I 25 migliori album usciti nel 1975 | Rolling Stone Italia
Che anno!

I 25 migliori album usciti nel 1975

Passato e futuro si incontrano producendo capolavori che vanno da ‘Blood on the Tracks’ a ‘A Night at the Opera’ passando per ‘Physical Graffiti’, ‘Horses’, ‘Wish You Were Here’, ‘Born to Run’. Niente male, vero?

I 25 migliori album usciti nel 1975

Bruce Springsteen durante il tour di 'Born to Run', nel 1975

Foto: Gijsbert Hanekroot/Redferns via Getty Images

Il 1975 è un anno cruciale per la musica rock, un periodo in cui il movimento, pur raggiungendo una straordinaria maturità artistica, comincia a mostrare i segni di un cambiamento imminente. Molti album pubblicati nel corso dell’anno sono destinati a lasciare una traccia, sono riusciti al 100% e spesso stupendamente ambiziosi, ma sembrano percorsi da un’inquietudine sottile, come un senso di malinconia e spaesamento. La società sta cambiando, le certezze dei decenni precedenti vacillano e la musica diventa specchio della trasformazione.

Il rock più tradizionale, quello ancora legato alle radici blues e folk, conserva le principali caratteristiche ma sempre più spesso si fa teso e sconfina nell’hard o nella fusion. Nel frattempo gente come Brian Eno getta le basi per il futuro dell’elettronica, Zappa zappeggia di suo, il krautrock dipinge il futuro e il prog, che ha dettato legge fino a poco tempo prima, pare sempre più impantanato in un suono barocco e cerebrale, tanto che qualcuno (Gentle Giant in primis) azzarda un alleggerimento. D’altra parte, ci sono artisti che utilizzano proprio alcuni orpelli del prog, li “barocchizzano” ulteriormente e ottengono grandi consensi, come nel caso dei Queen.

C’è anche chi lancia nuovi successi stratosferici come Mike Oldfield o i Pink Floyd, che raggiungono ulteriori vertici e si faranno odiare da chi vuole un ritorno alla semplicità, al suono immediato e brutale. Il punk (stranamente anticipato dal disco di un progger: Peter Hammill) comincia a svilupparsi nei club underground e nelle grandi città, dove l’esigenza di esprimere una musica spontanea e priva di orpelli diventa sempre più forte. Anche uno come Neil Young denuda la sua musica ed esterna il suo dolore per gli amici scomparsi. Sempre dall’altro lato dell’oceano, Bob Dylan e Joan Baez confermano il loro status di intoccabili mentre Bruce Springsteen inscena storie di disillusione e sogni infranti, con un suono tosto e appassionato che rappresenta la lotta di una classe lavoratrice in cerca di riscatto.

Il punk attecchisce in modo diverso negli Stati Uniti, in qualche caso facendosi poesia (Patti Smith). Comincia a trovare spazio anche l’adult oriented rock (AOR) a infiammare gli stadi, si prefigurano quello che sarà il pop deluxe (ABBA), il soft rock, lo yacht rock, si registra l’ascesa della disco music e del funk. Lo stesso stile che caratterizza l’ennesimo cambio di maschera di Bowie, che si spoglia delle ambiguità e conduce tutti sulla pista da ballo. C’è bisogno di spegnere il cervello e di scuotere il corpo.

In generale la musica si fa sempre più spettacolo. L’elemento visivo diventa centrale nelle esibizioni dal vivo, trasformando i concerti in esperienze totalizzanti. Il palco diventa un luogo dove l’immagine dell’artista è tutt’uno con la performance, dando vita a un nuovo tipo di esperienza collettiva che combina la musica con il teatro e la moda. Questo processo di spettacolarizzazione del rock porta alla nascita di un’industria che, da questo momento, giunge all’ultimo atto della trasformazione della musica in business globale.

Nel 1975 si percepisce chiaramente che nulla potrà più essere come prima. È l’anno in cui il passato glorioso e il futuro incerto si incontrano.

