I 25 migliori album usciti nel 1993 | Rolling Stone Italia
Rockmatazz

I 25 migliori album usciti nel 1993

Dall’accoppiata Nirvana-Pearl Jam ai debutti di Björk e Suede, dall’album più rock dei Depeche Mode alla canzone neo-tradizionale dei Counting Crows, il meglio di una grande annata di musica

I 25 migliori album usciti nel 1993

Kurt Cobain dal vivo coi Nirvana

Foto: Jeff Kravitz/FilmMagic

Forse i trent’anni trascorsi da allora avevano un po’ tradito la nostra memoria. In assenza di un Nevermind o di uno Screamadelica, di un debutto come quello dei Pavement o dei Rage Against The Machine, ci eravamo quasi convinti che tutto sommato il 1993 musicale fosse stato un anno in tono minore rispetto alle notevolissme annate che l’avevano preceduto.

Poi però, per compilare questa lista, ci siamo messi a scorrere l’elenco dei dischi usciti esattamente trent’anni orsono. Anche allargando a 25 la nostra scelta dei migliori album di quei dodici mesi, ci è toccato escludere campioni come 2Pac e Janet Jackson, album come The Red Shoes di Kate Bush, gli esordi di Cranberries e Radiohead e diversi altri dischi meno noti che ci erano piaciuti e ci piacciono ancora. Come Mercury degli American Music Club, In on the Kill Taker dei Fugazi, Houdini dei Melvins e Satisfied Mind dei Walkabouts.

Anche nel 1993 sono usciti album in grado di definire un genere (Jazzmatazz Vol. 1 di Guru) o di fare genere a sé (i Morphine e l’album d’esordio dei Tool), ottime prove mainstream (gli U2 che continuano a seguire la scia elettronica di Achtung Baby e i Depeche Mode che avvicinano al rock la loro elettronica) e debutti memorabili e diversissimi tra loro (Liz Phair, Counting Crows, Björk e Jamiroquai), oltre ai canti del cigno, discografici (temporaneo quello Guns N’ Roses) e non solo (Nirvana), di due band amatissime. E vogliamo dimenticarci del Brit pop che (ri)nasceva con Blur e Suede?

Insomma, trent’anni fa è uscita un sacco di grande musica e fare una sintesi è stato un lavoro entusiasmante e difficile. Come sempre, i criteri che ci hanno guidato nella scelta sono stati principalmente quelli dell’eredità dell’album misurata con il gusto di oggi, della rilevanza per la scena musicale nel momento dell’uscita e, inevitabilmente ma in misura minore, del gusto personale.

Dusk

The The

Gennaio 1993

C’è anche Johnny Marr nella formazione dei The The che pubblica questa raccolta di canzoni notevolissime. È la black music del bianco Matt Johnson, nera nei suoni (blues, funk, persino gospel) ma anche nell’umore del capobanda (nella telefonata di Helpline Operator sembra di percepire la sua angoscia). Tutti i brani meriterebbero di essere citati, ci limitiamo a farlo con le chitarre al limite dell’hard del primo singolo Dogs of Lust e con il capolavoro Slow Emotion Replay, una delle più belle canzoni del rock inglese anni ’90.

Songs of Faith and Devotion

Depeche Mode

Marzo 1993

L’album più rock dei Depeche Mode è anche uno dei migliori della loro carriera. Reduce dal lavoro su Achtung Baby degli U2, Flood viene confermato in cabina di regia e assiste a session quanto mai agitate, in cui per la prima volta la band utilizza turnisti per arricchire il suono, tra archi, voci gospel e uilleann pipes. Nel tour che seguirà, la chitarra di Martin Gore è sempre più presente sul palco, su cui per la prima volta c’è anche una vera batteria. A sedersi dietro i tamburi per alcuni brani è lo stesso Alan Wilder, che al termine dei concerti lascerà il gruppo.

Suede

Suede

Marzo 1993

Tutti si domandano se siano nati i nuovi Smiths, ma questo memorabile esordio nasconde un dna assai più variegato. Brett Anderson cita i Crass tra i suoi gruppi preferiti e Prince come fonte di ispirazione del suo modo di cantare. E durante le interviste non lesina dichiarazioni destinate a suscitare interesse intorno alla band: «Non voglio raccontare che un ragazzo incontra una ragazza. A volte scrivo da un punto di vista gay perché ci sono certi segmenti della società che hanno trovato pochissimo spazio nella pop music» spiega al New Musical Express durante un incontro organizzato con David Bowie. Numero uno nella classifica di vendita britannica, grazie anche a folgoranti singoli glam come Metal Mickey e Animal Nitrate.

