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I 20 migliori album live italiani

Siccome i concerti ci mancano, e tanto, abbiamo selezionato i dischi dal vivo più forti, interessanti, travolgenti pubblicati in Italia dagli anni '70 in poi, rock e non solo, dagli Area agli Afterhours

Foto: Stefania D'Alessandro/Getty Image

Cattive notizie dal fronte: di concerti, anche in Italia, pare non se ne parlerà ancora a lungo. Di nuovi ce ne sono in programma pochi e le certezze per quelli posticipati dalla scorsa estate al prossimo luglio, be’, vacillano. Che facciamo? In casa come siamo, ascoltiamoci i dischi dal vivo.

Ora: non è che abbiamo una tradizione felicissima con loro. Cioè, quelli davvero epici, in grado di competere per importanza e resa con i totem internazionali (o, banalmente, con le proprie controparti in studio), latitano. E non bastasse, negli ultimi anni specie fra i nuovi la tradizione di registrare le esibizioni e consegnarle ai posteri è sparita. Ma non è neanche un deserto: guardandoci indietro, in particolare dalla fine dei ’70 all’inizio di questo millennio, non mancano episodi felici, anzi si potrebbe dire che ogni artista pop, rock e non solo con un minimo di ascendente sulla nostra musica in quell’arco di tempo abbia il suo concerto da farci riascoltare oggi.

Così in questi venti capitoli passano teatri, minuscoli club sudatissimi, testimonianze gracchianti di mezzi preistorici, eventi da stadio che hanno cambiato la nostra cultura condivisa. Canzoni che cambiano vesti, altre che crescono con la spinta del pubblico. E, soprattutto, una grande nostalgia per quando si stava sotto al palco.

“Are(A)zione” Area (1975)

Nonostante conti appena cinque canzoni, Are(A)zione è il miglior live degli Area e probabilmente del progressive italiano, e non solo per qualità – incredibile, visti i mezzi – del suono. Fra pezzi registrati a una Festa de L’Unità e altri al mitologico Festival del Proletariato del Parco Lambro di Milano, è la dichiarazione di militanza di un gruppo in forma clamorosa, che dal vivo porta i propri brani su una dimensione più improvvisata e collettiva. E la cover finale de L’internazionale, il celebre inno dei lavoratori, è la foto di un’epoca intera.

“Polli d’allevamento” Giorgio Gaber (1978)

Che belli, gli spettacoli di teatro canzone – musica e monologhi – del Signor G. Polli d’allevamento, poi, che è la registrazione integrale della serata al Duse di Bologna, è proprio culto. Perché se diciamo integrale, qui, intendiamo che ci sono persino i fischi, perché gli arrangiamenti sono di Battiato e Giusto Pio e perché questo rimane il suo spettacolo più controverso, in rotta piena col Settantasette e il movimento studentesco, accusato di conformismo. Il cinismo, l’ironia e pure la politica. Avercene, ancora.

“Mina Live ’78” Mina (1978)

L’importante è finire, e poi nulla più. L’ultimo concerto di Mina prima della grande latitanza dai palchi è il terzo e ultimo registrato nello storico locale La Bussola, in Versilia, a dieci anni dal primo e a sei dal secondo. Ci passa parte di carriera, fra quelle mura. Ma questo – trafugato da una prova audio, visto che se ne doveva fare una registrazione video che poi all’ultimo saltò – è il più iconico e malinconico dei tre, regale e al tempo stesso frugale com’è.

“In concerto – Arrangiamenti PFM” Fabrizio De André e PFM (1979)

Prima di questa tournée, accostare la musica De André – nobile, elitario, insomma alto – con il progressive da strada della PFM era una bestemmia. Tradotto: questa serie di concerti coraggiosi ha rappresentato una rivoluzione culturale, togliendo al cantautorato l’aura di presunta sacralità e spiegando alla gente quanto, in realtà, Faber e la Premiata Forneria fossero simili. Tutt’ora, la versione da balera de Il pescatore che conosciamo tutti proviene da qui. E qualcosa deve pur significare.

“1979 Il concerto – Omaggio a Demetrio Stratos” Artisti Vari (1979)

Venditti e Vecchioni, gli Area e il Banco del Mutuo Soccorso, Guccini, Finardi, gli Skiantos. Il meglio della musica più o meno militante italiana di fine ’70 in un unico live. Che sarebbe dovuto servire a raccogliere fondi per curare l’allora malato Demetrio Stratos, ma il frontman degli Area morì il giorno prima e quindi l’occasione si trasformò un tributo in suo onore. Di cui queste registrazioni sporchissime raccontano bene il tasso emotivo: difficile, per dire, non commuoversi sentendo Per un amico: “Non lo sapevi che c’era la morte / quel giorno che t’aspettava”.