Blood on the Tracks

Bob Dylan

Gennaio 1975

Dylan torna al folk con brani intimi e riflessivi che esplorano i temi dell’amore, del dolore e della separazione. Considerato uno dei suoi lavori più introspettivi e personali, Blood on the Tracks è influenzato dalle difficoltà che l’autore sta attraversando nella sua vita privata, inclusa la separazione dalla moglie. Brani come Tangled Up in Blue e Shelter from the Storm sono alti esempi di narrazione musicale che mescolano folk, blues e rock. È un ritorno in grande stile al Dylan dei giorni migliori. Nello stesso anno escono i Basement Tapes registrati in buon parte nel 1967 con The Band.

Physical Graffiti

Led Zeppelin

Febbraio 1975

Una delle opere capitali dei Led Zeppelin anche perché è il disco in cui i quattro abbracciano una vasta gamma di stili musicali: dal rock più duro come in Kashmir (screziata di etno-prog) al blues di In the Light, passando per venature funk e psichedeliche. Il doppio album rappresenta la maturità di una band che non si pone limiti. La capacità di mescolare diversi generi assume una forza e una libertà espressiva senza pari. È il disco che cementa il loro status di icone.

Welcome to My Nightmare

Alice Cooper

Febbraio 1975

Il primo album solista di Alice Cooper, dopo lo scioglimento della band originaria, segna per il performer statunitense l’inizio di una nuova fase più ambiziosa e teatrale. Il disco, prodotto da Bob Ezrin, è un concept che racconta gli incubi del giovane Steven con atmosfere cupe, arrangiamenti orchestrali e una forte componente visiva (vedi la copertina). Si impone come un caposaldo dello shock rock e consolida Cooper maestro della provocazione e dell’immaginario gotico.

Nadir’s Big Chance

Peter Hammill

Febbraio 1975

Il quinto album solista di Peter Hammill (Van Der Graaf Generator) è un lavoro spiazzante che con il suo suono scarno anticipa di netto il punk. Hammill stesso definisce i brani «robuste canzoni punk», usando la parola a un anno dall’esplosione del genere nel Regno Unito. Il musicista interpreta il ruolo di Nadir, adolescente frustrato e arrabbiato che vuole solo scatenarsi e che non è coinvolto né dalle aspirazioni intellettuali del prog, né dalle scene soul, disco o glam, a suo dire squallide, patinate e commerciali. Brani sporchi e abrasivi, con la voce di Hammill che è fil di ferro.

Neu! ’75

Neu!

Febbraio 1975

Goduria kraut! Michael Rother e Klaus Dinger spingono al massimo le loro potenzialità firmando un album che anticipa le future sonorità del post-rock, del noise e di certa elettronica. Neu! ’75 ha due anime: una più contemplativa e rarefatta, l’altra più aggressiva e ruvida, quasi proto-punk. La dicotomia riflette le tensioni creative tra i due membri, ma diventa anche la forza di un disco che vive di contrasti e di atmosfere che si dilatano nel tempo. Sarà purtroppo il loro canto del cigno.

Young Americans

David Bowie

Marzo 1975

Young Americans segna un’importante transizione per David Bowie, che abbandona il glam per abbracciare influenze soul, funk e R&B. È il disco della title track e di Fame, scritta insieme a John Lennon nel tentativo di esplorare la voglia di celebrità e il contrasto tra immagine pubblica e privata. Con l’introduzione di sonorità più ballabili, l’uso di fiati e ritmi sincopati, l’album segna un’evoluzione musicale che avvicina il futuro Duca Bianco (la nuova trasformazione è dietro l’angolo) a un pubblico più ampio e consolida la sua reputazione di artista camaleontico.

