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I migliori cantautori secondo Rolling Stone | Da 49 a 25

Abbiamo selezionato 100 tra i migliori songwriter di tutti i tempi. Questa volta tocca a David Bowie, James Brown, Buddy Holly, Dolly Parton...
I 100 migliori cantautori della storia - da 50 a 25

I 100 migliori cantautori della storia - da 50 a 25

49. Don Henley e Glenn Frey

I due futuri membri degli Eagles ebbero la fortuna di incontrarsi a L.A. nei primi anni ’70, ma nella loro ricerca del successo, furono ancora più fortunati ad avere avversari formidabili. «All’inizio, eravamo gli sfavoriti,» ha detto Frey una volta. «Essendo così vicini a Jackson Browne, Joni Mitchell, e Crosby, Stills e Nash, si era creato questo tacito accordo tra me ed Henley, che diceva, ‘Se vogliamo essere in cima con i pezzi grossi, faremmo meglio a scrivere delle canzoni che siano dannatamente buone.’» Questo è proprio quel che fecero: che le componessero assieme (Desperado, One of These Nights, Tequila Sunrise, Lyin’ Eyes) o con altri membri della band (Hotel California, Life in the Fast Lane, New Kid in Town), Henley e Frey sapevano che le canzoni — e dischi annessi, prodotti meticolosamente— sarebbero state la chiave del loro successo più di ogni armonia o di show elaborati che non facevano parte del loro repertorio. E quelle canzoni, intrise di male di vivere, cinismo, risentimento ed il raro lieto fine, erano cesellate con tale precisione che, decadi dopo, attirano ancora le persone verso quei dischi ed il tour, apparentemente senza fine, per la riunione della band.

48. Elton John e Bernie Taupin

Nel 1967, un astuto dirigente di una compagnia discografica mise in coppia il paroliere Bernie Taupin ed un giovane pianista chiamato Reginald Kenneth Dwight. La loro partnership è perdurata per quasi 50 anni, piazzando 57 canzoni nella Top 40. «Senza Bernie quest’avventura non sarebbe stata possibile», ha detto Elton nel 1994. «Ho lasciato che tutte le mie espressioni ed il mio amore ed il mio dolore e la mia rabbia trapelassero con le mie melodie. Avevo qualcuno che avrebbe scritto le mie parole per me. Senza di lui, l’avventura non sarebbe stata possibile». Il loro processo è rimasto quasi identico sin dal primo giorno: Bernie scrive un testo e lo manda ad Elton, che si mette al piano e lo trasforma in una canzone. Ottennero il primo successo negli anni ’70 con Your Song, un brano che adesso Taupin definisce «uno dei testi più ingenui ed infantili nell’intero repertorio musicale». Ma esso li portò preso ad opere più complesse come Madman Across the Water, Levon e  Sorry Seems to Be the Hardest Word, assieme a pezzi divertenti e leggeri come Bennie and the Jets e Crocodile Rock. «Andy Warhol non ha mai spiegato il significato delle sue canzoni», ha detto Taupin nel 2013. «Diceva solo, ‘Cosa significa per te?’ È così che mi sento io rispetto alle canzoni».

47. Neil Diamond

C’è una ragione se le canzoni di Diamond sono state omaggiate da tutti dai Monkees e gli Smash Mouth a Sinatra. Innanzitutto ci sono le melodie succose ed orecchiabili, che risalgono già ai primi tormentoni di Diamond come Cherry, Cherry e Sweet Caroline e proseguono nei successivi, meditabondi pezzi carichi d’angoscia come I Am… I Said e Song Sung Blue. Il fascino che attira tutti a scapito dell’età ha anche a che fare con il modo in cui Diamond ha ritratto la propria vita — e le vite di molti dei suoi fan.
Dal vivace pop degli albori al Brill Building (I’m a Believer) alle successive canzoni sulla moglie più recente, pochi canzoni riflettono e contemplano la vita attraverso le canzoni come lo ha fatto Diamond. E non dimentichiamo la spumeggiante Cracklin’ Rosie, i toni leggermente salaci di Girl, You’ll Be a Woman Soon, solo due tra le più di 50 canzoni che si sono classificate nella Billboard Top 100 nell’arco di una carriera durata più di mezzo secolo. «Voglio trovare me stesso», disse a Rolling Stone nel 1976. «Lo faccio in una maniera molto sciocca. Scrivo queste canzoncine e poi vado a cantarle…. Sembra un modo strano di costruirsi interiormente un senso di accettazione di sé. Ma è quello che faccio».

