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Eurovision Song Contest 2022, le pagelle della seconda semifinale

La peffòmans, le pose intensissime, l’entusiasmo da pubblicità degli snack senza lattosio, il Covid e l'eliminazione di Achille Lauro: una serata dedicata alle dieci piaghe d’Europa

Foto: Marco Bertorello/AFP via Getty Images

The Rasmus “Jezebel” (Finlandia)

La cattiva notizia è che questo pezzo passabile e dedicato a una Gezabele irresistibile e potente lo abbiamo sentito decine di volte negli ultimi quarant’anni e difatti è scritto con Desmond Child, campione del rockettone mainstream anni ’80-90. La buona notizia è che fonti qualificate affermano che la performance non dovrebbe compromettere l’ingresso della Finlandia nella Nato. Bello però l’accostamento giallo-nero che fa molto Third Man Records.

Michael Ben David “I.M” (Israele)

Inno alla difesa della propria identità e alla (il dio dell’Eurovision ci perdoni) resilienza, è una canzonetta inconsistente, versione di cose di dieci anni fa buona per X Factor, da dove viene effettivamente Michael Ben David (la maggior parte dei cantanti di stasera provengono dai talent). E poi non è colpa sua se con tutto quello che sta accadendo dalle sue parti “Middle east is the new sex appeal” suona strano.

Konstrakta “In corpore sano” (Serbia)

Questa è peffòmans. L’idea era fare una canzone piena di considerazioni sulla salute del corpo in cui, per mancanza di assicurazione sanitaria, la cantante s’affida a Dio. L’effetto è cheap. Ora vogliamo sentire com’erano gli altri pezzi che i serbi hanno scartato.

Nadir Rustamli “Fade to Black” (Azerbaigian)

Quanto pathos e quanta retorica in questo drammone che inizia piano, sale e poi, come da copione, scende. A chi si chiedono i danni, a Tom Walker?

Circus Mircus “Lock Me In” (Georgia)

Un po’ di ritmo e di sana scemenza ci vuole dopo il melodramma azero. Ok, la canzone è esile, ma ha un che di folle, circense e psichedelico che non guasta. “Take me to the spacecraft, take me to dance club”: con loro un giro lo faremmo.

Emma Muscat “I Am What I Am” (Malta)

Inno al sestessismo con echi pop-gospel, con Emma “Human Mirrorball” che canta in piedi sul pianoforte con un entusiasmo degno di una pubblicità degli snack senza lattosio. Che ironia: l’ex concorrente di Amici loda il carattere individuale di ognuno e poi fa una canzone che potrebbe essere di chiunque.

Achille Lauro “Stripper” (San Marino)

La musica di Stripper sarà un mash-up di altre cose di Lauro e il testo una collezione di meme, ma in mezzo a tanta noia lui, le gabbie, le fiamme, il bacio con Boss Doms e il toro meccanico (un po’ Urban Cowboy e un po’ Buona Domenica con Gabriella Carlucci) fanno la loro porca (pun intended) figura. Eppure lui è fuori, la Romania dentro: dov’è il Codacons quando serve?

Sheldon Riley “Not the Same” (Australia)

Si potrà mai dire qualcosa di male di una canzone che racconta la storia d’un bambino a cui viene diagnosticata la sindrome di Asperger e che cresce inconsapevole della propria sessualità in una famiglia povera e bigotta? Potremmo mai dire che nonostante il vocione e il costume e la maschera alla Orville Peck è totalmente priva d’interesse? Mai, impossibile, non se ne parla.

Andromache “Ela” (Cipro)

Il cha-cha-boom che si sente nel pop di mezzo mondo, qualche vibrato esotico, tanto vuoto. Informa il sito dell’Eurovision che il nome Andromache significa “colei che lotta con gli uomini”. Ok, ma non con gli uomini che vanno in finale.

Brooke “That’s Rich” (Irlanda)

Lei dice d’essersi ispirata a Debbie Harry e alla sua autobiografia. Com’è che il risultato ricorda la radice quadrata di XCX (nel senso di Charli)? A forza di essere citata dopo questa performance, Dua Lipa finisce in trend su Twitter,

Andrea “Circles” (Macedonia del Nord)

Ben oltre la metà della serata si è capito che la seconda semifinale è quella delle ballatone che dovrebbero farci commuovere. Ci prova per la Macedonia del Nord una cantante regina delle pose intensissime, con un pezzo in chiave R&B. Di B c’è anche la serie a cui appartiene la canzone.

Stefan “Hope” (Estonia)

Il country & western, con echi morriconiani, da cui è stata succhiata via ogni verità. Onestamente? Potrebbe togliere il completo da urban cowboy e rimettere il costume da ariete col quale ha partecipato al Cantante mascherato estone.

WRS “Llámame” (Romania)

La versione dozzinale della dance di cui sapevamo di non avere alcun bisogno. “Hola mi bebébé, llámame llámame”. Grazie, magari un’altra volta, come se avessimo accettato.

Ochman “River” (Polonia)

Parla apparentemente di suicidio (o almeno di abbandonarsi alla corrente di un fiume) e mischia in modo banale pop ed echi d’opera. Il nonno del cantante è il tenore Wiesław Ochman che è passato anche dalla Scala di Milano. Scommettiamo che il figlio non passerà mai dal Forum di Assago?

Vladana “Breathe” (Montenegro)

Mancava solo la canzone sul Covid. La canta la collega di Podgorica (collega nel senso che Vladana ha un master in giornalismo) che ci mette anche una parte in italiano. Racconta di sua madre e di tutte le altre vittime cui il virus ha tolto la capacità di respirare. Sia detto con rispetto: roba vecchia, kitsch, tremenda.

Jérémie Makiese “Miss You” (Belgio)

Calciatore, vincitore di The Voice, studente di geologia (virologo ed esperto di geopolitica no?), Jérémie Makiese ha più voce che identità. Questo R&B contemporaneo non ha alcunché di originale, ma neanche d’imbarazzante: per il livello della serata è già qualcosa.

Cornelia Jakobs “Hold Me Closer” (Svezia)

Stando ai bookmaker, Cornelia Jakobs è tra le favorite alla vittoria finale. Si capisce il motivo: la canzone parte dolente e vagamente alla Adele e nella seconda metà finisce in un club. L’interpretazione per metà mesta e per metà festa fa sempre un certo effetto. Gli ABBA lo facevano in modo esemplare. Erano svedesi e hanno vinto l’Eurovision, teniamolo a mente (e poi la bio di Cornelia su Instagram è “viva la figa”, davvero).

We Are Domi “Lights Off” (Repubblica Ceca)

Arrivati in fondo alla serata, ascoltando questo pezzo dance vecchio stampo e anonimo viene il dubbio che l’integrazione europea non sia poi ‘sta gran cosa, a livello musicale.

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