I 15 migliori album italiani usciti nel 1972 | Rolling Stone Italia
Classifiche e Liste

I 15 migliori album italiani usciti nel 1972

Concept fuori dagli schemi, capolavori prog e d’autore, rock mediterraneo, grande pop. E nei testi, riflessioni sulla società, l’ambiente, l’uomo. Uno spaccato dell'Italia della musica 50 anni fa

I 15 migliori album italiani usciti nel 1972

Lucio Battisti

Foto: Rino Petrosino/Mondadori via Getty Images

C’è un dato di fatto che viene a galla affrontando il 1972 in musica nel nostro Paese: agli artisti di quel periodo non basta più che le canzoni siano soltanto un mezzo per il divertimento e la spensieratezza, la musica è diventata parte integrante di un discorso più ampio che tocca la politica, la società, il vivere.

Non è un caso infatti che in quei giorni la musica cosiddetta leggera, che ha imperversato nel nostro Paese durante il decennio precedente, venga messa alla berlina. Nel 1972 (e sarà così per molti anni) nominare il Festival di Sanremo a un giovane è come bestemmiare. Quello è il luogo per eccellenza delle canzoni vecchie, reazionarie, senza alcun scopo di esistere in un momento in cui si guarda alla novità, all’avanguardia, in cui “impegno” è la parola d’ordine.

Non è un caso che il ’72 sia uno degli anni in cui due scuole di pensiero musicale trovano ampio spazio nelle classifiche di vendita: il prog rock e i cantautori. Il primo offre agli ascoltatori brani spesso tutt’altro che leggeri, fa sì che la mente debba sforzarsi, impegnarsi a capire tutti i vari cambi di atmosfera di cui questa musica è permeata e decifrare il tourbillon di allegorie di cui sono infarciti i testi. Uno sforzo di attenzione che premia l’ascoltatore con la conoscenza di forme più ardite di arte, spalanca le porte dell’immaginazione, aiuta a ottenere una visione più critica di ciò che lo circonda. Stessa cosa fanno i cantautori, solo con una veste musicale più essenziale, l’impegno però si trasferisce tutto nei testi che smuovono gli animi al pensiero e alla contestazione. Ciò si riverbera anche in quel poco che resta della musica leggera, non c’è artista in questo periodo che non provi a diventare un po’ più impegnato.

Ecco i 15 dischi che hanno segnato quell’anno (in ordine approssimato di pubblicazione, ndr).

“Fetus” Franco Battiato

Dopo tutta una serie di singoli leggeri Franco Battiato cambia totalmente pelle e arriva all’album di debutto mostrando un feto in copertina poggiato su carta in uso presso i macellai, idea di un Gianni Sassi già eccellente provocatore, che i negozi di dischi si rifiutano di esporre. Nel 1972 di cose strane in giro ce ne sono molte, ma Fetus le supera tutte, non solo per la copertina ma anche per la musica che contiene, a dir poco fuori dagli schemi. Viene utilizzata per la prima volta in Italia una drum machine insieme a una pletora di sintetizzatori VCS3 per dar vita a pezzi sghembi e illogici ma orecchiabilissimi. Battiato narra il viaggio di un feto dal concepimento alla nascita, con puntate nello spazio e in dimensioni ultraterrene. Canzoni che mettono insieme prog, elettronica, dadaismo, formule scientifiche e allucinazione.

“Storia di un minuto” Premiata Forneria Marconi

Lo storico esordio della PFM è spinto dal successo di Impressioni di settembre, che fa a meno del ritornello e lo sostituisce con il celeberrimo tema di Moog. Il concept dell’album pone l’ascoltatore a osservare la giornata di un uomo, dal risveglio alla notte: momenti sereni si alternano ad angosce esistenziali in tutta una serie di saliscendi musicali a seguire gli stati d’animo del protagonista. La PFM inserisce per la prima volta elementi mutati dal folk dandone una versione rockeggiante tinta dall’elettronica dei sintetizzatori. Nasce il rock mediterraneo, con È festa a sottolineare una fusione che diventerà un vero marchio di fabbrica della formazione milanese e che più avanti rappresenterà una delle basi per gli arrangiamenti del famoso tour con Fabrizio De André.