46. 
Norman Whitfield e Barrett Strong

Nel 1959, Barrett Strong cantò il primo grande successo della Motown, Money (That’s What I Want), ma trovò un successo ancora più grande come paroliere. Per un periodo di sei anni che cominciò con I Heard It Through the Grapevine nel 1967, lui ed il compositore/produttore Norman Whitfield formarono un impressionate squadra che scriveva canzoni alla Motown. Lavorando notoriamente con i Temptations, crearono un “soul psichedelico,” costruito sulla produzione fortemente sperimentale di Whitfield ed i testi cupi, attenti alle questioni sociali di Strong. Sebbene il sound di Whitfield e Strong fosse il più lontano possibile dal pop convenzionale — molti degli artisti con cui avevano lavorato trovarono frustrante la loro originalità — esso trovò il suo pubblico: Ball of Confusion dei Temptations, Smiling Faces Sometimes degli Undisputed Truth e la veemente polemica di Edwin Starr War furono tutte grandi successi. «Norman Whitfield era il visionario”, ricorda Dennis Coffey, chitarrista presso la Motown. «Costruiva sempre nuovi strati, breakdown, creando questo funk feroce con cambi dinamici straordinari».

45. 
Robbie Robertson

In un momento in cui molti compositori rock erano presi dall’escapismo psichedelico, Robbie Robertson dei The Band cercò l’ispirazione in America — nella sua storia, nei suoi miti e nella sua musica. Canzoni come The Night They Drove Old Dixie Down, Up on Cripple Creek, The Weight e King Harvest (Has Surely Come) furono, come scrisse Greil Marcus in Mystery Train, «devote all’idea stessa di America: complicate, pericolose e vive». La produzione musicale di Robinson pose le basi per i the Band, influenzando generazioni di rocker back-to-the-land. Tuttavia, era soddisfatto del suo ruolo dietro le scene, a fornire canzoni ai tre vocalist dei Band — Levon Helm, Rick Danko e Richard Manuel — in un atto di generosità che andava ad accrescere i temi di spirito e progresso collettivo dei The Band. «Era come se mi fossi trovato in un laboratorio teatrale», ha detto, «dove assegni queste parti a delle persone, ed è in questo che consisteva il mio lavoro all’epoca». Da quando i the Band hanno cessato le proprie attività, Robinson ha solo rilasciato sporadicamente degli album; il più recente, How to Become Clairvoyant del 2103, offriva idiomi americani del passato con un tocco di XXI secolo.

44. 
Jimmy Webb

«[Scrivere canzoni] è un’esperienza infernale», scrisse Jimmy Webb nel suo libro, Tunesmith. «Se non lo è, allora non lo stai facendo bene». Nato in Oklahoma nel 1946, Webb è un erede del Great American Songbook. Successi degli anni ’60 come Up, Up and Away, By the Time I Get to Phoenix, e Wichita Lineman gli fecero guadagnare il titolo di maestro dei tormentoni, un ruolo che lo infastidiva immensamente: a quanto racconta Linda Ronstadt, Webb «era evitato e bistrattato per quella che veniva percepita come una sua mancanza di originalità». Mentre ad oggi gli vengono riconosciuti degli studi unici nel panorama americano sui temi della solitudine e dell’individualità, la sua canzone più popolare rimane un enigma persistente. «Non credo sia una canzone molto buona», ha detto di MacArthur Park, il successo del 1968 che ha steso per il cantante Richard Harris ed ha ricevuto diverse cover. «Ma gli americani sembrano aver sviluppano un’incredibile attrazione per questa torta lasciata fuori sotto la pioggia».