Blow by Blow

Jeff Beck

Marzo 1975

Un passaggio radicale per il funambolico ex membro degli Yardbirds che muove la sua musica verso una dimensione strumentale ricca di sfumature jazz/fusion. In Blow by Blow la chitarra si fa voce narrante, veicolo espressivo di stati d’animo, tensioni e aperture melodiche di una varietà timbrica sorprendente. Cosa importante: Jeff Beck (coadiuvato da un produttore d’eccezione, George Martin) non cerca di stupire con l’esibizione tecnica fine a sé stessa, ma si muove con gusto all’interno degli arrangiamenti, spesso sospinti da groove funky in un dialogo perfetto con tastiere, basso e batteria.

Katy Lied

Steely Dan

Marzo 1975

Gli Steely Dan mettono in piedi un’irresistibile (e sofisticata) combinazione di rock, jazz, funk e pop. Dopo i primi tre dischi Donald Fagen e Walter Becker decidono di abbandonare i tour per concentrarsi esclusivamente sul lavoro in studio, iniziando proprio con Katy Lied a contornarsi di grandi session man per ottenere esecuzioni impeccabili. Il songwriting si fa cinico e oscuro, le canzoni raccontano di disillusioni, tradimenti, vite alla deriva, ammantandole di melodie ammalianti e arrangiamenti raffinatissimi.

ABBA

ABBA

Aprile 1975

Il terzo album del quartetto svedese rappresenta il vero trampolino di lancio internazionale dopo il successo di Waterloo. Con una produzione ricchissima, arrangiamenti orchestrali e armonie vocali impeccabili, ABBA fonde pop deluxe e glam in una formula irresistibile, mostrando una straordinaria abilità nel creare melodie orecchiabili senza mai cadere nella banalità. Prefigura inoltre le sonorità più sofisticate che saranno sviluppate nei dischi successivi. In poche parole questo è l’album che contiene cose come Mamma mia, SOS e I Do, I Do, I Do, I Do, I Do. Scusate se è poco.

Diamonds & Rust

Joan Baez

Aprile 1975

Lontana dagli scarni toni del folk acustico che l’avevano resa celebre negli anni ’60, Joan Baez adotta una produzione più ricca, integrando nella sua musica elementi rock e pop che conferiscono ai brani un respiro più ampio, con la sua voce cristallina e potente al centro della narrazione. Diamonds & Rust è una riflessione sul tempo, sulla memoria e sulla consapevolezza di sé, che si traduce in canzoni intimiste, nelle quali l’emotività non è mai esibita ma filtrata da una scrittura di alta raffinatezza.

One Size Fits All

Frank Zappa and The Mothers of Invention

Giugno 1975

È uno dei dischi più prog di Zappa. A dire il vero tutta l’opera zappiana è l’emblema stessa del progressive. Diciamo che in questo album è come se Frank avesse pensato «Adesso vi faccio vedere io come si fa il progressive». E inizia con una roba sbalorditiva: Inca Road, nove minuti di fuochi d’artificio, una band incredibile con dentro (solo per citarne alcuni) George Duke alle tastiere, Chester Thompson alla batteria (poi nei Genesis) e la straordinaria Ruth Underwood a svariate percussioni. Tempi dispari, cambi ritmici come se piovesse, fughe mozzafiato, partiture fuori da ogni realtà con assoli di chitarra, tastiere e vibrafono che uno pensa: «È impossibile suonare in quel modo». Eppure.

Tonight’s the Night

Neil Young

Giugno 1975

Pubblicato nel giugno 1975 ma registrato nel 1973, Tonight’s the Night è uno degli album più cupi di Neil Young, nato come reazione alla morte del roadie Bruce Berry e del chitarrista dei Crazy Horse, Danny Whitten, entrambi per overdose. Young abbandona volutamente le carezzevoli ballate e la perfezione formale di Harvest per privilegiare l’urgenza emotiva. Le canzoni sono imperfette, dolorose, slabbrate, spesso registrate in presa diretta come in un rituale catartico, con un tono malinconico e desolato. Una confessione disarmata, un diario in musica che trasforma il lutto in arte.