“Banana Republic” Lucio Dalla e Francesco De Gregori (1979)

Due artisti in stato di grazia, cantautori all’epoca in cui le popstar, in Italia, erano proprio i cantautori. Banana Republic è una tournée fondamentale della nostra musica, perché dà l’inizio ai concerti moderni, a quei riti di massa, collettivi, da stadio, normali ancora oggi. E poi ha una scaletta incredibilmente, col meglio della prima produzione di Dalla e De Gregori. Peccato che il disco dal vivo – registrato in fretta e male, con scaletta compressa e applausi finti in sottofondo – non renda davvero giustizia alla portata dell’evento. Per fortuna, ne esiste anche il film.

“Circo Massimo” Antonello Venditti (1984)

Venditti, la festa scudetto della Roma, il Circo Massimo pieno: possiamo immaginare qualcosa di più nazionalpopolare? Difficile, però Circo Massimo non è solo una tappa fondamentale della nostra cultura pop, né un bagno di folla in cui il cantautore romano – all’epoca cavallo di razza da milioni di dischi l’anno, già in direzione spudoratamente leggera – si ritaglia giusto il ruolo di cerimoniere. Chiedere alla scaletta, che fra Roma capoccia, Lilly, Bomba o non bomba e Sara racconta una storia diversa. Che non riguarda solo i tifosi della Maggica.

“Fra la via Emilia e il West” Francesco Guccini (1984)

Più che un live, un disco generazionale. Di quando, cioè, negli ’80 migliaia di liceali popolavano i concerti di Guccini, gonfiandosi il petto su La locomotiva. E rispetto al più episodico live coi Nomadi, Fra la via Emilia e il West fotografa bene l’epoca in cui un concerto di Guccini era crocevia obbligato per ogni adolescente, con tanto di registrazioni dall’epica esibizione in Piazza Maggiore a Bologna. Il risultato è un folk sporco, ubriaco, con gli occhi lucidi e il ronzio continuo del pubblico che fa saliscendi fra i ricordi condivisi di Eskimo e il sax di Autogrill. Un concerto, insomma, sincero e partecipato.

“12-5-87 (Aprite i vostri occhi)” Litfiba (1987)

Quando i Litfiba, oltre che Pelù e Renzulli, erano il basso di Maroccolo, le tastiere di Aiazzi e la batteria di De Palma. Quando, cioè, suonavano una new wave nichilistica e allucinata, con tendenze garage e dark. Aprite i vostri occhi è la testimonianza del loro concerto più folle, al Tenax di Firenze al culmine di uno sconsiderato tour mondiale, nel nome del disco suicida per eccellenza (17 re, del 1986). Che altro aggiungere? Ah, che anche qui l’album fa un racconto parziale della serata. Ma quando tutto sembra perduto, arriva YouTube.

“Giubbe rosse” Franco Battiato (1989)

Un Battiato neanche cinquantenne, che in un concerto classico, diciamo pop-rock, ripercorre con coerenza quella parte del repertorio che parte dai ’70 e arriva al cerebrale Fisognomica, passando quindi per leggera-pedagogica de La voce del padrone e l’elettronica de L’arca di Noè, coprendo pure la folle musica sperimentale dei primi tempi. Voglio vederti danzare di fianco a Sequenze e frequenze; Cuccurucucù ad Aria di rivoluzione. Giubbe rosse è un’antologia suonata. Con buona pace del Live in Roma – comunque emozionante, ma più “scarico” – con Alice, del 2016.

“Fronte del palco” Vasco Rossi (1990)

La volata col più underground Va bene, va bene così – biascicato e tiratissimo, del 1984, che roba – è stata dura. Ha vinto Fronte del palco, alla fine, perché più completo (17 canzoni in scaletta, tutte di alto livello) e iconico, visto che col suo pop-rock con innamoramenti hard e vocazione nazionalpopolare (la malinconia di Ogni volta, la messianica Liberi… liberi) ha settato le coordinate dei live da stadio che Vasco battezzerà proprio nel 1990, e da lì in poi porterà intatti fino ai nostri giorni.

“La terra, la guerra, una questione privata” C.S.I. (1998)

Un live unico e, a suo modo, leggendario. In una chiesa della ex, tra l’altro, Repubblica Partigiana di Alba, per una volta soltanto i C.S.I. mettono in scena una messa laica intensa ed elegiaca in memoria della Resistenza, fra canti partigiani, letture di Beppe Fenoglio e pezzi tratti dall’epico (e a tema) Linea Gotica. Ne esce fuori uno dei concerti più intensi della musica italiana, da lacrime in Memorie di una testa tagliata e all’apice nei dieci minuti di Irata, fra Pasolini e il partigiano Johnny, fra le chitarre incendiarie di Zamboni e Canali, il basso di Maroccolo e la voce magmatica di un Ferretti, quella sera, stratosferico.

