Campioni postmoderni: 10 brani ultra citazionisti di Elio e le Storie Tese | Rolling Stone Italia
Ma questa non è...?

Campioni postmoderni: 10 brani ultra citazionisti di Elio e le Storie Tese

Riferimenti, ironia, padronanza del linguaggio musicale e delle sue articolazioni: piccola caccia al tesoro per riscoprire citazioni, campionamenti e omaggi nascosti tra le tracce degli Elii

Campioni postmoderni: 10 brani ultra citazionisti di Elio e le Storie Tese

Come i Beatles a Parigi nel 1964: Elio e le Storie Tese nel 1996

Foto: Rino Petrosino/Mondadori via Getty Images

Quando iniziò la campagna denigratoria contro Daniele Luttazzi, “reo” di aver riadattato battute dei suoi maestri americani, il comico romagnolo si difese chiamando in causa Elio e le Storie Tese: «Gran parte del piacere dei loro fan sta nel riconoscere i brani musicali citati: chi non ha cultura musicale resta escluso da questo divertimento. Se però questi, accortosi dei rimandi, scrivesse un blog dal titolo “Elio copia!” verrebbe preso a ragione per fesso».

È l’essenza del linguaggio postmoderno, si potrebbe dire senza buttarla troppo sul filosofico: il citazionismo come risposta alla crisi dei grandi racconti e alla sfiducia verso l’evoluzione e il progresso. E sempre senza buttarla sul filosofico, ne va riconosciuta la conseguenza più sottile: l’impossibilità di distinguere tra “colto” e “popolare”. Anche perché l’altra arma del postmodernismo è l’ironia, specialmente in senso parodistico.

Citazionismo, ironia, padronanza assoluta del linguaggio e delle sue articolazioni: gli ingredienti principali dell’eccezionale arte (colta o popolare, chi se ne frega?) di Elio e le Storie Tese. Il cui ritorno è un’occasione ghiotta per riscoprire la loro discografia, magari cimentandosi con la caccia al tesoro dei riferimenti nascosti e di quei campionamenti più o meno convenzionali. Dieci esempi tratti da un repertorio ben più ricco, da ascoltare preferibilmente prima di leggere le descrizioni. Non si abbatta l’appassionato che non riconosca i passaggi “incriminati”, ma si guardi bene dal reagire scrivendo «Elio copia!». Luttazzi aveva ragione da vendere.

Cassonetto differenziato per il frutto del peccato

1989

Già nell’album d’esordio Elio Samaga Hukapan Kariyana Turu la band mette in campo tutto il proprio arsenale citazionista, condensato in questo brano di grevissimo humour sull’abbandono dei neonati. Si comincia a 1’08” con un riferimento tanto colto quanto irriconoscibile: il Quarto Movimento della Sinfonia n. 1 Titan di Gustav Mahler. Dieci secondi dopo è ben altro il campo di riferimento, con quel “Donne atletiche, donne che si allenano / scagliando il feto nel cassonetto dell’amor” (Parental Advisory!) che fa il verso a Le ragazze di Gauguin di Grazia Di Michele. C’è spazio, en passant, anche per un calco melodico de I giardini di marzo battistiani (1’34”) e per il quasi subliminale sampling del bambino che piange in The Kids di Lou Reed (4’02”).

Il vitello dai piedi di balsa

1992

Nel boschetto della fantasia di Elio e le Storie Tese, cui ci introducono gli eroici Giorgio e Piero, c’è “un fottìo” di riferimenti pianistici con cui Rocco Tanica omaggia innanzitutto il McCartney di Golden Slumbers, con quel rivolto di La min 7 introduttivo a 0’34”, per poi ammiccare a Lazing on a Sunday Afternoon dei Queen. Seduto all’organo, invece, preleva chirurgicamente un paio di battute da Senza luce dei Dik Dik per trapiantarle a 1’53”. Non è da meno Cesareo: gli bastano due-note-due e uno slide a 2’26” perché le nostre orecchie leggano chiaramente un titolo: The Great Gig in the Sky. Quasi un autocampionamento, invece, quello di Pulun Vage Sudu Raula Digay (3’10”, da The Los Sri Lanka Parakramabahu Brothers), mentre è tutto gershwiniano il fraseggio del clarinetto che ricalcando con suspense l’incipit sulla dominante dalla Rhapsody in Blue introduce a 3’32” l’arrivo di “un piccolo amico”…

