I migliori album rap degli anni '10 | Rolling Stone Italia
50 anni di hip hop

I 10 migliori album rap degli anni ’10

Quali sono state le uscite più importanti nel decennio in cui il rap è diventato definitivamente cultura mainstream?

I 10 migliori album rap degli anni ’10

Travis Scott e Kanye West assieme sul palco nel 2015

Foto: Brian Gove/WireImage

Gli anni ’70, il decennio dei primi block party e dei primi progetti. Gli ’80, con i primi brani in classifica e la diffusione negli States. Nei ’90 la piena affermazione, la formalizzazione del genere, l’espansione. Nel primo decennio dei 2000 la conquista estera, le classifiche globali, i rapper come icone. La storia dell’hip hop si è mossa lentamente nella storia e dalle strade di New York, da quel primo party firmato Dj Kool Herc dell’11 agosto 1973, è arrivato ad essere la nostra quotidianità quarant’anni dopo, nell’ultimo decennio che ci separa dalla conclusione – momentanea – di questo grande racconto. Gli anni ’10 sono quelli in cui il rap – e la trap di seguito – diventano non solo produzioni da classifica, ma cultura mainstream. È negli anni ’10 che il rap entra definitivamente nella normalità del nostro vocabolario pop. Il rap finisce il suo percorso di conquista e da sottocultura diventa la cultura dominante del mondo occidentale. Certo, alle sue spalle ha lasciato molto (in particolare il valore politico e comunitario da cui era nato), ma il grande sogno americano ha trovato realizzazione.

Dopo aver provato l’impresa impossibile di stilare le classifiche dei dischi rap più importanti degli anni ’80, ’90 e dei Duemila, eccoci all’ultima fatica: i migliori album degli anni ’10. Le regole sono sempre le stesse: nessun artista può avere due album solisti in classifica (se no basterebbe dividere la classifica tra Kanye West e Kendrick Lamar) e la classifica è ordinata in senso cronologico. È l’ultima fatica, let’s go.

Take Care

Drake

2011

Drake si è affermato perché è stato in grado di portare un nuovo tipo di artista rap all’interno del mercato. Take Care, visto da questo punto di vista, è l’esempio più eclatante. Lontano dal gangsta rap o dalle spacconate di strade, è un disco emotivo, sentimentale, nei suoni come nei testi (ascoltate Marvins Room fino alla fine e capirete). Drake si mostra come un giovane ragazzo nero vulnerabile, l’opposto di come la scena voleva mostrarsi fino a quel momento, costruendo così un nuovo modello di rapper capace di parlare apertamente di amore, famiglia, delusioni. In un disco che si porta a casa featuring con Nicki Minaj, Andre3000, Lil Wayne, Rick Ross, Kendrick Lamar e The Weeknd, è la title track (e relativo video) con Rihanna costruita su un campione di Gil-Scott Heron rielaborato da Jamie XX a segnare un nuovo fondamentale punto evolutivo nella storia del genere.

Watch the Throne

Jay-Z & Kanye West

2011

Cosa succede quando metti assieme i due rapper più influenti della loro generazione? La risposta è: Watch the Throne. L’album collaborativo arriva nel momento d’oro di Kanye, quei quattro anni in cui pubblicherà My Beautiful Dark Twisted Fantasy e Yeezus ed è anche forse l’ultimo grande disco di Jay-Z. Ye e J-Hova si passano il microfono come un duo collaudato, mentre la produzione guidata da Kanye (con Mike Dean, Neptunes, Q-Tip, Justin Vernon aka Bon Iver) contribuisce a brani oramai storici come N***as in Paris (che ad oggi conta due miliardi di ascolti su Spotify per intenderci), Otis (con sample di Otis Redding), Lit Off con Beyoncé e No Church in the Wild in cui partecipa un giovanissimo Frank Ocean e che viene accompagnato da un videoclip clamoroso diretto da Romain Gavras. Direzione artistica a metà tra Riccardo Tisci e Virgil Abloh. Il miglior album collaborativo di sempre nel mondo rap? Che lo scontro abbia inizio.