43. Johnny Cash

La sua voce possedeva l’autorevolezza dell’esperienza, così come la possedevano le sue canzoni. In esse, lui era l’uomo che aveva insegnato al salice piangente come si piange, la figura solitaria che si vestiva di nero per i poveri ed gli sconfitti, l’assassino dal sangue freddo che aveva sparato ad un uomo a Reno solo per guardarlo mentre moriva. Presso la Sun Records e più tradi alla Columbia — in canzoni come I Walk the Line, Folsom Prison Blues, Big River, Five Feet High and Rising e I Still Miss Someone — sposò il linguaggio country, blues e gospel all’emergente ritmo serrato del rock & roll. Riconobbe talenti emergenti, incidendo It Ain’t Me Babe di Dylan e Sunday Morning Coming Down di Kris Kristofferson, ed una delle sue canzoni più iconiche fu scritta dalla futura moglie, che l’aveva basata sul loro amore nascente. E non si fermò mai, incidendo The Wanderer con gli U2 nel 1993, ed una serie di album con Rick Rubin nei suoi ultimi anni di vita mentre combatteva gli effetti della sindrome di Shy-Drager. «Dotato di una profonda immaginazione, usava quel dono per parlare di tutte le cause perse dell’animo umano», scrisse Dylan dopo la morte di Cash nel 2003. «È una cosa miracolosa e che ti rende più umile. Lo ascolti, e lui ti riporta sempre alla ragione».

42. Sly Stone

«La mia unica arma è la mia penna/E lo stato mentale in cui mi trovo», mormorava Sly Stone in Poet, la sua dichiarazione più aperta sull’arte di scrivere canzoni. Nel suo apice a fine anni ’70-inizio anni ’60, era una combinazione potente: il compositore/produttore David Axelrod lo definì “il più grande talento nella storia della musica pop.” Nato Sylvester Stewart, Sly era un DJ ed un produttore discografico che amava egualmente la musica soul ed i Beatles. Quando mise assieme Sly and the Family Stone a fine anni ’60, fece sfoggio di un talento per gli aforismi degno della parlantina di un conduttore (“different strokes for different folks, “I want to take you higher”) ed un’abilità nel far sembrare arrangiamenti complicati naturali (“Thank You Falettinme Be Mice Elf Agin” costruisce un funk puro facendo suonare parti assolutamente diverse a ciascun membro della band). Dall’ottimismo di Everyday People all’inquietudine tutta funk di There’s a Riot Goin’ On nel 1971, la sua musica ha ripercorso il viaggio dell’era del flower-power dalle promesse utopistiche al collasso catastrofico come molti altri, ed i suoi groove e riff sono stati campionati all’infinito dagli artisti hip-hop che sarebbero venuti dopo di lui. “Non ho dubbi riguardo alla mia musica,” Sly disse nel 1970. “La verità ti sostiene.”

41. 
Max Martin

Ogni era del pop ha almeno un compositore che, senza fatica, riesce a sfruttare lo spirito ed i gusti del momento, e all’incirca negli ultimi 15 anni, quella persona è stata questo compositore-produttore svedese. A partire dagli anni ’90 con “I Want It That Way” dei Backstreet Boys e “…Baby One More Time” di Britney Spears, per citarne un paio, Martin ha contribuito a creare il sound folgorante ed iper-energico del pop moderno — un talento che si estende ad una straordinaria lista di collaborazioni recenti che includono “We Are Never Ever Getting Back Together” di Ariana Grande, “Last Friday Night” e”Teenage Dream” di Katy Perry, “Problem” di Ariana Grande, “Since U Been Gone” di Kelly Clarkson e “Whataya Want from Me” di Adam Lambert. “Cerco di fare del mio meglio con le canzoni — come piace a me, mi segui?” ha detto Martin. “E direi che i miei gusti a volte corrispondono a quelli di altre persone, specialmente dei programmatori radio. Come sapete, molte opere che una volta erano considerate spazzatura e ‘per ragazzini’ adesso sono ritenute classici.”

40. 
John Fogerty

“Nel 1968 dicevo sempre di voler creare album che tra dieci anni sarebbero ancora passati per radio,” ha detto a Rolling Stone John Fogerty, la mente dietro i Creedence Clearwater Revival, nel 1993. Avrebbe dovuto dire 50 anni, piuttosto. I CCR erano la dance band ambiziosa ed orecchiabile nell’ambiente psichedelico delle piste da ballo di San Francisco a fine anni ’60, creando nella loro carriera 12 successi classificatisi nella Top 40 e rilasciando, nel mentre, cinque incredibili album tra il 1968 ed il 1970. Il processo compositivo di Fogerty rifletteva il punto di vista proletario di uno che aveva scritto il suo primo successo da Top 10 (“Proud Mary”, 1969) solo due giorni dopo essere stato congedato dalle Forze di Riserva: “Me ne stavo semplicemente seduto a notte tarda,” disse. “C’era silenzio, le luci erano basse. Non ci fu alcuno stimolo esterno, né alcol né droghe né niente. Fu una cosa puramente mentale…Avevo scoperto quello che scoprono tutti gli scrittori, che gli venga detto o meno, cioè che puoi fare qualsiasi cosa.” Fogerty ammise più tardi di aver invidiato le lodi dei critici ricevute da Bob Dylan ed i the Band, ma lui come altri sfruttò con successo i toni dei suoi tempi, sia con l’inno di protesta contro la guerra del Vietnam “Fortunate Son” intriso di coscienza di classe, sia con “Bad Moon Rising,” che esprimeva in due rauchi minuti e mezzo l’angoscia per un’imminente apocalisse di tutta l’America.

