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5 cose che abbiamo imparato da ‘True Detective’

A sei anni dal debutto su HBO della serie antologica che ha rivoluzionato le serie, ecco quello che Matthew McConaughey e soci ci hanno insegnato

Matthew McConaughey e Woody Harrelson nella prima stagione di 'True Detective'

1La “McConnaissance” tocca ufficialmente l’apice

Ovvero: la rinascita di un divo. Ora è scontato dire che Matthew McConaughey si è trasformato in uno dei più interessanti attori in circolazione – un fenomeno imprevedibile che possiamo far partire dalla sua performance in The Lincoln Lawyer nel 2011. Il suo modus operandi per risollevare la carriera è stato semplice: rifiutare tutti i tipici ruoli da protagonisti che lo stavano lentamente soffocando e passare a personaggi più cupi (Mud), sciatti (Bernie), psicotici (Killer Joe) o follemente camp (The Paperboy). Se una volta le sue due espressioni erano con la camicia sbottonata o direttamente a torso nudo, McConaughey ha iniziato a esplorare fin dove sarebbe potuto arrivare, lottando ironicamente contro la sua immagine di sex symbol in Magic Mike o riducendo il suo fisico muscoloso all’osso in Dallas Buyers Club. (Quanto invece al suo logorroico cameo in The Wolf of Wall Street, l’intera sequenza sembra oggi una prova generale del suo glorioso discorso d’accettazione dell’Oscar per Dallas Buyers Club.) Ma con True Detective, McConaughey non ha solo regalato la sua prova indubbiamente migliore; ha costruito una performance che al contempo segue e ricostruisce da zero tutti gli esempi di McConnaissance precedenti. Il suo Rust Cohle del ’95 è il perfetto ritratto dell’alienazione e del disturbo mentale, lontano anni luce dai suoi ruoli di belloccio di un tempo ma anche dai tentativi passati di costruire convenzionali eroi tutti d’un pezzo (vedi Il momento di uccidere). Il Cohle del 2012 invece unisce il misticismo dello stripper di Magic Mike al fatalismo del protagonista di Dallas Buyers Club. La recitazione in questa serie è in generale magnifica, soprattutto le prove di Woody Harrelson e Michelle Monaghan. Ma questo è lo show di McConaughey. Al di là dell’Oscar, tutto il suo lavoro degli ultimi anni sembrava portare proprio a questo.

2Cary Fukunaga non è più un regista da dare per scontato

Cary Fukunaga non è più un regista da dare per scontato. Insieme a McConaughey, il nome più spesso associato a True Detective è quello di Nic Pizzolatto, romanziere e, occasionalmente, sceneggiatore televisivo (The Killing) che in questa serie veste i panni dello showrunner. È il vero autore dello show, ma non si può non considerare il contributo dell’uomo che ha diretto i primi episodi. Grazie al suo esordio Sin Nombre, premiato al Sundance, Cary Fukunaga ha dimostrato la capacità di unire un racconto da reporter d’assalto a scelte visive impressionanti. Con la sua opera seconda, l’adattamento di Jane Eyre di Charlotte Brontë uscito nel 2011, ha dimostrato di essere un cavallo di razza. Ma qui il suo lavoro lo fa assurgere a una classe di registi totalmente diversa. Sì, la famosa sequenza di sei minuti nel quarto episodio (Cani sciolti) ha entusiasmato chiunque, ma quel numero da maestro è solo l’eccezione che conferma la regola: è un regista che padroneggia benissimo l’equilibrio, le atmosfere e la potenza visiva di ogni singola inquadratura. Tutto questo, insieme al lavoro sugli attori, è di primissimo livello. Pizzolatto è la voce di True Detective, ma Fukunaga dà forma a quella voce con uno stile sorprendente ma sempre controllato. Lo abbiamo lasciato in questo show col pensiero che sarebbe diventato uno dei più grandi autori in circolazione. Ora la conferma definitiva potrebbe arrivare con No Time to Die, il prossimo attesissimo capitolo della saga di James Bond, per il quale è stato scelto come regista.

