduto degli anni ’90 pieno zeppo di ballate strazianti come Capital A, Summer Long e il duetto con Elliott Smith Rougher.

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