39. 
David Bowie

La prima volta che la maggior parte delle persone ha ascoltato David Bowie, lui interpretava un astronauta chiamato Major Tom, che fluttua per lo spazio, senza più alcun contatto con la civiltà. Un paio di anni dopo Bowie incanalava quel senso di alienazione cosmica in album come Hunky Dory del 1971 ed i classici del 1972 The Rise and Fall of Ziggy Stardust e Spiders From Mars, emergendo come una delle forze più creative (ed imprevedibili) del mondo della musica degli anni ’70. Inizialmente, la specialità di Bowie era offrire un’indimenticabile visione del demi-monde del glam-rock anni ’70. Nei testi, la sua tecnica di copincolla simile a quella di William Burroughs-style dava vita ad affascinanti, se non a volte sorprendenti, sequele di immagini ed idee. “Scrivi uno o due paragrafi che descrivono diversi argomenti creando una specie di lista degli ingredienti per una storia, direi, e poi spezzetti le frasi in sezioni di quattro o cinque parole; le mischi e le riconnetti,” ha detto una volta, descrivendo un processo che talvolta implica tirare fuori dei versi letteralmente dal nulla. “In questo modo puoi ottenere delle combinazioni di idee alquanto interessanti.” Nel mondo del rock, Bowie vanta anche numerose grandi collaborazioni, che lavori con Brian Eno, Mick Ronson o Iggy Pop. In canzoni senza tempo come “Life on Mars” o “Changes” o “Heroes,” la sua abilità di combinare accessibilità e stravaganza crea una musica che sposa insieme arte e pop e trasfigura la cultura stessa.

38. 
Al Green

Non si dedicò veramente a scrivere canzoni se non dopo aver inciso qualche album, ed i suoi talenti per la composizione sono stati messi in ombra da quelli canori. Tuttavia, i migliori pezzi originali di Al Green non hanno solo il merito di metterne in mostra la voce. A partire dai primi anni ’70, Green, lavorando con il produttore della Hi Records Willie Mitchell ed il chitarrista/co-compositore Teenie Hodges, creò un ricco repertorio di canzoni che mischiavano il sacro ed il profano come nessun altro cantante soul aveva o avrebbe mai fatto. Green cantava di estasi e fallimenti romantici e desideri più profondi tesi ad un amore divino (il linguaggio delle Scritture non è mai stato lontano dai suoi testi, anche quando trattava di argomenti secolari). E si potrebbe fare una solida compilation con le canzoni di Green che sono diventate successi nelle mani di altri artisti: “Take Me to the River” di Syl Johnson (o dei Talking Heads), “Let’s Stay Together” di Tina Turner, “Here I Am (Come and Take Me)” degli UB40, “Still in Love With You” di Meli’sa Morgan, “Love and Happiness” di Earnest Jackson, eccetera, «Le sue canzoni non erano politicizzate come quelle di Marvin Gaye e Donny Hathaway», Justin Timberlake ha scritto su Rolling Stone, «Ma se loro due parlavano con te, Al Green parlava per te».

37. Jackson Browne

Potrà anche suonare (ed apparire) come il prototipico cantante di ballate della California meridionale, ma Browne ha trascorso la propria carriera andando ben oltre i soliti standard dei cantautori. Ha scritto alcune delle canzoni più finemente studiate del rock non solo sul suo percorso di vita (dalla prematuramente saggia “These Days,” scritta a 16 anni, fino a canzoni più recenti come “The Night Inside Me”), ma si è anche messo alla prova con critiche sociali (“Lawyers in Love”) e proteste politiche (“Lives in the Balance”). Quale che sia l’argomento, Browne riporta la stessa prospettiva inquisitoria e ponderata su quella che, in “Looking East,” ha chiamato “la ricerca della verità.” «La natura della mia musica consiste nel trattare di cose davvero fondamentali rappresentandole tramite la mia esperienza personale», disse a Rolling Stone nel 1976. «Non c’è nulla che non sia fondamentale». E in “Running on Empty,” “Boulevard” ed altre, conosceva anche, più di molti altri suoi colleghi, l’importanza di scatenarsi a ritmo di rock. «Ho imparato a scrivere canzoni attraverso il soffitto di Jackson ed il mio pavimento», ha ricordato Glenn Frey di un periodo in cui viveva in un appartamento sopra quello di Browne, “olio di gomito, tempo, testa, persistenza.”