3Il modello della miniserie inglese funziona benissimo ovunque

Grazie ad American Horror Story, già sapevamo che il pubblico era pronto all’idea della serie antologica. L’impianto di True Detective, coi protagonisti che sarebbero cambiati di stagione in stagione, ha semplicemente confermato tutto questo. Ma quando è stato annunciato che lo show sarebbe stato composto solo di otto episodi, sono iniziati i dubbi: forse non c’era abbastanza materiale per arrivare a 13 puntate? Oppure il network non aveva abbastanza fiducia nel prodotto? Naturalmente, nessuno di questi sospetti era fondato. Piuttosto, Pizzolatto e soci sembrano essersi da subito ispirati al modello inglese, secondo il quale ogni stagione è composta da quattro, sei o al massimo otto episodi, con l’aggiunta di uno speciale natalizio se la serie ha particolare successo. Col senno di poi, è difficile immaginare un True Detective di 13 episodi. Questa è una storia che è giusto raccontare in una forma più compatta, così da risultare più densa e meno dispersiva rispetto alla risoluzione del mistero. Molte serie hanno prodotto meraviglie grazie a una durata maggiore. Ma il tempo più stringato ha permesso a True Detective di esaltare il suo lato “pulp fiction”, concentrando la narrazione e togliendo tutto il superfluo.

4Inserisci in una serie dei riferimenti criptici a una raccolta di racconti di un secolo fa e farai scoppiare il dibattito online

I gialli, per loro natura, risvegliano il detective che c’è in ognuno di noi. Scandagli ogni scena alla ricerca di indizi, fai la lista dei possibili sospettati, scorri la lista di informazioni raccolte per giungere al momento in cui gridi: «Ma certo! È stato il colonnello Mustard, nella sala da pranzo, con la spranga!». True Detective, fin dal principio, ha disseminato indizi in modo molto sottile, nascondendoli dentro l’incasinatissimo caso che devono sbrogliare i due poliziotti protagonisti. Ma il ritornello nichilista di McConaughey sull’idea che il tempo sia un eterno ritorno non è abbastanza per suscitare il caos sui social. Ma quando vengono nominati il Re Giallo e Carcosa… ecco partire la corsa alle teorie più folli. Come ora sappiamo, il primo si riferisce a Il re giallo, una raccolta di racconti del 1895 scritta da Robert W. Chambers e intitolata così a partire da un gioco congegnato per far impazzire la gente (la serie ha fatto del libro un bestseller su Amazon). Carcosa è invece la mitica città citata nel racconto Un cittadino di Carcosa di Ambrose Bierce; Pizzolatto, durante le interviste, ha spesso fatto riferimento all’antologia A Season in Carcosa e ad autori sci-fi di culto come Laird Barron e Thomas Ligotti. A questo punto, True Detective non ha prodotto più semplici Sherlock Holmes da poltrona. Ha trasformato gli spettatori in esploratori metafisici, scatenando le persone su Reddit e altri forum online con le loro teorie strampalate. Nessun finale, a quel punto, sembrava così folle. La soluzione del caso avrebbe potuto prevedere gli alieni, o forze soprannaturali, o perfino Satana. Il Re Giallo è Rust Cohle. Il Re Giallo è Marty Hart. Il Re Giallo è Tuttle, il reverendo coinvolto nella scomparsa dei bambini. Il Re Giallo è il tipo che ti fa il caffè nel bar sotto casa. Il Re Giallo sei tu (siamo tutti colpevoli fino a prova contraria, ragazzi). Fino all’ultima puntata, True Detective ha incoraggiato gli spettatori a spingersi il più lontano possibile con le loro supposizioni, e a interpretare liberamente i libri e gli autori citati da Pizzolatto. Lo show era già entrato nel dibattito pop prima di tutto questo. Quando poi il Re Giallo è diventato un personaggio a tutti gli effetti anche in assenza, il dibattito stesso ha quasi oscurato la serie. (In termini di teorie assurde, quella che segue è la nostra preferita).

5Tutto diventa mille volte più spaventoso e perverso quando lo vedi su VHS
Sempre.

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