Good Kid, M.A.A.D City

Kendrick Lamar

2012

Scegliere tra Good Kid, M.A.A.D. City, To Pimp a Butterfly e DAMN. è come chiedere ad una madre di scegliere tra uno dei suoi tre figli. Se To Pimp a Butterfly (2015) è il disco che lo introduce nel gotha del rap americano e DAMN. (2017) è quello che gli garantisce il premio Pulitzer, Good Kid, M.A.A.D. City è quello dà l’inizio a tutti, quello che ci farà conoscere il vero Kendrick, lasciandoci intravedere tutte le potenzialità del rapper di Compton. Compton è proprio il punto focale dell’album – con produzione esecutiva di un altro suo figlio, Dr. Dre – diventando sia soggetto che contesto del rap denso e politicizzato di Kendrick che da quel momento diventerà la voce nera della sua generazione.

Yeezus

Kanye West

2013

Ok, qui tutti vi aspettavate quello che per molti è il capolavoro rap di questo secolo, My Beautiful Dark Twisted Fantasy. E invece, no, ci trovate Yeezus. E non è un gesto per farvi incazzare – giuro. Forse. Innovativo, futurista, imprevedibile, Yeezus è tutto ciò che non si era fatto – o meglio – tutto ciò che non si sarebbe mai dovuto fare nel rap fino a quel momento. E che a farlo sia stato il più importante artista degli ultimi vent’anni, uno che ai tempi aveva tutto da perdere (Yeezus segue l’acclamatissimo MBDTF), lo rende ancora più grandioso. Alla produzione Kanye raduna un dream team visionario per elaborare la sua idea fatta di minimalismo costruita su di un’elettronica sperimentale e spesso distorta: Rick Rubin e Mike Dean al comando, ma anche Daft Punk, Arca, Hudson Mohawke, Travis Scott, Gesaffelstein, Lunice, Brodinski alle macchine. E alla scrittura Frank Ocean e Bon Iver. Giusto per fare name dropping. E quindi ecco un album rap che sa di industrial, techno, acid, IDM. I primi quattro brani sanno di capolavoro: On Sight, Black Skinhead, I Am a God e New Slaves. Plus: la direzione artistica di Virgil Abloh.

Coloring Book

Chance The Rapper

2016

In Coloring Book ci sono, prima di tutto, delle canzoni. Non dei brani rap, ma delle canzoni, costruite con cura e attenzione. Ci si sente tutto l’amore di Chano per la musica (“la musica è l’unica cosa che abbiamo” canta in All We Got, l’intro con Kanye West), per la famiglia e per dio. A suo modo potrebbe essere considerato un disco di Christian rap ripulito dai cliché street, un’epifania dopo un periodo travagliato per il rapper di Chicago. Ci sono i banger (No Problem, Mixtape, All Night con produzione fenomenale di Kaytranada), certo, ma i punti forti sono i brani più illuminati come le due Blessings (in particolare la seconda corale con Ty Dolla $ign, Anderson .Paak, BJ The Chicago Team, Raury e Jamila Woods) e la toccante Same Drugs. E c’è anche spazio per un caro amico, Justin Bieber.

The Divine Feminine

Mac Miller

2016

The Divine Feminine è il “disco di mezzo” di un periodo d’oro per la produzione del rapper Pittsburgh che tra il 2015 e il 2018 pubblica tre album (potevamo benissimo scegliere uno degli altri due per questa classifica) molto solidi come GO:OD AM (2015), The Divine Feminine (2016), Swimming (2018) e che si concluderà ad appena un mese dalla pubblicazione di quest’ultimo a causa di un’overdose di cocaina, fentanyl e alcol che porterà alla morte di Mac Miller. Un disco ispirato c’è chi dice interamente alla nuova relazione con Ariana Grande (ma sarà lei a sostenere che l’unico brano dedicata a lei è Cindarella) in cui Mac Miller ci conferma di sentirsi a proprio agio nel diventare un rapper-cantante capace di surfare sulla black music (c’è il funk, il soul, il jazz – ascoltate Dang! per entrare nel mood) in modo personale e vulnerabile. I featuring di Anderson .Paak, Kendrick Lamar, Ariana Grande, Ty Dolla $ign e CeeLo Green completano un album che si ascolta dall’inizio alla fine senza uno skip. È ancora un modo per ricordarci un talento che aveva ancora tanto da dire.