36. 
Jerry Garcia e Robert Hunter

Robert Hunter e Jerry Garcia, i co-compositori al centro dei Grateful Dead, sono i Rodgers e Hart psichedelici. Il duo ha percorso lo spazio profondo — quello interiore e quello cosmico — nelle prime collaborazione come “Dark Star.” Ma a partire da Aoxomoxoa del 1969, e slanciandosi sempre di più con il doppio successo di Workingman’s Dead e American Beauty nel 1970, diedero sfogo ad un’America vividamente mitica, piena di giocatori d’azzardo disonesti, macchinisti fatti di coca, strani capitani, corvi che raccontano storie, lupi che giocano a carte, e — naturalmente— musicisti alla ricerca del trascendente. “Vedevi Hunter in piedi nell’angolo,” racconta il batterista Mickey Hart del periodo in cui Hunter si era unito ai Dead. “Aveva questo balletto che doveva fare. Teneva un piede sollevato e intanto scriveva sui suoi quaderni. Diventava un tutt’uno con la musica. E ad un tratto, ecco che avevamo le canzoni.” La narrazione era sempre stata una delizia, ma è stato il tanto di Hunter per gli aforismi a un tempo familiari e cosmici che ha reso i testi dei Dead l’oggetto di tanti tatuaggi, che li ha fatti ondeggiare e rimbalzare sulle melodie dolce-amare di Garcia come rivelazioni sfavillanti. “Lascia che le canzoni riempiano l’aria,” insiste il cantante in “Ripple,” uno dei numeri più indimenticabili del duo. E voila: così è stato.

35. Bono e The Edge

Ai loro albori negli anni ’70, gli ambiziosi fanciulli degli U2 decisero di dividere equamente il denaro delle vendite. Ma per quanto importanti siano per il sound degli U2 Adam Clayton e Larry Mullen Jr., sin dall’inizio Bono e the Edge sono stati i principali compositori del gruppo. Bono porta con sé le idee grandiose ed un prodigioso orecchio per gli hook eroici, e the Edge dalla sua ha una perfetta padronanza degli affinamenti elettronici e la sua propensione a spingersi sempre più in là. Lavorando insieme, il duo ha perseguito una visione espansiva che va dallo sfogo adolescenziale di “Out of Control” ad inni politici come “Sunday Bloody Sunday” al ruggito che fa tremare gli stadi di “Where the Streets Have No Name” alle danzabilissime ed originali “Mysterious Ways” e “Discotheque” fino alla piacevolissima “The Miracle (of Joey Ramone)” tratto da Songs of Innocence dell’anno scorso. Come carismatico frontman della band, Bono potrà anche ricevere gran parte del merito, tuttavia è il primo ad ammettere l’importanza di the Edge nella creazione della loro canzoni. “Le persone intelligenti sanno cosa fa [the Edge], e a lui non importa del resto del mondo,” ha detto Bono a Rolling Stone nel 2005. “Mi innervosisco e chiedo, ‘Come fa la gente a non saperlo?'”

34. 
Michael Jackson

L’innato genio musicale di Jackson si poteva sentire nei suoi primi 5 pezzi che raggiunsero le cime delle classifiche. E raggiunse la maturità con l’eccellente disco pop di Off the Wall ed il monumentale Thriller del 1979, dove gli è accreditata solo la stesura di “Billie Jean,” “Beat It” e “Wanna Be Startin’ Something.” All’arrivo di Bad nel 1987, gli era attribuita quasi ogni canzone sull’album. I collaboratori e co-compositori di Jackson si stupivano di come quei classici della pista da ballo si materializzassero già completi nella testa del loro creatore. Quella, disse Michael, era l’unico modo in cui gli riuscisse di comporre: “Se mi siedo davanti al piano, se mi siedo lì e suono qualche accordo. . .non succede nulla.” Ancora più notevolmente, il cantante immaginava l’arrangiamento completo delle canzoni mentre le scriveva, partendo dagli elementi di base del ritmo fino alle rifiniture più piccole. “Ci cantava l’arrangiamento degli archi per, ogni singola parte,” ricorda l’ingegnere Rob Hoffman. “Aveva tutto in teta; armonia e tutto il resto. Non semplici idee per loop da otto-ottave. Cantava proprio tutto l’arrangiamento registrandolo con un piccolo mangiacassette, con tanto di stop e fill.”