Undertow

Tool

Aprile 1993

Il debutto sulla lunga distanza della band californiana mette subito sul tavolo le carte con cui giocherà nel corso di una carriera unica. La voce di Maynard James Keenan trasmette emozione e inquietudine, mentre i suoi compagni vanno oltre il metal striandolo di psichedelia, progressive e suggestioni goth. Faranno anche di meglio, pur senza mai superare, per forza di cose, la sorpresa suscitata da questo esordio.

Rid of Me

PJ Harvey

Maggio 1993

Il blues moderno del trio della cantante del Dorset bissa in bellezza l’esordio di Dry. Dopo quel debutto, Polly Jean Harvey può scegliersi la casa discografica, dato che le offerte non mancano. La scelta cade sulla Island, «perché ha pubblicato i miei dischi preferiti di Tom Waits». Steve Albini arriva in cabina di regia e lascia fare da par suo. Il suono è scarno e veste alla perfezione le inquietudini di brani che toccano anche territori garage e rockabilly. C’è spazio addirittura per rischiare una cover di Highway 61 Revisited di Bob Dylan portando a casa un brillante risultato. In ottobre esce anche 4-Track Demos, raccolta di 14 demo di cui otto sono poi diventati brani di quest’album.

Jazzmatazz, Volume 1

Guru

Maggio 1993

“Una fusione sperimentale di hip-hop e jazz”. Proveniente dai Gang Starr, Guru parla chiaro fin dalla copertina e pubblica un disco che definisce un genere, una raccolta di pezzi con i quali tutti quelli che vorranno far incontrare i due mondi dovranno fare i conti. Un hip hop nel quale il jazz non compare solo sotto forma di sample, ma mediante strumenti suonati da ospiti come Roy Ayers (vibrafono), Donald Byrd (tromba) e Ronny Jordan (chitarra). Pur convincenti, i successivi volumi della serie non saranno altrettanto entusiasmanti, anche a causa del venir meno dell’effetto sorpresa.

Souvlaki

Slowdive

Maggio 1993

Meno rumorosa dei My Bloody Valentine, meno pop dei Ride, con questo album la band di Rachel Goswell e Neil Halstead si pone in un’ideale triangolo shoegaze, di cui rappresenta il lato più sognante, anche grazie alle influenze dub di un brano come Souvlaki Space Station. Nel disco c’è anche la mano di Brian Eno, che declina l’offerta di produrre l’intero album ma accetta di mettere le mani su due brani (Sing e Here She Comes) su richiesta dello stesso Halstead, da sempre un suo fan.

Modern Life Is Rubbish

Blur

Maggio 1993

Dopo un esordio incerto, la band di Damon Albarn e Graham Coxon si reinventa con un album che mescola il meglio dei suoni Brit dei decenni passati, dai Kinks ai Teardrop Explodes, dagli Who ai Madness. Il tentativo di piazzare Andy Partridge degli XTC in cabina di regia non va a buon fine per motivi caratteriali, ecco allora la scelta di Stephen Street, storico produttore degli Smiths destinato a diventare il quinto Blur. Assieme all’esordio degli Suede, è il disco che dà il via al boom del Brit pop di metà anni ’90. Il titolo deriva dalla scritta su un muro di Bayswater Road. «Non ho bisogno di fare come Bobby Gillespie e andare a Nashville», dice Damon Albarn riferendosi al viaggio intrapreso dai Primal Scream per registrare Give Out But Don’t Give Up, uscito l’anno successivo, «se fai un giro a Londra è tutto molto più interessante, ci sono molti più psicopatici di quanti si possa immaginare».

Debut

Björk

Giugno 1993

Prima degli Sugarcubes e dei misconosciuti Kukl c’era stato un album inciso a 11 anni assieme a una band di adulti e, dopo quelle band, un disco di pop-jazz assieme al trio del pianista Gudmundur Ingolfsson. Ma come si intuisce dal titolo è con questo album che la cantante islandese inizia a fare sul serio. Prodotto da Nellee Hooper, il disco va decisamente oltre l’immaginario rock e contiene in nuce molte delle caratteristiche della Björk che verrà, tra elettronica, dance e un ampio uso di ambientazioni orchestrali. Il successo di singoli come Play Dead e Venus As a Boy garantisce anche un buon riscontro di vendite, destinato ad aumentare con i capitoli successivi.

Exit in Guyville

Liz Phair

Giugno 1993

Uno degli esordi più sorprendenti di tutto il rock americano anni ’90. La ventiseienne del Connecticut si ispira a Exile On Main St. degli Stones e ne dà la propria versione, omaggiando diversi grandi suoi connazionali, dai classici Velvet Underground ai contemporanei Pavement, attraverso un’ampia tavolozza che comprende anche il folk e il blues. È proprio questa varietà la caratteristica migliore di un album che la sua autrice non riuscirà più a bissare, nonostante diversi apprezzabili seguiti.