Flower Boy

Tyler, The Creator

2017

Negli ultimi anni il rap ha fatto un percorso di ricerca delle proprie radici ritornando al funk e al soul. Al groove. Uno dei primi a fare questo percorso a ritroso, ma con le idee ben piantate nel futuro di come sarebbe potuto diventare l’hip hop è stato Tyler, The Creator. Flower Boy è il quarto disco in studio di Tyler e arriva a sei anni dal sorprendente Goblin e funziona da spartiacque della discografia dell’artista favorendo produzioni calde che mischiano i beat da computer agli strumenti analogici suonati (le chitarre piene di chorus su tutte che andranno a creare poi un genere a parte). Tyler propone anche un’idea diversa del rapper, finalmente autoironico e velatamente queer, con un’estetica che premia i colori pastello (molto differente da quanto visto fino a quel momento) rubata a piene mani dalla Gen Z. Per l’ex Odd Future (il collettivo da cui sono usciti anche Frank Ocean e Earl Sweatshirt) è il passaggio all’età adulta – e dai pezzi alle canzoni – consacrato poi con Igor e Call Me If You Get Lost.

Big Fish Theory

Vince Staples

2017

Se alle produzioni hai dei visionari come SOPHIE, Jimmy Edgar, Flume e Justin Vernon (aka Bon Iver) è difficile limitare un disco alla parola rap. Ispirato dalla Detroit techno quanto dalla UK Garage, Big Fish Theory prepara il tappeto sonoro per Vince Staples con beat all’avanguardia fatti di field recording, percussioni metalliche, bassi profondi (vedere alla voce Alyssa Interlude, Yeah Right, Crabs in a Bucket): «Stiamo facendo la musica del futuro, questo è il mio afrofuturismo», dirà. Nell’album compaiono anche Damon Albarn, Kendrick Lamar (nel brano meglio riuscito, Yeah Right, con produzione co-firmata da SOPHIE e Flume), Kilo Kish, Ty Dolla $ign e ASAP Rocky. Dopo Yeezus, il disco più avanti degli anni ’10.

Invasion of Privacy

Cardi B

2018

Il primo e finora unico disco pubblicato da Cardi B è uno statement molto chiaro di chi è la nuova queen della scena americana. Invasion of Privacy arriva dopo due mixtape – Gangsta Bitch Music Vol. 1 e 2 – e già dal primo singolo Bodak Yellow punta dritto al primo posto in classifica. Cardi rappa come nessun’altra (quante sosia sono arrivate dopo questo album?): ha il flow, le rime e una personalità inconfondibile. Il disco poi ha l’intelligenza di riunire i nomi più caldi del momento (i Migos per Drip, Chance The Rapper per Best Life, Kehlani per Ring, 21 Savage per Bartier Cardi, YG per She Bad e SZA per I Do), ma soprattutto di mischiare generi come classic rap, pop, trap. Ma Cardi è anche quella che arriva prima sull’onda della latin trap chiudendo un feat, I Like It, con quelli che saranno i due nomi più importanti della musica latina contemporanea – Bad Bunny e J Balvin. Un disco rap – acclamatissimo all’epoca – con la capacità di anticipare i principali filoni del genere negli anni a seguire.

Astroworld

Travis Scott

2018

Il brano meno ascoltato di Astroworld su Spotify ha 150 milioni di stream. Quello più riprodotto, Sicko Mode (un singolo di 5 minuti, senza ritornelli e con tre cambi tempp), ne ha quasi due miliardi. È vero, certo, che i numeri non dicono molto, ma per spiegare la portata di Travis Scott (uno che si è esibito dentro Fortnite per oltre 27 milioni di giocatori connessi live) bisogna anche passare da qui. Scoperto da Kanye West nel 2012 (e di cui sarà parte del team produttivo di Yeezus), Travis Scott è riuscito – come il suo maestro – a creare attorno a sé un vero e proprio culto come nessun altro in questo ultimo decennio. In Astroworld ci sono – tra i tanti – Frank Ocean, Drake, Kid Cudi, James Blake, The Weeknd con produzioni di Mike Dean, Tame Impala, Thundercat e Scott stesso. Non è il disco che consacra la trap (questo sarà il decennio dei Migos), ma quello che porterà Travis Scott a diventare il trapper più importante della sua generazione.