33. Merle Haggard

“Hag, tu sei la persona che la gente crede che io sia,” disse Johnny Cash a Merle Haggard, la cui vita si intrecciava magnificamente ai propri testi. Tra i 38 successi country di Haggard guadagnatisi il primo posto, pezzi indimenticabili come “Okie From Muskogee,” “Mama Tried” e “Sing Me Back Home” mischiavano l’autobiografia ed un comportamento da duro con uno spirito honky-tonk secondo la tradizione di Lefty Frizzell e Hank Williams. Come ha detto all’American Songwriter nel 2010, “A volte le canzoni mi venivano in mente troppo in fretta perché le scrivessi, e a volte succede ancora.” Il prolifico Haggard, che una volta incise otto albumi nel giro di tre anni, è un’icona del conservatorismo country grazie al classico che prende in giro gli hippie “Okie From Muskogee.” Eppure, la sua musica ha influenzato direttamente pilastri come Workingman’s Dead dei Grateful Dead e Beggars Banquet dei Rolling Stones, e Hag è stato influenzato a sua volta. “Sono un rock & roller,” ha detto di recente a Rolling Stone. “Sono un tipo country a causa della mia educazione, ma sono un fan di Chuck Berry. Amo Fats Domino tanto quanto amo Hank Williams e Lefty Frizzell.”

32. 
Burt Bacharach e Hal David

Burt Bacharach studiò composizione classica con il compositore francese Darius Milhaud ed era parte della cerchia dell’icona avant-garde John Cage. Tuttavia scelse la musica pop come carriera e iniziò a scrivere canzoni con il paroliere Hal David, che ben sapeva adattare sentimenti malinconici alle insolite progressioni di accordi jazz e ai tempi mutevoli di Bacharach. (“Tutto conta,” aveva detto Bacharach. “Non ci sono riempiture superflue in una canzone di tre minuti e mezzo.”) Il loro primo successo giunse nel 1957, ma la loro partnership decollò a tutti gli effetti cinque anni dopo, quando iniziarono a lavorare con la cantante Dionne Warwick. Tra il1962 ed il 1971, Warwick scalò le classifiche con dozzine di canzoni scritte dal duo Bacharach/David come “I Say a Little Prayer,” “Walk on By” e “Anyone Who Had a Heart.” Le loro canzoni divennero successi anche per altri cantanti: Richard Carpenter dei Carpenters, che ottenne il primo posto con “Close to You,” definì Bacharach “uno dei compositori più talentuosi che siano mai vissuti. . .l’essere fuori dagli schemi non ha mai avuto un suono più amabile ed sagace.”

31. 
Dolly Parton

Con 3,000 a suo nome — compresi più di 20 singoli country classificatisi al primo posto —Dolly Parton ha goduto di una delle carriere di compositore più impressionanti. Parton sfruttò la sua povera infanza sui monti del Tennessee per canzoni come “Coat of Many Colors” e “The Bargain Store,” e nel corso degli anni ’70 le sue canzoni aprirono nuove strade per i resoconti di paturnie romantiche e difficoltà coniugali. In “Travelin’ Man,” dal suo capolavoro del 1971 Coat of Many Colors, la madre di Parton fugge con il suo uomo, e nella tristissima “If I Lose My Mind,” dallo stesso album, Parton osserva il suo ragazzo che fa l’amore con un’altra donna. Negli anni, le sue canzoni sono state riprese da tutti dai White Stripes a LeAnn Rimes a Whitney Houston, che ebbe uno straordinario successo con la sua versione della ballata di Parton “I Will Always Love You.” Scherzando, Parton ha sempre lanciato frecciatine a se stessa (una volta descrisse la sua voce come un incrocio tra Tiny Tim ed una capra). Ma quando si tratta dell’arte di comporre, lei non scherza. “Sono sempre stata orgogliosa di me stessa in quanto compositrice, più di ogni altra cosa” disse una volta, aggiungendo “nulla mi è più sacro e prezioso del momento in cui riesco veramente ad entrare in quello spazio dove ci siamo solo io e Dio.”