“Aspettando Godot” Claudio Lolli

Grazie all’amicizia con Francesco Guccini ha modo di esordire un cantautore di alto spessore come Claudio Lolli, purtroppo mai sufficientemente celebrato durante la sua esistenza. Pur appartenendo al filone del cantautorato italiano duro e puro, le canzoni di Lolli si fanno ricordare per il loro scavo per certi versi spietato nelle pieghe dell’animo umano e della società. Il primo album dal titolo beckettiano è già un lavoro maturo, con almeno due grandi capolavori come Michel, delicata ma intensa storia dell’evolversi di un’amicizia, dall’infanzia ai difficili tempi della contestazione, e Borghesia, che non teme di comunicare pareri infuocati come “Borghesia / per piccina che tu sia / non so dire se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia”. Claudio Lolli è questo, la sua penna è stata un coltello affilato con cui non ha risparmiato nulla e nessuno, nemmeno se stesso.

“Uomo di pezza” Le Orme

Uomo di pezza è una vera scheggia di magia musicale che irrompe nelle classifiche del 1972 sospinto dal singolo Gioco di bimba, melodia incantata a tempo di valzer nella quale il bassista/cantante Aldo Tagliapietra sembra narrare l’innocua favola di una bambina che si perde nella notte. In realtà i risvolti sono altri e ben vedere scopriamo che si sta parlando di uno stupro messo in atto da un uomo senza anima alcuna. Un uomo – appunto – di pezza. Anche il resto dell’album è imperniato su una serie di giovani figure femminili alle prese con la paura del vivere, il tutto sospinto da musiche che appartengono al progressive più classicheggiante, ma non fanno nulla per indugiare in partiture arzigogolate, anzi si fanno spesso sospese e rarefatte, esatta trasposizione della fantasmatica copertina colma di figure grottesche, quasi attori di un sogno fanciullesco. Uomo di pezza è un capolavoro delicato e impressionista che tra le sue dolci pieghe cela l’incubo.

“Umanamente uomo: il sogno” Lucio Battisti

Che Lucio Battisti non sia più solo quello delle hit stellari ma bensì un musicista completo lo ha già dimostrato con Amore e non amore, nel 1971. Umanamente uomo: il sogno fa di più, anzitutto si concede un pacchetto di canzoni mature che non perdono il gusto per il guardare oltre, da un grande esempio di pop sinfonico come I giardini di marzo alle atmosfere intimiste di E penso a te, che parte nel silenzio ed esplode fragorosamente nel finale corale. Basterebbero due brani così per mandare tutti a casa, ma Lucio sceglie di fare tutto e il suo contrario, ecco quindi le pulsioni prog di Sognando e risognando (già interpretata dalla Formula 3 nell’album omonimo), la pura psichedelia de Il fuoco e l’introspezione della title track nella quale il nostro si concede il lusso di non cantare nemmeno, solo sussurrare la melodia. Umanamente uomo: il sogno è un disco dalle molte facce che mette insieme la pura arte della canzone e la sperimentazione. Ed è proprio grazie a questi opposti che nasce il capolavoro.

“Banco del Mutuo Soccorso” Banco del Mutuo Soccorso

Con il primo album il Banco fa immediatamente il botto. Prendono le mosse da certe atmosfere care a EL&P e ai Gentle Giant, ma le sviluppano in maniera totalmente originale grazie alla bravura dei fratelli Nocenzi (Gianni al pianoforte e Vittorio alle tastiere, quest’ultimo anche principale compositore) e alla voce del fenomenale Francesco Di Giacomo che porta il melodramma italiano all’interno del rock. Banco del Mutuo Soccorso (con il vinile racchiuso in una copertina a forma di salvadanaio), contiene diversi classici della band romana, da R.I.P. a Metamorfosi. Ma il vero capolavoro trova spazio nel lato B, quasi interamente occupato da Il giardino del mago, la più bella suite del prog italiano: un viaggio oltre la solitudine e la morte, tra visioni e profumi della fanciullezza, con testi e momenti musicali che sono vera poesia.