Pippero

1992

Ok, tutti sapranno riconoscere il riff di I Feel Fine dei Beatles e il “ba-ba-ba” dei Beach Boys. Molto meno numerosi, probabilmente, coloro che si ricorderanno di Umberto Balsamo (Bugiardi noi), dell’Afric Simone di Ramaya (singolo il cui lato B, Piranha, fornisce a Faso la linea di basso) e di The Power (Snap!), hit di due anni prima che fa da base al primo vero tormentone degli Elii, parodia a sua volta di Dyulmano, Dyulbero. Inciso, quest’ultimo — e qui il loop rischia davvero di accartocciarsi su se stesso — dal coro femminile Le Mystère Des Voix Bulgares presente in questo e in altri pezzi dell’album. Per chi non ne avesse abbastanza, la coda da 3’41” è un autentico indice dei nomi, tutto da leggere e da ascoltare.

Burattino senza fichi

1996

Un Pinocchio citazionista sin dal titolo e dal primo accordo, quello che segue La terra dei cachi nell’album Eat the Phikis. Il motivo ricorrente di chitarra elettrica, che compare dopo quattro secondi, è una vera e propria crasi tra Walking with the Kid (Huey Lewis and the News) e My Brave Face di McCartney. Non può mancare la colonna sonora dell’omonimo sceneggiato di Comencini, camuffata dai fiati a 1’58” e dalla voce a 3’29”. Tanto per gradire, abbiamo anche il ritornello “risemantizzato” da Più ci penso di Gianni Bella (2’25”) e qualche nota da It’s a Long Way to Tipperary (4’13”), brano britannico risalente alla Prima guerra mondiale.

T.V.U.M.D.B.

1996

Stesso album, altro stile per un modello palesemente dichiarato nel testo: gli Earth Wind and Fire (in particolare la loro After the Love Has Gone). Questo il mood di base, annunciato da un violoncello il cui arco va a ricucire Lo squalo di Spielberg e l’intro di Primary (Cure). Campionamenti vari sembrerebbero estratti da Buono come il pane di Celentano, mentre il sibillino “Senti come grida il peperone (pam!)” è un’autocitazione, essendo ripescato da Piattaforma. L’allusivo ortaggio è una delle tante fisse degli EelST, al pari della Pasta del Capitano — già nominata nel brano precedente — dalla cui storica réclame con Carlo Dapporto proviene il lancio “E tutt’d’un tratt’, il coro!”.

Beatles, Rolling Stones e Bob Dylan

1999

Altra carrellata di riferimenti esoterici, peraltro quasi tutti beatlesiani, a parte la voce iniziale che chiede “It’s rolling?” come Bob Dylan nell’intro di To Be Alone with You. Poco dopo, sul canale destro, ecco un quasi impercettibile estratto dai dialoghi che precedono la versione sul tetto di Get Back. L’incipit vero e proprio (0’27”) cita, sempre dei Beatles, Dizzy Miss Lizzy e I Should Have Known Better, dando il via a una fittissima gragnola di riferimenti ai Fab Four quali i “Tit tit tit” di Girl (0’47”) e il corno di Penny Lane (1’24”). A due minuti esatti, dopo un assolo spiccatamente harrisoniano, si sente anche la vera voce di Lennon nella sua sarcastica introduzione a Two of Us: “I dig a pygmy…”. E non finisce qui: a 2’24” un bel tassello dell’arpeggio di Here Comes the Sun e — last but not least — un cocktail dei finali di Please Please Me e She Loves You (con le voci a intonare il classico accordo conclusivo di sesta). In sottofondo, un ultimo campionamento dalle session di Let It Be sfuma sulla voce di George Harrison. C’è dell’altro? Chissà…