30. 
Pete Townshend

I Who ebbero un bassista unico, un bassista brillante, un cantante imponente — e le loro canzoni vantavano inoltre una notevole maestria nelle parti della chitarra. Ma non sarebbero andati da nessuna parte se Pete Townshend non si fosse evoluto in un compositore costantemente innovativo. I primi pezzi come il loro singolo di debutto “I Can’t Explain” ed il memorabile inno “My Generation” erano alimentati dai dolori adolescenziali, ma con ogni anno che passava, Townshend diveniva sempre più ambizioso, andando da un vago concept album su una stazione radio pirata (The Who Sell Out del ’67) all’innovativa rock opera su un mago del flipper che è sordo, ritardato e cieco (Tommy, 1969) al doppio LP su un giovane mod che viene afflitto da una forma di personalità multipla (Quadrophenia, 1973.) La sua produzione rallentò notevolmente a metà anni ’80 ed ha rilasciato appena due album nelle scorse tre decadi. Ma quello che ha fatto nei primi 15 anni dei Who ha trasformato le possibilità della musica rock. “Se dovessi [incidere un altro album], penso che vorrei che trattasse a fondo tutto quello che sta succedendo oggi nel mondo,” ha detto a Rolling Stone all’inizio dell’anno. “Sono vecchio, saggio e stupido a sufficienza ed ho fatto abbastanza roba pericolosa per dire precisamente quello che mi passa per la testa.”

29. 
Buddy Holly

Chuck Berry scrisse dell’America adolescente. Buddy Holly, l’altro grande cantautore rock & roll degli anni ’50, la incarnava. Holly aveva iniziato ad incidere da poco meno di due anni quando morì in un incidente aereo nel 1959 a 22 anni. Tuttavia, in quella breve carriera, creò un repertorio incredibile. In canzoni come “That’ll Be the Day,” “Rave On,” “Everyday,” “Oh Boy,” “Peggy Sue” e “Not Fade Away,” la sua voce allegra e sussultante e la sua chitarra asciutta ed esuberante accentuavano testi che sembravano riassumere le speranze, le aspirazioni e le paure dei ragazzini che compravano i suoi dischi. Dopo un tentativo fallito di raggiungere la fama a Nashville come artista country, Holly tornò nella nativa Lubbock, Texas, dove lui e la sua band the Crickets intrapresero un viaggio in auto fino allo studio del produttore Norman Petty a Clovis, New Mexico, per incidere una versione di “That’ll Day Be the Day” (una canzone che la Decca Records aveva rifiutato), che divenne un singolo che si guadagnò il primo posto in classifica. Nonostante Petty collaborasse nella stesura delle sue canzoni, Holly fu uno dei primi cantanti rock & roll a scrivere il proprio materiale, esercitando un’enorme influenza sui Beatles ed i Rolling Stone, tra tanti altri. Il nome dei Beatles fu ispirato dai Crickets e, stando alla leggenda, quando i Fab Four giunsero in America per suonare all’Ed Sullivan Show, John Lennon chiese, “Questo è il palco dove si esibì Buddy Holly?”

28. 
Woody Guthrie

Il cantante folk più influente della storia americana descrisse, una volta, il suo processo creativo in questo modo: “Quando sto scrivendo una canzone e mi vengono le parole, mi guardo intorno e cerco un pezzo che ha riscosso successo con le persone.” Nato in una famiglia relativamente benestante dell’Oklahoma e radicalizzatosi durante la Grande Depressione, quello che una volta veniva chiamato Woodrow Wilson Guthrie rovistò l’intera tradizione musicale americana —dalla musica country alle canzoni di chiesa a pezzi a sfondo comico — e creò canzoni che si rivolgevano, ed aiutarono a modellare, il mondo intorno a lui. (“This Land Is Your Land,” che incise nel 1940 mentre era in congedo dalla marina mercantile, riprendeva la melodia da un vecchio pezzo gospel intitolato “Oh My Loving Brother.”) La varietà della sua musica quasi non ha pari: Guthrie scrisse canzoni per bambini e Hanukkah, canzoni in supporto di sindacati e la Seconda Guerra Mondiale e la costruzione di varie dighe, canzoni che celebravano Gesù come un fuorilegge e criticavano Charles Lindbergh e le sue simpatie naziste, persino una canzone su un disco volante. La musica di Guthrie, ha scritto Bob Dylan in Chronicles, “aveva la portata infinita dell’umanità.”