Sabotage

Black Sabbath

Luglio 1975

Sabotage è uno degli album più sottovalutati e al contempo tecnicamente elaborati dei Black Sabbath. Nasce in un momento di forte tensione legale con l’ex manager, che influenza l’umore rabbioso e paranoico del quartetto. Il risultato è un’opera matura che si spinge oltre il classico heavy metal. Ozzy Osbourne è al top della teatralità vocale e Tony Iommi firma riff sempre più articolati. Ci sono incursioni nel progressive (Megalomania), arrangiamenti ambiziosi e addirittura un’anticipazione del futuro thrash metal (Symptom of the Universe).

Free Hand

Gentle Giant

Luglio 1975

Tentativo di smuovere il prog dal terreno nel quale si è impantanato e donargli ritmo e vivacità, Free Hand è uno dei vertici creativi dei Gentle Giant nel suo fondere poliritmie, armonie vocali complesse e repentini cambi di registro stilistico con un gusto funkeggiante. On Reflection è una vera pazzia di armonie polifoniche, contrappunti, canoni; le parti vocali schizzano ovunque e quando le hai perse tornano magicamente in armonia. Poi, mentre sei immerso in una dolce nenia rinascimentale, la band parte col ritmo e ti inchioda.

Born to Run

Bruce Springsteen

Agosto 1975

Rappresenta la definitiva consacrazione di Springsteen. Con un suono che fonde rock, soul e folk, l’album racconta le storie di personaggi segnati dalle difficoltà quotidiane, con una sorta di ossessione per temi universali quali la fuga, la speranza e la libertà, utilizzando il panorama della classe operaia americana come sfondo. Il brano che dà il titolo all’album è uno degli inni più intensi e riconoscibili del rock, mentre pezzi d’alta scuola come Thunder Road e Jungleland sono esempi del talento narrativo di Springsteen.

Atlantic Crossing

Rod Stewart

Agosto 1975

Rod Stewart inaugura una nuova fase artistica. Lascia Londra per trasferirsi a Los Angeles e cambia completamente band affidandosi a musicisti americani e al produttore Tom Dowd. L’album dell’ex Faces è diviso in due lati concettuali, Fast Side e Slow Side, che mostrano la dualità tra il rock/soul della prima parte e le ballate della seconda. Sailing diventa un successo stratosferico, ma anche I Don’t Want to Talk About It e Three Time Loser sono momenti di grande efficacia.

Love to Love You Baby

Donna Summer

Agosto 1975

Donna Summer diventa la regina indiscussa della disco music. Che poi ridurla a ciò è poca cosa rispetto al materiale messo in scena. La title track lunga oltre 16 minuti è un capolavoro di ipnotica sensualità prodotto da Giorgio Moroder. Il brano viene originariamente pubblicato in versione più breve, ma è proprio l’estensione a renderlo un manifesto. Summer sussurra, geme, canta con un erotismo mai udito prima in ambito pop e disco. Ed è capace di spostarsi anche in territori soul e funk (Full of Emptiness, Need-a-Man Blues), dimostrando tutta la sua versatilità.

Wish You Were Here

Pink Floyd

Settembre 1975

Un disco intriso di malinconia, di riflessioni sulla perdita, la solitudine, l’assenza. Tutti temi che riportano a Syd Barrett e alla sua fondamentale importanza, a questo punto più umana che musicale, con la monumentale Shine On You Crazy Diamond (26 minuti divisi in due parti) a pagare un pegno definitivo all’ex leader della band. L’album è caratterizzato da atmosfere eteree e sognanti, con ritmi spesso pacati (unica eccezione la ruvida Have a Cigar), i consueti effetti sonori a creare visioni e un uso dei sintetizzatori da parte del mai troppo lodato Rick Wright tra la sinfonia e la futura ambient music.

