Dopo aver passato in rassegna i migliori dischi nostrani usciti dieci anni fa, tocca impostare la nostra DeLorean su una data molto più lontana nel tempo: il 1995. Anche in questo caso, si tratta di estrapolare una dozzina (o giù di lì) di album che abbiano passato bene la prova dei decenni, in questo caso, ben tre.
Ciò detto, passare la prova del tempo può voler dire tante cose, anche molto diverse tra loro: da un disco che dal punto di vista sonoro è ancora abbastanza attuale (l’hardcore dei Sottopressione mica può invecchiare) a un altro che magari suona già più della sua epoca ma contiene pezzi che sono oggettivamente diventati, piaccia o no, degli inni (vedi Buon Compleanno Elvis di Ligabue).
Quella che segue quindi è una Polaroid di un periodo abbastanza intenso dell’Italia: cade il primo dei tanti governi Berlusconi, nascono nuovi partiti come funghi (l’Ulivo, Alleanza Nazionale), Giorgia vince un Sanremo seguitissimo con Come saprei, la lira è in picchiata spaventosa e via dicendo.
Se non altro, come in tutti i periodi turbolenti, la musica si fa sentire bene. Ecco quindi in ordine cronologico (approssimativo) di uscita i migliori dischi italiani del 1995.
La Crus
La Crus

Immagina di esordire su WEA (etichetta ormai confluita nel catalogo Warner) e di portarti a casa non solo la Targa Tenco ma anche il Premio Ciampi. Quella dei milanesi/monzesi La Crus è un’impresa che a oggi non ci risulta avere eguali. Troppo industrial per essere cantautorato in stile De André, troppo oscuri per essere indie tipo Baustelle, i ragazzi sono una meravigliosa anomalia sistemica in un habitat, quello rock italiano, che ha sempre peccato di inventiva strumentale (incredibili i loop di batteria elettronica de La giostra) abbinata a una scrittura semplice, ma profonda.
Le ragazze
Neri per caso

Un sestetto di guaglioni perlopiù salernitani sbuca fuori dal nulla e vince Sanremo ’95 nella categoria (ormai defunta) delle Nuove Proposte. Fino a qui nulla di strano, se non fosse che il gruppo canta esclusivamente a cappella, come un Bobby McFerrin che però non si deve dubbare in studio tutte diverse parti di voce ma può cantarle dal vivo. Il primo album, intitolato come il singolo vincitore, Le ragazze, esce appena dopo il festival dei fiori. È r&B ritmato, felice ma fatto con l’ugola. Oltretutto, se vogliamo anche guardare al testo e al messaggio, è anche anticipatore del movimento femminista del no means no. Dopodiché, il disco è composto praticamente solo da cover, ma comunque si prende sei platini e lancia una carriera che ancora oggi è perfettamente in corsa. Il tuo cantante preferito è stato invitato da Piero Angela a cantare a Superquark?
Paranoia e potere
Punkreas

«L’imperfezione del punk distingue l’uomo dall’intelligenza artificiale» ci hanno raccontato i milanesissimi Punkreas a febbraio, quando li avevamo beccati proprio per il trentennale di Paranoia e potere. A loro dire, poco di fatto è cambiato nell’Italia degli interessi speculativi mascherati da valori politici e religiosi. Con questo terzo album, poi, Cippa, Noyse, Flaco, Paletta e Mastino si consacrano sostanzialmente come NoFx e Ska-P italiani, buttando nel calderone un mix putrido e divertente di ska, punk, hc.
Acidi e basi
Bluvertigo

Psichedelia e rave culture, synth pop di derivazione british anni ’80 (c’è una cover di Here Is the House dei Depeche Mode) e tanta, tanta droga. È l’esordio dei Bluvertigo, in pieno trip di Acidi e basi (anche qui un nome che lascia poche chiavi d’interpretazione). Gli arrangiamenti colti di stampo morganiano s’intrecciano all’elettronica di Andy, creando un habitat perfetto per chi va in giro coi capelli ossigenati e gli occhiali giganti da mosca.
Sempre più vicini
Casino Royale

Se c’è un anno in Italia in cui l’underground diventa overground, proprio come la metro verde di Milano tra Famagosta e il Forum di Assago, quello è il ’95. La scena brulicante della città poi attira, agglomera e genera eccellenze come i Casino Royale che, con Sempre più vicini, si liberano dei retaggi ska per tuffarsi di petto nel trip hop e nell’acid jazz. È l’epoca dei Massive Attack, quindi anche qui c’è bisogno di un corrispettivo italiano che possa reggere il confronto con il livello estero. E in effetti c’è.
Non calpestare i fiori nel deserto
Pino Daniele

Secondo disco più venduto dell’anno (del primo parliamo più sotto), nonché migliore artista dell’anno al Festivalbar: con il quattordicesimo (!) LP, Non calpestare i fiori nel deserto, Pino Daniele conferma a tutti (e pure a sé stesso) di non essere soltanto un fenomeno degli anni ’70 e ’80. Il funk partenopeo di Io per lei, la ballad da classifica di Se mi vuoi feat. una giovane Irene Grandi (che ricordiamo è stata scoperta grazie a Fiorello e il suo Karaoke), la serenata di Resta… resta cu’mmè sono onestamente la cartina di tornasole di un’epoca d’oro della discografia, dove girava un sacco di soldi e ci si poteva permettere di pagare professionisti di alto livello, dal fonico all’autore. Poi, vabbè, rimane negli annali anche la mezza presa per il culo che Elio e Le Storie Tese mettono in scena a Mai dire gol accostando e mettendo in risalto le effettivamente molte somiglianze tra ’O cammello ’nnammurato e Ain’t No Sunshine di Bill Withers.
A volte ritorno
Lou X

