Rolling Stone Italia

Geddy Lee: i miei 10 bassisti preferiti


Da John Entwistle a Les Claypool, fino a Flea e Jaco Pastorius, il frontman dei Rush ha selezionato per Rolling Stone i musicisti che hanno cambiato il suo modo di vedere lo strumento

Foto: Chiaki Nozu/WireImage/Getty Images

«Ai miei tempi nessuno voleva fare il bassista», dice Geddy Lee. «Suonavi la chitarra, qualcuno diceva: “ci serve il bassista”, si votava e toccava a te». Il bassista dei Rush fa una risata, poi aggiunge, «a me è successo così. Hanno votato. Credo fosse piuttosto comune in quel periodo, perché tutti volevano diventare Jimi Hendrix, Eric Clapton, Jimmy Page».

Lee, che nel 2018 ha pubblicato un gigantesco libro sui bassi elettrici e chi li suona, sta riflettendo su come sia cambiata la percezione del suo strumento, e ha preparato per Rolling Stone una lista dei suoi bassisti preferiti. «Mi sono adattato in fretta e ho imparato ad amarlo», dice dello strumento. «Credo che sia successa la stessa cosa ai più grandi della storia. Ora, ovviamente, è fico suonare il basso. Ma non è sempre stato così».

I musicisti che ha scelto per questa lista – dalle divinità degli anni ’60 e ’70 come John Entwistle e John Paul Jones fino alle leggende della Motown come James Jameson i virtuosi jazz-rock come Jaco Pastorius – hanno tutti avuto un ruolo nel fare del basso uno strumento cool. Sono musicisti diversi, ma secondo Lee condividono un set particolare di abilità.

«Il comune denominatore, per me, è sempre stato la capacità di suonare melodicamente, di migliorare la canzone senza farlo notare», dice. «Quindi ho sempre gravitato attorno ai bassisti capaci non solo di suonare con la sezione ritmica e muovere il brano, ma anche di aggiungere un ulteriore livello di interesse musicale, qualcosa che non sia ovvio. Di solito è un aspetto secondario o terziario, qualcosa che arriva dopo diversi ascolti». Ecco la sua lista.

James Jameson

«Da ragazzo lavoravo nel negozio di mia madre e ogni giorno ci toccava guidare per 45 minuti all’andata e altrettanti al ritorno. In macchina si ascoltava la radio e io come tutti suonavo la batteria sul cruscotto. Lo stesso succedeva nel negozio: la radio era sempre accesa. Così ho ascoltato tanta musica della Motown. All’epoca dominavano la radio, e c’erano davvero tante grandi canzoni che mi hanno influenzato in maniera inconscia, strana. Se ascolti i Rush, dove sono James Jamerson e le cose della Motown? (Ride) Detto questo, ho suonato canzoni della Motown in tutte le mie prime band, perché all’epoca funzionavano.

Se volevi suonare in una band del tuo quartiere, ti presentavi con Hold On, I’m Comin’, con i pezzi di Wilson Pickett e Sam and Dave. Dopo un po’ ho capito che il comune denominatore tra tutti questi artisti era James Jamerson. Le sue linee erano importanti, muovevano le canzoni ed erano melodiche. Associare un volto a quei pezzi è stata una rivelazione».

John Entwistle

«È stato uno dei miei primi dei. Dei del rock (ride). Dopo aver ascoltato My Generation mi sono chiesto: chi è che suona? Dovevo sapere il nome. È uno dei più grandi bassisti rock della storia. Prima di tutto era un musicista feroce e aveva un suono che gli permetteva di rivaleggiare coi chitarristi. Era rumoroso, aggressivo. E ascoltarlo in radio… insomma, My Generation non era famosa in Canada quanto lo era nel Regno Unito, ma era una hit con un assolo di basso. Prima di tutto mi ha attirato il suo suono, poi la sua audacia e dopo la sua abilità. Insomma, aveva una velocità incredibile, si muoveva su tutta la tastiera in maniera fluida, leggera, e allo stesso tempo suonava in modo feroce.

All’inizio abbiamo provato a suonare My Generation, ma è stato un fallimento totale. Le canzoni degli Who sono più difficili da riprodurre di, non so, Road Runner di Junior Walker e gli Allstars. Gli Who erano tosti».

Jack Bruce

«Quando ho avuto l’età giusta per apprezzare il rock, i Cream sono diventati di gran lunga la mia band preferita. Hanno influenzato anche le prime cose dei Rush e il mio modo di suonare il basso. Facevamo una versione di Spoonful. Suonavamo nei bar, nelle feste dei licei e roba del genere. All’inizio i Rush cercavano di emulare i Cream, e sono molto legato al modo di suonare di Jack Bruce. Sono stato anche abbastanza fortunato da vederlo suonare, nel 1969, quando hanno suonato qui a Toronto. Ho ancora un ricordo vivido di quella serata. È stato un momento incredibile. Sono andato da solo, perché nessuno aveva abbastanza soldi o voglia di vedere i Cream. Non lo dimenticherò mai. Mi ha influenzato moltissimo e sono un fan anche dei suoi lavori solisti. Amo quei dischi. È un autore interessante, un cantante emozionante e un musicista incredibile.

