La scorsa settimana abbiamo pubblicato da queste parti un articolo che citava i peggiori pezzi delle migliori band/artisti di sempre. Non è stato facile trovarne 10, figuriamoci fra quelli scritti dai musicisti più stimati.
Questa settimana il processo inverso dovrebbe essere più semplice. Fra i peggiori* artisti di cui abbiamo memoria, è stato forse più semplice trovare chicche inspiegabilmente belle, che sono rimaste negli anni e nella memoria. Anche qui, ne abbiamo trovate dieci.
*Disclaimer: Gli artisti inseriti nella lista sono stati scelti per notorietà, essendo altamente probabile che la band pacco di vostro cugino abbia scritto una volta un pezzo fighissimo ma che nessuno ha mai ascoltato.
“Accidentally in Love” di Counting Crows (2004)
La pagina wikipedia dei Counting Crows li descrive come la versione anni ’90 del suono americano di The Band, Creedence Clearwater Revival e Little Feat. Non è così, anzi chi ha paragonato la band di Robbie Robertson al college rock dei Crows deve farsi internare al più presto, ma con Accidentally in Love la band di San Francisco è riuscita a pubblicare un bel singolo uptempo, con quei power chord che tanto ci facevano saltellare da adolescenti. Molti di voi se la ricorderanno per la colonna sonora di Shrek 2, e pensate che la band ha anche rischiato di vincerci un Oscar. Sarebbe stato memorabile, ma quell’anno la statuetta andò a Jorge Drexler e al suo brano scritto per I diari della motocicletta.
“Hide And Seek” di Imogen Heap (2005)
Hide And Seek non è soltanto il pezzo più importante per Imogen Heap (non ha mai replicato il successo, assestandosi su brani perlopiù smielati per quanto costruiti bene) ma anche un pezzo fondamentale per la musica moderna. Dopo il suo successo nel 2005, il brano è stato ripreso un po’ ovunque dalla serie O.C. alle versioni più da club come quella di Jason Derulo. Per questo che è così importante? No, semplicemente perché è un pezzo in autotune uscito anni prima che Kanye West si affermasse e che desse poi il là alla moda di oggi. D’accordo tutti che la prima a usarlo è stata Cher, seguita a ruota dai Daft Punk. Si deve però a Kanye e soprattutto Hide And Seek il merito di aver spianato la strada alle voci robotiche. Tutto questo tralasciando che non ricordo di un altro brano a cappella, senza strumenti ma solo con voci armonizzate, che sia riuscito ad avere un successo simile a livello planetario.
Joints & Jam” di Black Eyed Peas (1998)
Diciamoci la verità, Where is the Love? E Let’s Get it Started sono due grandi pezzi pop solo se hai meno di 14 anni, e più o meno vale la stessa cosa per i Black Eyed Peas. Per fortuna, però, il gruppo americano aveva già due dischi sulle spalle, e uno non era affatto male. Parliamo dell’esordio Behind the Front, scritto senza Fergie in un periodo della loro storia in cui l’universo si reggeva solo su due pilastri: il groove e la breakdance. Joints & Jam è questo, con in più i bei cori sensuali di Kim Hill e un video pazzesco dove will.i.am balla come noi non balleremo mai.
“Boy Band” di Velvet (2001)
I romani Velvet hanno trovato il successo con Boyband, singolo-tormentone nato per prendere in giro i vari Backstreet Boys e *N Sync. Probabilmente sono pochissimi quelli che hanno capito l’intento parodistico del brano: i Velvet volevano essere i Blur italiani, ma hanno finito per suonare in tutte le tappe del Festivalbar, quando il Festivalbar era ancora importante per qualcuno.
“Pure Shores” di All Saints (2000)
L’abbiamo sentita nelle pubblicità, l’abbiamo sentita in quel filmone che è The Beach e l’abbiamo sentita persino nei videogiochi come GTA V. E ogni singola volta che attacca quella chitarrina arpeggiata insieme alle gocce di synth in delay che poi si ripetono per tutto il brano, ci ritroviamo puntualmente a pensare: “Che bomba di pezzo è Pure Shores delle All Saints?” La domanda che viene poi subito dopo è: “Ma come diamine ha fatto una girl band pop degli anni Novanta a fare un pezzone del genere?” Fatto sta che con quel dream pop di voci sussurrate abbinato a chitarrine riverberate figlie di un post rock non sospetto le All Saints hanno anticipato di dieci anni gli XX. Per non parlare delle spirali acquose che ogni tanto prendono le chitarre, come a simulare un tuffo in acqua e persino i delfini e le balene che cantano nelle profondità in lontananza.