“I mali del secolo” Adriano Celentano

Chi potrebbe pensare che un disco di Adriano Celentano sia imparentato con l’orrorifico Ys del Balletto di Bronzo? Invece I mali del secolo lo è, vede infatti al suo interno la presenza di Gianni Leone e del batterista Gianchi Stinga, entrambi provenienti dalla citata formazione, nonché i cori di Giuni Russo. Al di là di ciò I mali del secolo è un album importante per Celentano che per la prima volta smette i panni del puro intrattenitore e firma testi e musiche di un disco profondo che analizza vizi e storture della società alla sua maniera. Dentro ci sono canzoni dal solido impianto strumentale nelle quali vengono affrontate tematiche come la droga, ne La siringhetta, l’ecologia, ne L’ultimo degli uccelli, o l’arrivismo in Disse. In quest’ultima Adriano arriva addirittura a mettersi nei panni di Dio e castigare gli umani per la loro bramosia di danaro e potere.

“Ys” Balletto di Bronzo

Ys racconta le tetre vicende dell’ultimo uomo rimasto sulla terra, che si ritrova a vagare in una landa spettrale e che col passare del tempo viene privato della vista, dell’udito e della parola, fino a venire straziato da una non precisa entità. Gianni Leone – voce, tastiere e principale compositore – concepisce un’opera fuori da ogni schema (così come lo è lui nella vita), completamente originale nel suo fondere ritmi e armonie della musica dodecafonica con la violenza del rock più oscuro. Straniante fin dalla copertina, con quattro dagherrotipi di una sorridente artista di inizio Novecento (l’attrice teatrale Maria Nencioni), Ys è un un capolavoro che mette in scena cori femminili allucinati (tra le coriste una giovanissima Giuni Russo), continui cambi di tempo, sfuriate chitarristiche al limite del noise e un finale sepolcrale che conclude il viaggio dello sventurato protagonista.

“Theorius campus” Francesco De Gregori & Antonello Venditti

I giovani Francesco e Antonello sono soliti esibirsi regolarmente al Folkstudio, il primo in coppia con un altro cantautore: Giorgio Lo Cascio. A un certo punto sia il duo che Venditti vengono messi sotto contratto dalla RCA e, stante la rinuncia di Lo Cascio, la casa discografica decide di mettere insieme Francesco e Antonello per un disco che più che sancire un’unione mette in scena una rivalità. Theorius Campus diventa il nome del duo e dell’album nel quale due sole sono le canzoni interpretate insieme. Sei brani sono cantati da Venditti, tre da De Gregori. Questi ha modo di mostrare tutto il suo talento in erba nella bellissima Signora aquilone, ma è a Venditti che tocca la parte del leone avendo già in repertorio una Roma capoccia destinata a esplodere acutizzando ancora più la rivalità. Dopo questo tentativo le strade dei due si divideranno ed entrambi si avvieranno lungo un percorso che li condurrà a diventare i mostri sacri che conosciamo, solo in anni recenti avverrà un riavvicinamento.

“Preludio, tema, variazioni, canzona” Osanna

Milano calibro 9 di Fernando Di Leo è uno dei poliziotteschi italiani più celebrati a livello mondiale, con una Barbara Bouchet al top dello splendore. La colonna sonora è curata dai partenopei Osanna che in Preludio, tema, variazioni, canzona si avvalgono di alcuni temi scritti dal futuro premio Oscar Luis Bacalov (già responsabile del Concerto grosso dei New Trolls) che subiscono tutta una serie di variazioni salvo poi sfociare nella “canzona” There Will Be Time. Caratteristica di tutto il lavoro è l’alternarsi tra momenti sinfonici e psichedelici che vengono spesso screziati dall’impeto hard rock. Grande cultore di questo disco, DJ Shadow campionerà la Variazione III (Shuum…) nel suo brano Stem-Long Stem, dall’album Endtroducing… del 1994.

“Aria” Alan Sorrenti

Chi mai potrebbe pensare che il personaggio che ha dato vita ad Aria è lo stesso che pochi anni dopo canterà Figli delle stelle? Eppure è così, il dandy della seconda metà dei ’70 è colui che ha realizzato uno dei punti più alti del progressive italiano. Alan Sorrenti (di madre gallese e padre napoletano) inserisce una serie di esperimenti vocali influenzati da Tim Buckley in un magma folk-psichedelico-sinfonico. La suite che titola l’album è un trip visionario all’interno di una coscienza che si snoda tra oasi acustiche, sperimentazione e grandi aperture prog, con parti vocali deliranti alternate a sprazzi poetici. La seconda facciata ospita la romantica Vorrei incontrarti, salvo poi inerpicarsi nuovamente in altri tour de force musical-vocali che non fanno rimpiangere l’autore di Starsailor.