“Liveinvolvo” Vinicio Capossela (1998)

Il Capossela dei ’90, quel cantautore senza padri dedito a un jazz sghembo ed estroso, che girava i teatri trasformandoli in balere, è tutto in Liveinvolvo, testimonianza del tour del classico Il ballo di San Vito. E fra una All’una e trentacinque circa piano, contrabbasso e tromba, e una violenta e sognata La notte se ne è andata, sembra quasi di sentire il sapore del whisky che sale in mezzo alle luci soffuse. Pure se noi che ascoltiamo siamo a casa, distanti vent’anni da quei live di cui questo disco restituisce in pieno l’atmosfera unica.

“Siam tre piccoli porcellin” Afterhours (2001)

Gli Afterhours di Hai paura del buio? e Non è per sempre, quelli stronzi, sporcaccioni e cattivi, al loro massimo dal vivo. Un doppio live di oltre 30 tracce, che da un lato è uno schiaffo in faccia col meglio della produzione della band in versione rigorosamente classica, quindi alt rock intransigente (questa versione di Strategie è un manifesto); e che dall’altro invece si scopre intimo, acustico e comunque ruvido e violento, con gli unplugged della casa. Vent’anni prima del più spento An Evening with Manuel Agnelli, c’era già tutto.

“Live @ RTSI” Pino Daniele (2001)

E in effetti si poteva pure mettere uno dei concerti da piazza del Plebiscito, in cui il suo repertorio è più ampio e il pubblico e la location giocano la propria parte, anche su disco. Ma come si fa a dir di no a questo live registrato negli studi della televisione della Svizzera italiana del 1983? Appunto: c’è il Pino Daniele di Nero a metà, quello poco cantautore e molto bluesman, in zona neapolitan funk.

“Il meglio di Ho fatto 2 etti e mezzo, lascio?” Elio e le Storie Tese (2004)

È vero, il live per eccellenza degli Elii è Made in Japan, che ne fotografa gli anni (’90) d’oro. Però è un po’ vago e dispersivo nei pezzi, mentre questo Ho fatto 2 etti e mezzo, lascio? ne racconta la maturità con il meglio dei cd brulè – le registrazioni “a caldo”, vendute subito dopo i concerti – del 2004. La carovana è in forma, tecnicissima come sempre e ancora formata da improvvisatori incalliti in ricerca di gag; il pubblico ride e partecipa; e la tracklist spazia da pezzi sepolti (Catalogna, La vendetta del Fantasma Formaggino) a grandi classici tipo Cara ti amo, qui forse nella versione più bella di sempre – e dire che per anni, ogni sera, ne è venuta fuori una diversa, grazie al cabaret di Elio e Rocco Tanica.

“Arena di Verona” Paolo Conte (2005)

Metti l’Arena di Verona piena, una scaletta lunga e completa – Via con me, Sparring partner, Genova per noi – e una sera d’estate. Ne viene fuori un’enciclopedia, un live elegante che non si sbrodola alle ruffianerie neanche per un secondo, sebbene il pubblico e le telecamere delle grandi occasioni. Il concerto della vita dell’avvocato Conte è una dichiarazione identitaria.

“Roma Live!” Baustelle (2015)

Prima del tour di Fantasma (2013) c’era una sorta di pregiudizio negativo intorno ai concerti dei Baustelle: non andateci, si diceva; rimarrete delusi, non sono all’altezza di quanto suonano in studio. Ecco: poi arrivarono quei live così austeri ed elegiaci, prima con l’orchestra e poi col quartetto d’archi, con degli arrangiamenti finalmente imponenti e le interpretazioni profonde e magnetiche di Bianconi e Bastreghi, hanno ribaltato lo stereotipo. E Roma Live! racconta quella svolta, vestendo di gala e rendendo giustizia soprattutto ai classici (su tutti le barocche La canzone del parco e Il corvo Joe, ma anche la surreale Alfredo).

“CLBR35 Live from S.P.A.C.E.” Calibro 35 (2016)

Scorrendo questa lista viene naturale chiedersi perché quasi nessuno dei “nuovi” – indie, pop, hip hop, trap – abbia pubblicato un disco live. E se i Calibro 35 sono una delle rare eccezioni, è probabilmente per la cura che dedicano ai suoni, alla parte strumentale, in generale al non rendere un’esibizione dal vivo semplice parata promozionale. Non a caso, il lungo trip da camera CLBR35 Live from S.P.A.C.E. contiene tutte le sfumature del loro funk-jazz spaziale, e ai contemporanei lascia giusto la polvere.

“Playlist Live” Salmo (2019)

Ok, c’è anche Santeria Live di Marracash e Guè Pequeno, ma per il resto la scena rap italiana – un po’ per i tempi che corrono, un po’ per attitudine – salta a piè pari la tappa del disco dal vivo. Fa eccezione Salmo, animale da palco con inflessioni hard rock. Playlist Live racconta un tour con bagni di folla da popstar, urlacci, personalità e una serie di hit da fare invidia al resto della scena, terminato con dei concerti in sedia a rotelle per un crociato rotto. Dove? Ovviamente sul palco.

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