I Rush erano un trio, e ci ispiravamo a tutte le band simili come i Cream appunti, il gruppo di Hendrix, i Blue Cheer. All’inizio copiavamo tutti. I bassisti erano più importanti nel trio, soprattutto se il chitarrista doveva suonare un solo. Dovevi fare abbastanza rumore per evitare che il suono fosse “vuoto”. Avevi la licenza di essere un po’ molesto, una cosa che da bassista ho sempre apprezzato».

Chris Squire

«Quand’ero al liceo avevo un amico da cui andavo quando si saltava la scuola. Eravamo fissati con la musica e mi ha passato tantissime cose che non conoscevo, molte band prog rock. Un giorno, mentre eravamo da lui, ha messo su questo disco. Erano gli Yes, Time and a Word. Ero sconvolto dal suono del basso di Chris Squire. Era in primo piano. Mi ricordava John Entwistle, c’era lo stesso approccio aggressivo, ma la musica era molto più avventurosa e stratificata. La prima canzone che ho ascoltato era No Opportunity Necessary, No Experience Needed. Ha un inizio arrogante, quasi classico, poi boom, entra il basso e il pezzo si incendia. Per un giovane bassista come me era incredibile. Insomma, mi ha sconvolto. Sono diventato un fan duro e puro degli Yes, e un fan duro e puro di Chris Squire.

La prima volta che sono venuti a Toronto, io, il mio amico Oscar e Alex Lifeson ci siamo messi in fila al Maple Leaf Gardens tutta la notte per recuperare i biglietti, e siamo finiti in seconda fila. Non lo dimenticherò mai. Quella settimana hanno suonato anche a Kitchener, in Ontario, e siamo saltati in macchina per vederli anche lì. Sono l’unica band per cui abbia fatto la fila tutta la notte (ride).

Quando nel 2017 la Rock and Roll Hall of Fame mi ha chiesto di suonare Roundabout, è stato surreale. È un pezzo importante non solo perché sono un bassista, ma anche perché non ci sono tante hit tra i pezzi prog rock. È una canzone unica, ed è guidata dal basso. Non ci sono dubbi. Ero davvero felice di poterla suonare con loro. È stata un’esperienza bella e strana».

John Paul Jones

«Beh, gli Zeppelin sono stati fondamentali per la mia band. E il nostro primo batterista, John Rutsey, ha visto il loro primo grande concerto a Toronto, in un posto chiamato Rock Pile. È tornato a casa urlando, e quando il primo album è uscito siamo andati subito al negozio a comprarlo. Ricordo di aver corso a casa per ascoltarlo subito. Eravamo tutti e tre nella mia stanza, e abbiamo sentito il primo disco degli Zeppelin insieme. Ci colpì anzitutto il suono. Era la prima band heavy. E c’erano tutti quei riff blues, quel suono che veniva dal rock-blues inglese ma che, con la chitarra di Jimmy Page, aveva anche tanti momenti eterei…

Ma la cosa che teneva tutto insieme era il basso di John Paul Jones. Se senti How Many More Times… insomma, quel brano è folle ed è John Paul Jones che lo tiene ancorato a terra senza sforzo. Non ha un suono acido, non c’è twang, ma il suo basso è sempre presente, ed era parte integrante di quelle melodie così interessanti. Con il passare del tempo la sua influenza musicale si è fatta evidente, era un aspetto fondamentale del suono dei Led Zeppelin. Prendi What Is and What Should Be, che canzone sarebbe senza basso? È una linea scritta bene, fluida, e lo chiude alla perfezione.

Lo rispetto enormemente come bassista ed è anche una persona splendida. Un uomo molto generoso. Quando l’ho incontrato per il mio libro, mi ha concesso davvero tanto tempo. Abbiamo passato una bella giornata parlando del suo passato e del basso. È una persona molto educata, non ci sono parole per descriverlo».

Jaco Pastorius

«Non sono mai stato un tipo da jazz-rock, ma ogni tanto qualcosa attirava il mio orecchio e tornavo a questa musica. Ascoltavo cose diverse, e ricordo quando è uscito Heavy Weather dei Weather Report. Ricordo che l’ho sentito in autobus, e pensavo: “Dio mio, ma chi è il bassista?”. Non conoscevo bene Jaco e gli altri musicisti della band – Joe Zawinul, eccetera – finché qualcuno non me li ha fatti scoprire.

Più avanti, i Rush erano in tour in Milwaukee e la sera prima del concerto i Weather Report si esibivano in un teatro da quelle parti. Siamo andati tutti al concerto e ho visto Jaco per la prima volta dal vivo. Ovviamente è una cosa impossibile da replicare. Era incredibile, bizzarro, istrionico, e quel pollice… è davvero un musicista unico, sono fortunato ad averlo visto in quel contesto, dentro a quella musica così impegnativa. Quindi sì, sono diventato un fan, ma ripeto, non sono un grande appassionato di jazz-rock e non riuscivo a sentire tanti pezzi di quel genere o altri bassisti. Ma Jaco mi ha colpito tantissimo, e ha superato la linea che separava il jazz dai virtuosi del rock – so che gli appassionati di jazz mi odieranno per averlo detto. Era velocissimo. Non aveva paura di suonare veloce. Faceva cose folli sul palco… vederlo era speciale».