In pochissimi hanno saputo disegnare l’asfissiante condizione di una vita passata letteralmente in strada come Lou X. Il rapper abruzzese nel 1995 firma, assieme al socio Disastro all’epoca ancora minorenne, il suo secondo album, nonché primo pubblicato per una major, la BMG. È una selva di beat cupi che fanno sembrare Uomini di Mare i Backstreet Boys, rime avvelenate dalla guerra di classe, temi di ordinario crimine giustificato da un sistema che opprime chi dei soldi ha più bisogno. A volte ritorna, dice, ma purtroppo ancora non l’ha fatto.
Sanacore
Almamegretta

Liberato non ha inventato il napoletano nel pop, lo ha semplicemente aggiornato alla sua epoca. Così come prima di lui Pino Daniele e dopo di Pino gruppi fondamentali come 99 Posse e Almamegretta. Nell’ultimo caso, forse abbiamo la versione più intrisa di derivazioni dub, afro, reggae ma soprattutto di quelle influenze arabe che tanto hanno dato alla voce partenopea nelle canzoni tradizionali. Mettici un po’ di psichedelia e ti ritrovi tra le mani uno degli album più belli degli ultimi 30 anni.
Spirito DiVino
Zucchero

A un disco di distanza da Oro, incenso e birra (1989), Zuccherone nazionale rincara la dose dissacrante e alcolista tornando con un altro gioco di parole: Spirito DiVino. Checché se ne possa ridere, rimane l’album più venduto in Italia nell’annata ’95 con due dischi di diamante in Italia e diversi platini sparsi un po’ ovunque in Europa. Il topos è comunque sempre il contrasto tra sacro e profano, dalle esplicita volgarità di Datemi una pompa alle dantesche atmosfere celestiali de Il volo, che rimane una delle progressioni armoniche più da brividi della storia del pop italiano, oltretutto arrangiata con archi maestosi. Il resto del lavoro lo fanno pezzi blues-rock intrisi di dance (sono pur sempre i ’90) come X colpa di chi? che farebbero ballare anche le piante.
Lungo i bordi
Massimo Volume

Pubblicato dalla stessa Mescal che avrebbe lanciato i primi Subsonica, la seconda opera dei bolognesi Massimo Volume passa a voti alti la prova del tempo con un post rock che ha dato la vita a tanti figli illustri. Difficile non pensare a band post hardcore romagnole di dieci anni dopo, come La Quiete, Lantern o Death of Anna Karina ascoltando la tensione elettrica della voce di Mimì Clementi che recita “Mi sento come il soffitto di una chiesa bombardata” in Inverno ’85. L’opera più poetica in assoluto dei Massimo Volume.
La mia vita violenta
Blonde Redhead

D’ispirazione apertamente pasoliniana già a partire dal titolo, La mia vita violenta è il disco di svolta per i gemelli Pace, nati a Milano ma naturalizzati newyorchesi ben presto. Questo perché è il primo a includere Kazu Makino, l’iconica cantante giapponese che poi diventerà anche moglie di uno dei fratelli, Amedeo. Scoperti e prodotti dal batterista dei Sonic Youth, Steve Shelley, i tre si lanciano in un’impresa indie/noise/alternative rock che di base viaggerà sempre serena e indipendente sui suoi binari, in un mondo parallelo dove non c’è mai stata urgenza di diventare famosi o qualsiasi altra cosa che non sia il volere del trio. E per questo, sempre stima.
Dritto dal cuore
The next diffusion

Sottotitolato con la traduzione in inglese slang tra parentesi, (Straight From Da Heart), questo disco è la definizione enciclopedica dell’hip hop e le sue tre arti originarie: il rap, il djing e la breakdance. Oltre a MCs e turntablists, infatti, il trio torinese dei Next Diffusion include anche il b-boy The Next One, due volte campione mondiale nella suddetta arte acrobatica. Quanto al contenuto, è ovvio che è un disco rap del 1995: ballotta, situe, rappresentare e soprattutto una intro telefonica di Afrika Bambataa che consacra il disco, spingendolo come vero hip hop (altro concetto cardine del rap dell’epoca, l’essere real).
Buon compleanno Elvis
Ligabue

Vivo morto o X, Hai un momento Dio?, Quella che non sei, Certe notti: può piacere o no, ma Ligabue con Buon compleanno Elvis mette a segno nella stessa tracklist alcune delle canzoni più famose del rock italiano. Canzoni che anche se magari ti sta un po’ antipatico lui ti ritrovi a canticchiare dopo averle incrociate involontariamente in radio guidando. Se il Liga ancora oggi riempie Campovolo e spara Lambrusco sul pubblico da bottiglie giganti collegate a getti a pressione, diciamo che un 85% del merito si deve a questo disco.
Sottopressione
Sottopressione

E cosa vuoi aspettarti da un disco hardcore che già in copertina sfoggia un’incudine? Capitanati da una figura leggendaria dell’hc milanese, i Sottopressione con il loro omonimo album si collocano nell’area più estrema del punk meneghino, molto più dritti, violenti e molto meno incentrati sulle melodie dei colleghi Punkreas o Shandon. Dieci tracce rigorosamente sotto la mezz’ora di durata totale del disco: rabbia, frustrazione, ribellione e tutte quelle cose che piacciono agli anarchici. Un bel pogo a volte fa meglio di mille corsette al parco.