Emergency on Planet Earth

Jamiroquai

Giugno 1993

Funk, acid jazz, didjeridoo aborigeni, una voce alla Stevie Wonder e l’immaginario dei nativi americani. Un cocktail apparentemente improbabile che in realtà funziona alla grande, soprattutto a livello commerciale (il numero uno nella classifica britannica è lì a dimostrarlo). Il debutto della band fondata da Jay Kay diverte in pista e fuori, anche grazie all’appeal di pezzi come Too Young to Die e il singolo d’esordio When You Gonna Learn.

Saturation

Urge Overkill

Giugno 1993

Il mistero di Nash Kato, Eddie King Roeser e Blackie O è come siano riusciti a non diventare una band di enorme successo, data la loro capacità di prendere una splendida melodia pop e renderla acida il giusto per non farla diventare stucchevole. In questo piccolo capolavoro di rock chitarristico pieno di pezzi da autoradio c’è persino una ballata (Heaven 90210) dedicata alla serie tv del momento. Del resto, la situazione non cambierà granché nemmeno quando, un anno più tardi, si faranno ascoltare da mezzo mondo grazie alla cover di Girl, You’ll Be a Woman Soon di Neil Diamond contenuta nella colonna sonora di Pulp Fiction.

Siamese Dream

Smashing Pumpkins

Luglio 1993

Ci sono tanti, tantissimi ingredienti nella testa e nel cuore di Billy Corgan. L’assalto di Cherub Rock e la dolcezza di Today, due singoli impossibili da ignorare, sono solo gli esempi più eclatanti di una musica che mescola psichedelia anni ’70 e grunge in via di estinzione, il rumore e la melodia. Un disco che è il ponte ideale tra le pur affascinanti incertezze di Gish e Mellon Collie and the Infinite Sadness.

Black Sunday

Cypress Hill

Luglio 1993

L’immaginario “dopato” dell’omonimo esordio di due anni prima viene contaminato (anche nei suoni) con quello metal, per un album che piace al pubblico rock, vende quattro milioni di copie e porta B-Real, Sen Dogg e DJ Muggs sul palco principale del Lollapalooza accanto ai giganti dell’alternative. Legalize It e Insane in the Brain sono nuovi inni per una generazione che cerca nella marijuana l’abbraccio capace di lenire i propri dolori.

Zooropa

U2

Luglio 1993

Intitolato quasi come il tour negli stadi (tappe durante l’estate 1993 anche in diverse città italiane) seguito alla pubblicazione di Achtung Baby, quest’album viene spesso considerato come un episodio minore della storia U2. Prodotto da Flood, Brian Eno e The Edge, contiene in realtà più di un episodio di notevole interesse, a partire dall’electro-rock di Numb, cantata dal chitarrista con voce trattatissima, fino ad arrivare alla conclusiva The Wanderer, con cui la band irlandese offre Johnny Cash al pubblico rock in leggero anticipo rispetto agli American Recordings di Rick Rubin.

Last Splash

The Breeders

Agosto 1993

Nonostante il cambio di formazione, fuori Tanya Donelly (ex Throwing Muses che nello stesso 1993 pubblica l’ottimo debutto Star con i suoi Belly) e dentro Kelley Deal (sorella della fondatrice Kim) l’appeal pop delle Breeders resta invariato rispetto all’esordio di Pod. Di pop più che mai obliquo si tratta, ovviamente, come da tradizione Pixies, che nel frattempo si sono sciolti lasciando Kim Deal senza un’occupazione stabile. Un album che fa presagire un grande futuro ma a cui la band darà un seguito solo nove anni più tardi. Intanto, però, c’è il grande presente di un pezzo come Cannonball, che nella categoria “inno alternativo anni ’90” se la gioca con Smells Like Teen Spirit (il cui autore è da sempre un fan della band).

August and Everything After

Counting Crows

Settembre 1993

Prodotta da T Bone Burnett, la band californiana debutta con un album di classic rock nel senso migliore del termine, abbeverandosi a fonti che hanno attraversato i decenni precedenti. Gli anni ’60 della Band, i ’70 di Van Morrison, gli ’80 degli U2 “americani” di The Joshua Tree. Pur senza raggiungere lo stesso livello di eccellenza di quegli illustri predecessori, ne fornisce una sintesi che piace anche al cassiere della Geffen, che conterà oltre otto milioni di copie vendute.