La follia della donna, Pt. I

2003

«Sì, chi è? Ah ciao Roger…». Esilarante, lo spostamento di senso escogitato attraverso i frammenti pinkfloydiani di Welcome to the Machine (in sampling) e Shine On You Crazy Diamond (cui ammicca anche l’ingannevole sottotitolo Pt. I), i quali danno “voce” a un paradossale scambio di battute al citofono tra Renato Zero (Nicola Savino) e un Roger Waters intenzionato a rubargli le idee. «Mò te saluto, sta a girà il nastro, devo di’ scarpe!». Che dire, poi, del politicamente scorrettissimo “ricchioni” che riverbera con l’eco finale di Hey You? (gli appassionatissimi cacciatori di indizi di marok.org coglierebbero ulteriori citazioni da Nobody Home e Dogs). Un siffatto omaggio ai Pink Floyd lascia comunque spazio a un pastiche à la James Taylor, nella sezione “tatuaggetto” da 1’50”: voce e chitarra creano un delicatissimo Frankenstein con pezzi di Something in the Way She Moves, Fire and Rain e Country Road. Ma il finale è ancora tutto Pink Floyd: sembra un banale sciabattare di sabot, ma andate a sentire come finisce Grantchester Meadows

Pagàno

2003

Proviene sempre da Cicciput questo capolavoro prog dedicato al culto degli dèi. Ancora i Pink Floyd con un frammento di The Great Gig in the Sky campionato a 0’39”, per poi alludere al riff di Heaven on Their Minds da Jesus Christ Superstar (1’06”). Il solito pianoforte subliminale cita The Captain of Her Heart dei Double (2’00”) mentre il verso su Tullo Ostilio — per dirne uno — richiama la vecchia Tulipan, prima dell’autoparodia di Laura Pausini che a 2’40” canta “Marco Aurelio se n’è andato e non ritorna più”. Citazione coltissima, seppur non prettamente musicale, è quella del De bello Gallico di Giulio Cesare (feat. Enrico Ruggeri), mentre un ultimo calembour svela l’interprete della coda violinistica: “Io sono Pagani”.

Ignudi fra i nudisti

2008

C’è chi dice che titoli come Revolver e Revolution 9 fossero dei messaggi criptici con cui i Beatles avrebbero esortato gli ascoltatori a suonare i dischi al contrario. Nel caso degli EelST l’invito in codice alla palindromia è Rewind di Vasco Rossi, citata dalle prime note del piano. E come in molti già sapranno, mandando in rewind Ignudi fra i nudisti, otterremo non un messaggio satanico bensì Suspicious Minds di Elvis Presley. Una versione palindroma, intonata da Elio non solo imitando la voce del Re (nel senso di King) ma anche la sonorità delle sue parole girate all’inverso. Quello dei messaggi nascosti d’altronde è un altro chiodo fisso della band, che nello stesso album affronta l’argomento nella suite Suicidio a sorpresa (quella del “Black Metàl all’incontrario”). Con risultati, al solito, geniali.

Come gli Area

2013

Un ultimo tributo monografico è quello agli Area — dall’Album Biango del 2013 — non a caso preceduto dall’enigmistico Reggia (Base per Altezza) suonato proprio da Fariselli, Tavolazzi e Tofani. Il concetto è espresso senza mezzi termini dai primissimi versi: “Vorrei suonare come gli Area / il gruppo italiano / Ma i pezzi sono molto difficili / di questo gruppo italiano”. Soluzione: “Allora sai che faccio? Scrivo una canzone che assomiglia a una canzone degli Area”. Detto fatto, citando il “canto per te” di Gioia e rivoluzione a 0’56” e il “tutto tace” di Hommage à Violette Nozières a 1’46”. Su tutto, la voce campionata di Demetrio Stratos. Ironia, sì, ma è palpabile l’enorme rispetto per l’inarrivabile International Popular Group. E, come conclude Elio, “alla fine ‘sto pezzo stile Area è venuto benino”.

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