27. 
Ray Davies

“Nel rock inglese,” ha detto Pete Townshend dei Who, a proposito del suo irripetibile rivale, “Ray Davies è il nostro unico, autentico genio naturale.” Il principale compositore dei Kinks aiutò a creare il punk rock con “You Really Got Me” e “All Day and All of the Night.” Ma con canzoni come “Waterloo Sunset,” “A Well Respected Man,” “Sunny Afternoon,” “Dedicated Follower of Fashion,” e molte altre, Davies perfezionò un modo di far canzoni unicamente inglese, basato sull’arguta sagacia e l’armoniosità della tradizione dei primi music hall ma modernizzata con questioni più recenti (fare la corte ad una donna trans in “Lola,” per esempio), l’occhio esigente di un narratore per il realismo, ed una tipica gioia nel ribaltare le gerarchie di classe britanniche. Ma è la sua abilità nell’inquadrare le emozioni che rende semplici canzoni d’amore come “Days” incandescenti, ed eleva una meditazione solitaria come “Waterloo Sunset” in quella che taluni considerano la più bella canzone in lingua inglese. “Penso che le cose di cui scrivo siano cose per cui non posso combattere,” ha detto a Rolling Stone nel 1970. “Ci sono molte cose che dico che sono molto comuni. Non riesco a liberarmene. Mi concentro su qualche minuzia, poi la guardo, poi ci ritorno.”

26. James Brown

Dopo aver creato successi R&B come “Please Please Please” ed aver registrato il più grande album live mai esistito, Live at the Apollo del 1963, James Brown ha cambiato per sempre il modo di fare canzoni pop negli anni ’60 ed i primi anni ’70 deviando dalle norme della composizione musicale, dando risalto alla propria musica con un ritmo serrato e tempestoso, inventando quello che poi sarebbe stato conosciuto come funk. “Aretha e Otis e Wilson Pickett erano sulle scene e stavano diventando famosi. Io venivo ancora definito un cantante soul,” ha ricordato una volta. “Mi definisco ancora tale ma musicalmente ero già andato in una direzione diversa. Avevo scoperto che la mia forza non risiedeva negli strumenti a fiato, ma nel ritmo.” Un abile arrangiatore e compositore, Brown ha inoltre inventato un nuovo tipo di esortazione aforistica nei testi che è diventata la lingua france dell’hip-hop e la musica dance. The Hardest-Working Man in Show Business creava spesso sul momento, scarabocchiando versi su una busta di carta (“Sex Machine”) o un tovagliolino da cocktail (“Say It Loud — I’m Black and I’m Proud”). “Sentiva tutto quello che voleva sentire, ed usava noi per ‘metterlo nero su bianco,'” dice Bootsy Collins, il bassista di Brown all’inizio degli anni ’70. “Era come se fossimo gli interpreti di quello che aveva da dire.”

25. Randy Newman

“Quando vai ad 80 miglia l’ora sull’autostrada forse non ti accorgi dell’ironia,” ha detto Randy Newman. “Ma è quello che ho scelto di fare.” Infatti, la sua ironia non ha pari nel mondo del rock & roll. Il album cult come 12 Songs del 1970 e Sail Away del 1972, Newman ha sviluppato personaggi, esplorato situazioni ironiche e dato corpo a prospettive che nessun suo contemporaneo aveva neppure considerato — “Suzanne” era cantata dal punto di vista di uno stupratore, “God’s Song” esamina l’umanità con disgusto dal seggio confortevole dell’Onnipotente e “Sail Away” era il discorso tendenzioso che, prima della Guerra Civile, un mercante di schiavi fa agli africani sulle meraviglie dell’America (“Ogni uomo è libero di prendersi cura della sua casa e della sua famiglia”). I primi album di Newman furono delle calamità dal punto di vista commerciale, ma ebbe un successo inaspettato nel 1977 con “Short People,” una mordace, divertente parodia del bigottismo, e da lì ha goduto di una seconda carriera di enorme successo componendo la colonna sonora per film come Toy Story e Monsters Inc. I pezzi di Newman hanno visto le cover di moltissimi artisti — da Judy Collins a Harry Nilsson a Ray Charles ai Manfred Man’s Earth Band ai Three Dog Night — ed il rispetto di cui gode tra i suoi colleghi è universale. T. Bone Burnett definisce “Sail Away,” “la più grande satira nella storia della musica americana.”

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