Laid

James

Settembre 1993

L’ennesima trasformazione della band di Manchester vede Brian Eno nelle vesti di produttore per un album dai toni folk che deve la sua bellezza a pezzi dalla scrittura inattaccabile, capaci di far ridere e commuovere, e a un uso degli strumenti acustici che si riannoda agli esordi del gruppo, che avevano incantato il concittadino Morrissey. Le numerose sessioni di improvvisazione registrate durante la lavorazione del disco verranno utilizzate per confezionare il suo “fratello minore” Wah-Wah, uscito l’anno successivo.

Cure for Pain

Morphine

Settembre 1993

Forse non è l’album migliore di questa lista, di sicuro merita di stare sul podio quanto a originalità. Mark Sandman, il leader del trio, definisce low rock una musica indefinibile fatta con il suo basso a due corde suonato come una slide, con la batteria di Jerome Deupree e con il respiro del sax di Dana Colley. Ci sono il rock, il blues e il jazz, in un’opera seconda premiata anche da inattesi riscontri di vendita.

In Utero

Nirvana

Settembre 1993

Ci vorrebbe l’intero spazio qui a disposizione per citare tutte le cose importanti a proposito dell’ultimo lavoro in studio della band di Kurt Cobain, che doveva intitolarsi I Hate Myself and I Want to Die e si apre con un verso che dice “l’angoscia adolescenziale ha dato i suoi frutti, ora sono vecchio e annoiato”. La cosa migliore è ascoltare le canzoni, che non temono confronti con quelle di Nevermind e le superano in bellezza grazie alla produzione poco intrusiva di Steve Albini, che aveva messo le cose in chiaro fin dall’inizio: «Produrre un album dove tutto è al posto giusto è veramente facile, è uno scempio che qualsiasi idiota con pazienza e denaro può permettersi. Per me contano cose più importanti: l’originalità, la personalità e l’entusiasmo».

Gentlemen

Afghan Whigs

Ottobre 1993

Il passaggio dalla Sub Pop a una major come la Elektra non nuoce al livello qualitativo della musica di Greg Dulli e compagni, che volano a Memphis per registrare agli Ardent Studios. Anzi, per «girare sul posto», come si legge nei credits del disco, con un linguaggio mutuato da quello cinematografico. Transitato impropriamente nell’orbita grunge (il periodo, la casa discografica e certi suoni chitarristici avevano tratto molti in errore), il gruppo si caratterizza invece per una miscela unica di punk, soul, blues e funk.

So Tonight That I Might See

Mazzy Star

Ottobre 1993

Hope Sandoval e David Roback aggiungono tinte velvettiane alla psichedelia folk dell’esordio di tre anni prima e sfornano un gioiello di pop acido degno di stare accanto ai lavori migliori di Rain Parade e Opal, le due precedenti band in cui il chitarrista ha militato. Fade into You conquista i cuori anche di coloro che non hanno mai sbucciato la banana di Warhol e trascina l’album oltre il milione di copie vendute.

Vs.

Pearl Jam

Ottobre 1993

Quasi un milione di copie nella prima settimana di vendita. Non si può dire che l’opera seconda della band di Seattle non fosse attesa dal pubblico. «È come se avessimo registrato di nuovo il nostro primo album» ha raccontato anni dopo Jeff Ament a Rolling Stone, riferendosi all’esordio del produttore Brendan O’Brien e a quello del batterista Dave Abbruzzese al posto di Dave Krusen. Rispetto a Ten, il suono è più aspro e l’atmosfera più disturbante. Eddie Vedder e i suoi, addirittura, dopo aver sentito O’Brien dire che Better Man sarebbe diventata una hit, decidono di eliminarla dalla scaletta. Ricomparirà in una nuova versione l’anno successivo su Vitalogy.

The Spaghetti Incident?

Guns N’ Roses

Novembre 1993

Doveva intitolarsi Pension Fund (fondo pensione), perché l’intenzione della band era quella di realizzare una serie di cover dei suoi gruppi punk (ma non solo) di riferimento, per far sì che gli autori dei brani originali percepissero le relative royalties. In mezzo a riletture di Misfits, Damned e U.K. Subs, i Gunners nascondono anche una canzone di Charles Manson, tanto per non farsi mancare l’abituale polemica. Ma il risultato finale è buono, a un livello che la band di Los Angeles non riuscirà più a raggiungere.

Enter The Wu-Tang (36 Chambers)

Wu-Tang Clan

Novembre 1993

I componenti della crew di Staten Island sono nove, e moltiplicando il loro numero per le quattro camere di conoscenza delle arti marziali della teosofia orientale Shaolin si ottiene il 36 contenuto nel titolo. Questo per descrivere una parte dell’immaginario del Clan, fatto anche di scacchi e cinematografia kung-fu. Quanto alla musica, il produttore RZA non disdegna nemmeno James Brown e i classici del soul. Un esordio da un milione di copie vendute per un marchio che diventerà un piccolo impero non solo in campo musicale.