“Let Me Love You” di Mario (2004)
Probabilmente, Let Me Love You di Mario è uno dei pezzi pop meglio costruiti di sempre. L’arrangiamento è scarno, appoggiato su pochi elementi di archi, Fender Rhodes, synth su un pattern semplicissimo di drum machine. Una tipica ballad R&B, che però si distingue da tutte le sue colleghe per l’interpretazione spaventosa di Mario (prima del 2004 non ha mai fatto un pezzone del genere, né tantomeno dopo).
“Lemon Tree” di Fool’s Garden (1995)
I tedeschi Fool’s Garden sono riusciti a fare quello che sognano tutte le band non-anglofone che cantano comunque in inglese: sfondare in tutta europa con un singolo scritto in un’altra lingua, e addirittura infilando un “blue blue sky” nel ritornello. Pensate che ci sono professori di inglese che la usano durante le loro lezioni, che importa l’origine della band o i sottili riferimenti alla depressione del testo. Assurdo, sì, ma Lemon Tree è un pezzo pop perfetto e si merita tutte le attenzioni che ha avuto: ha un ritmo simpatico e cazzeggione, un bell’arrangiamento di fiati e un ritornello che ti si infila in testa già al primo ascolto. Peccato che a parte questo la band non abbia fatto nulla, se non togliersi l’apostrofo dal nome.
2012 (You Must Be Upgraded)” di Kesha & The Flaming Lips (2012)
Fermi tutti, i Flaming Lips non rientrano di certo nei peggiori artisti di sempre. Al contrario, il genio e l’estro musicale di Wayne Coyne sono riusciti, come nel caso dell’album The Flaming Lips and Heady Fwends, a tirare fuori qualcosa di buono anche da totali fallimenti della musica—ma ahimè non del music business. Uno dei più conclamati di questi è Kesha, cantautrice americana che ha regalato al mondo opere di una caratura e uno spessore inarrivabili. Brani che portano anche titoli politicamente scomodi come Tik Tok, We R Who We R, C’Mon, Crazy Kids. Insomma, fastidio per ognuno dei cinque sensi. Eppure troviamo proprio Kesha in uno dei pezzi più belli dell’album di cui sopra. 2012 (You Must Be Upgraded) dimostra che quella della cantante frivola e quasi fastidiosamente sciocca è solo una maschera che qualche distorsore, un buon produttore e due effetti sulla voce possono tranquillamente togliere. Al posto della Kesha asettica delle hit dance radiofoniche, qui ci troviamo di fronte a una rocker di carattere, con un timbro che può spaziare con facilità dal minaccioso tipo Alison Mossheart (Kills, Dead Weather) al sensuale à la Skye Edwards (Morcheeba).
Amore impossibile” di Tiromancino (2004)
Amore impossibile è una bella ballata-reggae con un paio di trovate affascinanti, come le rincorse liriche del ritornello e le delicatezze dell’arrangiamento di archi e tastiere, questa volta eleganti e dosate con cura, niente a che vedere con altri episodi della loro discografia decisamente più stucchevoli. Il video poi è una figata: diretto da Lamberto Bava, è un diretto omaggio al film Diabolik del padre Mario. Protagonisti Daniel McVicar (Diabolik) e Claudia Gerini, che ovviamente fa Eva Kant, tra furti e fughe in Jaguar E-Type.
All Star” di Smash Mouth (1999)
Gli Smash Mouth incarnano tutto ciò di sbagliato del rock radiofonico dell’America di fine anni Novanta. Sono spacconi, spesso si ripetono, i loro video sono vomitosamente sessisti e come se non bastasse si vestono pure male. Con quelle camicette hawaiane, maglietta della salute sotto e capelli ossigenati. C’è però un pezzo, All Star, che riassume ogni singolo difetto qui sopra ma che, oh, alla fine risulta pure bello. Vuoi per un giro di basso irresistibile, vuoi per il piglio funky del ritornello o quello hip hop delle strofe. OK, è una classica 4 chords song ma sfido io ad ascoltarla e non sorridere pensando a Shrek che si pulisce il culo con il libro delle fiabe e poi esce tutto contento dalla latrina di fronte a casa mentre scorrono i titoli di testa.