The Who by Numbers

The Who

Ottobre 1975

L’opera che non ti aspetteresti. The Who by Numbers è uno dei lavori in cui la band britannica è più introspettiva e disillusa, un album che riflette le inquietudini personali di Pete Townshend e il peso dell’età adulta che comincia a farsi sentire. Lontani dalla grandiosità delle prove precedenti, la band predilige una forma più asciutta, quasi minimalista, in cui le canzoni si fanno intime, amare in alcuni casi. Il suono resta potente, ma è in Roger Daltrey che si coglie appieno il cambiamento: il suo canto è più misurato, consapevole, intimo. Un disco di transizione che mostra il lato più umano e vulnerabile di una delle grandi rock band della storia.

Ommadawn

Mike Oldfield

Novembre 1975

L’album celtico di Mike, nel quale però quelle atmosfere si fondono con i tamburi africani, anni prima di Peter Gabriel e di molti altri. Un concentrato di celestiale armonia, con arpeggi incantati, toccanti arie che profumano della natura, nenie infantili a base di chitarra distorta, cori tribali e la continua sensazione di vagare in un paradiso perduto. Alla fine del disco, Oldfield fa anche sentire (per la prima volta) la sua voce in un brano recitato che evoca la bellezza dell’andare a cavallo. Una beatitudine.

Another Green World

Eno

Novembre 1975

È l’Eno al crocevia tra le canzoni dei due album precedenti e le future scorribande ambient. Il meglio è quando i due mondi si incontrano, come in Sky Saw e St. Elmo’s Fire, che combinano elettronica e melodia creando atmosfere eteree e contemplative. Il tutto con l’ausilio di una parata di super musicisti come John Cale, Phil Collins, Robert Fripp e Percy Jones. Il non-musicista canta, tratta gli strumenti di par suo e agisce come un regista nel taglia-e-cuci di brani che contribuiranno a inspessire la sua fama di innovatore.

A Night at the Opera

Queen

Novembre 1975

Con il suo stile grandioso, barocco e teatrale, A Night at the Opera crea una fusione unica che definisce l’identità dei Queen. Mentre il prog tira le cuoia, il quartetto ne muta l’assetto più classicheggiante, lo tinge di pop barocco e sforna una Bohemian Rhapsody che trascende i confini del rock divenendo uno dei brani più celebrati della storia. Il vasto range di influenze si muove tra folk, vaudeville, rock da stadio e vette di virtuosismo, con mini-suite come The Prophet’s Song a mostrare tutta l’abilità tecnica dei membri della band.

Horses

Patti Smith

Novembre 1975

Il debutto di Patti Smith fonde poesia e arte. Con la voce sicura della protagonista e il mix di garage rock e pre-punk, i brani esplorano ribellione, libertà e sessualità. La traccia di apertura, Gloria, è la rielaborazione di un pezzo dei Them che diventa un potente inno di autoaffermazione. Altri brani come Free Money e Birdland mostrano la forza e la passione poetica di Smith.

Ricochet

Tangerine Dream

Dicembre 1975

Un album dal vivo composto da inediti, che è il motivo per il qualche è incluso in questa lista. La musica dei Tangerine Dream si fa più accessibile. Ricochet immette nuovi stimoli ritmici, con batterie elettroniche che collegano la proposta a quella dei conterranei Kraftwerk. Nelle due lunghe suite che lo compongono non ci sono più (solo) agglomerati cosmici, si capisce che il trio intende sfruttare appieno il successo che sta ottenendo (qualche mese prima Phaedra si era ben piazzato nella classifica UK) e cerca ancora più consensi grazie ad atmosfere meno rarefatte e più fisiche. Nulla di male considerato l’eccellente risultato.

Mothership Connection

Parliament

Dicembre 1975

In Mothership Connection, album tra i più rivoluzionari e rappresentativi del funk, George Clinton e i suoi fondono scienza, sesso, spiritualità e libertà in un’esperienza sonora che andrà a influenzare anche il futuro hip hop. Il disco descrive un universo fantascientifico nel quale l’astronave Parliament atterra sulla Terra per diffondere il verbo del P-Funk in una serie di canzoni che mescolano groove irresistibili, ottoni impazziti e testi surreali. Give Up the Funk (Tear the Roof Off the Sucker) è un inno funk epocale.