Rolling Stone Italia

La classifica dei 10 dischi migliori di Mike Oldfield

Cinquant’anni fa usciva l’album più importante dell’inglese, ‘Tubular Bells’. È anche il migliore? Ecco suite, sequel, dischi pop: in fondo, nascono quasi tutti in reazione a quel memorabile best seller

Foto: Fin Costello/Redferns

Mike Oldfield è un ragazzo strano che si porta dietro una ferita: il ricordo della madre che, dopo la morte di un figlio affetto da sindrome di Down, ha passato la vita schiava dei barbiturici passando da un ospedale psichiatrico all’altro fino alla morte avvenuta nel 1975. Due anni prima, Oldfield è diventato famoso in tutto il mondo grazie a un album strumentale composto da due suite da 20 e passa minuti per lato, che fa quasi del tutto a meno della sezione ritmica e che fonde folk, musica classica, minimalismo, new age ante litteram e una serie di melodie indimenticabili.

Il successo non ha però pacificato il musicista che continua a soffrire di attacchi di panico, timidezze e insicurezze assortite. E dire che ha avuto un’inventiva e una costanza di ferro: appena diciottenne gli viene in mente di realizzare un disco suonando da solo tutti gli strumenti. Così si è industriato manipolando il suo modesto registratore fino a permettergli rudimentali sovraincisioni. Dopo avere assemblato una lunga composizione intitolata Opus One ha cominciato a fare il giro delle etichette accumulando svariati rifiuti per lo scarso potenziale commerciale della proposta. È però riuscito a proporla al giovane imprenditore Richard Branson. Questi non solo ha gradito, ma gli ha concesso la possibilità di registrare nel suo lussuoso Manor Studio, con la promessa di creare appositamente per lui una nuova etichetta discografica chiamata Virgin Records.

Quando Tubular Bells viene pubblicato, il 25 maggio 1973, vende con molta lentezza. Esce in un periodo nel quale il prog la fa da padrone, ma il suo assetto musicale è un assai distante dal rock. A dicembre avviene però un miracolo che cambia totalmente il destino del disco e in breve consacra il timido Mike a superstar. Il tema di apertura della prima parte viene infatti scelto per la colonna sonora del film horror L’esorcista e così Tubular Bells si piazza nella top 10 degli album più venduti del Regno Unito per oltre un anno, arrivando a vendere 15 milioni di copie in tutto il mondo.

Il disco è croce e delizia di Mike Oldfield la cui insicurezza cresce a dismisura quando si insinua in lui il dubbio che in fondo il successo sia giunto soprattutto grazie al film. Ancora di più si arrovella quando si rende conto che, per quanti tentativi metta in campo, non riesce più a toccare certi apici. Solo una volta ripete il colpaccio, nel 1983 con Moonlight Shadow. Il resto sono svariati sequel del best seller, ma anche un gran numero di album che dimostrano che non solo di Tubular Bells è fatta la sua carriera.

Ecco quindi la classifica dei 10 album essenziali del musicista britannico, dove ha via via mescola la primigenia formula con l’elettronica, il pop, le colonne sonore, la world music, addirittura la dance.

10

QE2

1980

Mike entra negli anni ’80 con uno dei suoi album più prog (c’è anche Phil Collins alle percussioni) che, paradossalmente, fa a meno delle lunghe suite e si concentra su brani più stringati. Taurus 1 diventa il perfetto connubio tra vecchio e nuovo, dove nel nuovo non si escludono tracce new wave. Dopo tanti dischi strumentali (o con la voce usata in maniera non convenzionale) entra in scena il canto dalle venature folk di Maggie Reilly, oltre all’inserimento di fiati e archi a levare al leader l’incombenza di suonare tutto da solo.

9

The Killing Fields

1984

Nel 1984 il regista britannico Roland Joffé offre a Oldfield la possibilità di comporre la colonna sonora di Urla del silenzio, film ispirato alla vicenda della guerra civile in Cambogia. Per il musicista è l’occasione per cimentarsi in una serie di gustosi bozzetti assai distanti dalla sua produzione canonica nei quali mette in campo tutti i moderni ritrovati tastieristici come Fairlight CMI, Oberheim OBXa, Roland VP330 e Prophet V per esplorare atmosfere ambient, world e sperimentali.