Paul McCartney

«McCartney è un bassista sottovalutato, ma nel pop è uno dei musicisti più melodici in assoluto. E stiamo parlando di un tizio che non doveva fare il bassista… si è adattato, ovviamente. Da bassista, trovo che la sua storia sia davvero interessante. Viene da uno strumento molto più melodico, e si sente nella musica dei Beatles. Prendi Taxman, Come Together e tutto quello che c’è in mezzo… le parti di basso sono sempre così rotonde. È ritmico e melodico, e credo sia fondamentale per la natura delle canzoni dei Beatles. Aggiungeva un elemento fantastico.

Credo che si sia infilato nel mio modo di suonare in modo inconscio. Non ho mai suonato musica simile ai Beatles, ma li rispettavo molto. Suonavamo una versione di un pezzo che si chiama Bad Boy, e l’avevamo arrangiata un po’ come facevano i Beatles, che ne avevano fatto una cover. Ascoltavamo tutti i Beatles… ho sempre rispettato il contributo di McCartney, non solo come cantante, ma soprattutto come bassista».

Flea

«Flea mi manda fuori di testa. Insomma, se dobbiamo parlare della generazione di bassisti che ha iniziato a usare lo slap… ce ne sono tanti. Mi ero un po’ stancato del jazz e dell’r&b. Ricordo che per un periodo si sentiva solo quella roba. Tutti i bassisti facevano lo slap, era insostenibile. Poi è arrivato Flea, che sapeva fare lo slap, il pop e tutto quello che c’era in mezzo, con una velocità e un’abilità incredibile, mi sembrava geniale. Ha portato una sensibilità… in quel periodo l’avrei definita r&b contemporaneo, nel rock. È sempre stato rock. Sempre.

Amo il fatto che abbia tanti assi nella manica, più di tanti altri bassisti. E ha sempre sperimentato con altri strumenti, con suoni diversi. E ancora, ha fatto tanta musica pop, ma sempre con linee di basso aggressive, creative e melodiche. Amo il suo modo di suonare, e nel corso degli anni l’ho apprezzato sempre di più. È inconfondibile, suona in maniera singolare».

Les Claypool

«Prima che iniziassero a suonare in tour con noi, non sapevo molto dei Primus. Qualcuno mi aveva mandato i loro dischi, li avevamo ascoltati e abbiamo chiesto che aprissero le date del tour. Mi piaceva la loro follia. Quando siamo partiti insieme ho davvero scoperto il suo modo di suonare, ho visto quanto fosse creativo e avventuroso. Les Claypool era davvero, davvero diverso da tutto quello che avevo visto. Nessuno è come lui. Nessuno suona come Les. Ed era un grande fan dei Rush, parlavamo sempre dei nostri pezzi, mi chiedeva sempre come suonavo le mie parti e io facevo lo stesso con le sue. Volevo capire da dove venisse quello stile così ritmico.

Mi ha influenzato, mi ha portato a superare i limiti delle mie abilità ritmiche. Quel tour con i Primus ha cambiato il mio modo di suonare. Apprezzavo molto che da ragazzino venisse ai nostri concerti, ma ascoltarlo ogni sera mi ha reso un musicista migliore. Era uno scambio meraviglioso, e ci rispettavamo molto. È ancora oggi un mio caro amico. Amo il suo modo di suonare e il suo stile, credo sia una delle persone più creative di tutto il rock».

Jeff Berlin

«Come ho detto, ero un grande fan degli Yes, e (il primo batterista) Bill Bruford aveva pubblicato alcuni dischi da solista. In alcuni c’era un bassista che si chiamava Jeff Berlin. Non sapevo chi fosse, ma suonava in maniera incredibile. Quando l’ho scoperto eravamo nel Regno Unito e loro suonavano in un club… credo di averli visti con Neil. Amavo quello che suonava nel disco, ma quando l’ho visto dal vivo mi ha mandato al tappeto. Era rock, jazz, era incredibilmente versatile. Usava tutte le dita, sembrata un chitarrista flamenco. Trasformava quel basso in tante cose diverse, e il suo stile mi ha colpito molto.

Fortunatamente siamo diventati amici, e lo siamo ancora dopo tanti anni. Alla fine si è trovato meglio nel jazz-rock, e ha sempre suonato con musicisti di quel tipo. Poi ha aperto una scuola per bassisti. Non è molto conosciuto, ma è un musicista pieno di talento. Gli altri bassisti sanno chi è, e sanno quanto è bravo. Non è un nome mainstream, ma questo non significa che non sia un grande musicista. Come Percy Jones dei Brand X, un altro musicista che metterei in questa categoria… Percy Jones era fenomenale. Tutti si aspettano che i bassisti jazz siano grandiosi, ma non è sempre vero. Quei due invece lo sono».

Iscriviti