“Questo piccolo grande amore” Claudio Baglioni

Claudio Baglioni nel 1972 è un giovane cantautore che arriva al terzo album con la volontà di operare un mix tra il suo mondo e quello dei concept album che stanno prendendo piede. Nasce così Questo piccolo grande amore, col romantico brano omonimo che lancia Baglioni nel firmamento degli artisti più quotati del Paese e va a comporre una storia che, con Roma sullo sfondo, si snoda tra le difficoltà di un giovane alle prese con ciò che lo circonda, mettendo in primo piano la sua storia d’amore e la consapevolezza che arriverà dopo avere passato tutta una serie di esperienze: la vita militare, l’amicizia, il sesso e le manifestazioni di piazza. Questo piccolo grande amore è un album di pop sinfonico alternato a certo folk popolaresco, un disco che ancora oggi si fa ricordare per la sensazione di gioiosa ingenuità che trasmette, per essere il ritratto di un mondo che per molti versi non esiste più.

“Mu” Richard Cocciante

Prima di diventare il Riccardo Cocciante che tutti conoscono, il cantante si fa chiamare Richard e cerca di imporsi come musicista a tutto tondo. In tempi di concept album si dà da fare per approfondire la storia del mitico continente di Mu, avamposto di una civiltà altamente tecnologizzata inabissato nella notte dei tempi insieme al gemello Atlantide. Cocciante paragona questo mito alla deriva presa dalla sua epoca, tra inquinamento, tecnologia avanzata e una sempre minore attenzione all’ambiente. Il risultato è un album dalla coloratissima copertina apribile in più parti, con brani legati tra loro in un’alternanza tra momenti sinfonici e altri più rock conditi di una ricca strumentazione fatta di sintetizzatori, sitar, flauti e strumenti etnici su un solido impianto di chitarra-basso-batteria. La voce è ancora acerba ma già si esprime con tutte le peculiarità che diventeranno un marchio di fabbrica.

“Radici” Francesco Guccini

Dopo l’ottima prova de L’isola non trovata, nel 1972 Francesco Guccini pubblica il suo album fino a quel momento più maturo. Radici è, fin dal titolo, un viaggio alla scoperta di ciò che lega l’artista al suo passato, allo stesso tempo però è colmo di una sfrenata voglia di libertà e di lotta alle disuguaglianze. È un album politico e poetico di smisurata bellezza con dentro brani che diverranno amatissimi dal pubblico: la title track, La locomotiva, Canzone dei dodici mesi, Incontro, Il vecchio e il bambino e l’onirica La canzone della bambina portoghese. In tutto il disco poi Guccini cerca di smarcarsi dall’immagine del classico cantautore chitarra e voce dando spazio all’ampia strumentazione dei musicisti ospiti: il Moog di Vince Tempera, il Mellotron di Maurizio Vandelli (Equipe 84) e il basso di Ares Tavolazzi (da lì a poco negli Area).

“Dialogo tra un impegnato e un non so” Giorgio Gaber

Alla fine degli anni ’60 Giorgio Gaber si stanca di essere un cantante e un personaggio televisivo di successo. In quel periodo tumultuoso diventa per lui essenziale esporsi, non come semplice intrattenitore, ma come voce critica di una società in continuo cambiamento, con tutti i suoi (pochi) pregi e (molti) difetti. Ecco quindi nascere il teatro canzone, nel quale l’artista si trasforma nel Signor G: G come Gaber ma anche come Gente, di cui capta umori e malumori per raccontarli in prose e canzoni scritte insieme a Sandro Luporini. Dialogo tra un impegnato e un non so inscena un incontro tra due personaggi, entrambi interpretati dallo stesso Gaber: un militante politico e un borghese privo di precisi ideali. Il risultato sarà un’opera senza peli sulla lingua che induce all’ilarità, ma ancora di più alla riflessione, con pezzi come Lo shampoo divenuti in breve patrimonio culturale del nostro Paese.