8

Return to Ommadawn

2017

Al momento sembra che Mike Oldfield si sia ritirato dalle scene. Il canto del cigno della sua produzione discografica potrebbe essere quindi questo nuovo sequel, stavolta non di Tubular Bells ma di un altro dei suoi album più acclamati, Ommadawn. Non possiede la stessa potenza evocativa dell’originale, ma si difende bene, riuscendo nel tentativo di fare riassaporare un Oldfield meno tecnologico e più umano, come non si sentiva da decenni.

7

Discovery

1984

Nei primi anni ’80 Oldfield si rende conto che è il momento di traslare la sua musica verso il pop. Ecco quindi l’inserimento di varie voci e un formato canzone che trova uno dei suoi punti di massimo fulgore nella hit To France, cristallina epopea pop-prog-celtica con la voce angelica di Maggie Really. Poi comunque una suite c’è sempre, anche se un po’ più breve, ed è bellissima.

6

Tubular Bells II

1992

Non tutti i sequel di Tubular Bells vengono per nuocere. Il primo si segnala per la sua freschezza e l’onesto tentativo di offrire una versione del best seller rinnovata nelle melodie e nei suoni. In guisa della celebre intro c’è Sentinel che colora di dance la musica e si prosegue con innesti elettronici e world/celtici di variegata natura. Si fosse accontentato di questo avrebbe fatto bene a se stesso e al suo pubblico.

5

Incantations

1978

L’Oldfield del 1978 cerca una mediazione: mantiene le lunghezze (e le quadruplica con una suite distribuita nell’arco di un doppio LP), ma qua e là lascia intravedere maggiori aperture a diversi stili. L’influenza più massiccia è quella del minimalismo di Philip Glass, solo traslato in ambito prog-folk. C’è di che godere anche se forse 80 minuti rischiano di stancare.

4

Crises

1983

Crises è il punto di approdo pop in perfetta armonia rispetto al passato. Con una suite su una facciata piena di invenzioni prog elettroniche (e la voce di Oldfield che infine si scopre anche cantante) e un lato B con la indimenticabile Moonlight Shadow e la non meno fascinosa Foreign Affair, pop balearico, dolcissimo e lisergico. Ci sono ospitate deluxe come quella di Jon Anderson e di Roger Chapman dei Family. Un must.

3

Ommadawn

1975

È uno degli album più celtici di Mike, nei quali però quelle atmosfere si fondono con i tamburi africani, anni prima di Peter Gabriel e molti altri. Un concentrato di armonia, con arpeggi celestiali, toccanti arie che profumano della natura, nenie infantili a base di chitarra distorta, cori tribali e la continua sensazione di trovarsi in un paradiso perduto. Alla fine, un brano con la voce recitante del musicista che evoca la bellezza dell’andare a cavallo. Una beatitudine.

2

Hergest Ridge

1974

Mentre Tubular Bells ancora impazza in classifica, Oldfield ha già pronto il seguito, ispirato da una collina nello Herefordshire in cui ama ritirarsi per ritrovare la tranquillità. Hergest Ridge ha momenti di altissima bellezza pastorale, come nella prima parte, quando una tromba evoca il panorama di una campagna inglese incontaminata. Altrove ci sono furiosi schizzi minimalisti che servono a raffigurare il caos prima della rinnovata pace descritta in un glorioso finale corale.

1

Tubular Bells

1973

È scontato, si sa, nessun altro disco poteva trovarsi in vetta. Al di là della caterva di cose dette su Tubular Bells, vi invito ancora una volta ad ascoltarlo e, specie nella prima facciata, a rimanere di stucco per le splendide melodie, una più riuscita dell’altra, che Mike Oldfield è stato in grado di inanellare in quei 25 minuti. Altri con questo materiale ci avrebbero costruito mezza carriera, Oldfield ha stipato tutto lì, non si è risparmiato con l’ingenuità e la passione dei 20 anni.

Iscriviti