1. “The Order of Time” di Valerie June
Il secondo LP di Valerie June è più rumoroso e sicuro del debutto, disco con radici profonde nel blues e nel folk, colorato da twang country e da cori gospel, con una voce ipnotica che ricorda Joanna Newsom. Un disco che si avvicina alla perfezione, con suggestioni politiche sottili e striscianti, più implicite che palesi, nascoste tra immagini di amanti e di gente che soffre.
2. “Freedom Highway” di Rhiannon Giddens
Il secondo disco da solista di Rhiannon Giddens dei Carolina Chocolate Drops si concentra più sugli arrangiamenti che sulle composizioni. Musicalmente vicine a The Underground Railroad di Colson Whitehead, le canzoni raccontano spesso storie di schiavitù. “At the Purchaser’s Option” parla di una donna che si chiede del futuro del suo bambino. “Julie” racconta la storia di una donna che chiede al suo schiavo di restare con lei, probabilmente mentre si avvicina l’esercito dell’Unione, e del suo abbandono composto. Le sue canzoni sono profonde, il cantato potente e rifinito, gli arrangiamenti eleganti.
3. “Heartworms” di The Shins
James Mercer fa il bravo-ragazzo-del-pop-alternativo sin dal debutto del 2001, “Oh, Inverted World”, ed è riuscito a stratificare il suo sound senza perdere l’intimismo che lo ha sempre caratterizzato. “Heartworms” ha un sound più casalingo, vicino alla grandeur dei Beach Boys, con influenze New Wave evidenti dall’uso dei sintetizzatori – i testi dolcemente bilanciati tra il malessere della mezza età e il romanticismo della giovinezza. Il risultato è uno dei lavori più affascinanti che la band abbia mai pubblicato.
4. “Millport” di Greg Graffin
«Millport mi è servito per esplorare il paradosso di diventare anziani rimanendo rilevanti», ha detto Greg Graffin, frontman dei leggendari Bad Religion, del suo nuovo disco, opera di “vecchia musica” intrisa di country-rock anni ’70. «C’è un grande simbolismo in questa idea», ha aggiunto Graffin, che ha guidato la band per quasi quattro decadi a partire dal 1979. «Parla del mio essere un punk rocker che si rende conto di invecchiare, che fa i conti con la mortalità e l’umanità. Parla del nostro persistere di fronte alla modernità, di fronte alle cose che ci passano davanti».
5. “Either/Or: Expanded Edition” di Elliott Smith
Elliott Smith ha scritto le 12 canzoni di “Either/Or” inseguendo un sogno: voleva capire cosa avrebbe fatto Kurt Cobain dopo le session di MTV Unplugged. I brani sono stati registrati in appartamenti, case e studi di registrazione della West Coast, tra il 1995 e il 1996. Canzoni storiche come “Angeles” e “Between the Bars” (presenti nella colonna sonora di Will Hunting – Genio Ribelle), suonano divinamente in questa remaster. Il disco bonus rende l’uscita ancora più interessante: versioni Live estratte da un concerto del 1997 a Olympia, una demo da brividi di “I Figured You Out” (una canzone meravigliosa sulla timidezza e sull’assenza che si sente quando si diventa famosi che Elliot Smith ha regalato a Mary Lou Lord) e una versione radicalmente diversa di “Bottle Up and Explode”, un brano che parla di un bambino che si sente morire dentro mentre ascolta “Crimson and Clover” dal giradischi. Questo disco è un miracolo dolceamaro arricchito dalle numerose note aggiuntive.
6. “Packs” di Your Old Droog
L’enigmatico rapper newyorkese Your Old Droog è il re delle punchline del panorama contemporaneo: una versione moderna di MF Doom, Sean Price e Big L, ripensati per il mondo di YouTube e Wikipedia. I testi del suo secondo album non sono mai stati così attuali (“While I was making sure every bar was hard / You herbs was playing Pokemon chasing Charizard”), e raccontano storie nello stile di Nineties Raekwon e Kool G Rap. Un ritorno a battute alla Timbaland con aggiunte post-moderne tipiche del mondo di un Internet Enthusiast.
7. “Semper Femina” di Laura Marling
La regina del folk-soul ha deciso di ignorare i pronomi maschili e di parlare di amore e relazioni fra sole donne. Si tratta di un lavoro puntuale, soprattutto per una Inglese che vive part-time negli States.
8. “Ultramega OK (Expanded Reissue)” dei Soundgarden
Il debutto del 1988 dei Soundgarden è il disco più grounge del loro catalogo, soprattutto grazie al potentissimo inno rock “Beyond the Weel” e alla spavalda “Incessant Mace”. Questa ristampa presenta un sound un po’ ripulito, grazie al lavoro dell’ingegnere del suono Jack Endino, e include alcune demo del 1987, tra cui alcune versioni di “Mace” e “Wheel”.
9. “Jay Som” di Everybody Works
La cantautrice dream-pop di Oakland, Melina Duterte, è la preferita di gran parte della stampa indie-rock.
10. “Elektrac” dei Shobaleader One
In questo maniacale disco live, Tom Jenkinson, l’uomo che Flea ha definito “il miglior bassista elettrico del pianeta”, ha riunito una band per mettere in piedi delle versioni analogiche e ad altissima intensità del suo progetto IDM, Squarepusher. La setlist si concentra sui dischi degli anni ’90, prima di sprofondare negli estratti del rozzo Go Plastic, del 2001, tracciando una linea profonda tra questi dischi e quelli di band come i Weather Report (che hanno influenzato soprattutto la sezione ritmica). I piccoli breakbeats di Squarepusher non ci sono più, ma questo disco è una delizia per chi ha orecchie aperte al jazz fusion reso famoso da Kamasi Washington e Thundercat, oppure per chi apprezza le jam groovy di Camp Bisco.
11. “Yours Conditionally” dei Tennis
Il debutto del duo Tennis, Cape Dory, è nato dopo un viaggio che i due, marito e moglie, hanno fatto insieme. Anche il nuovo album è figlio di un viaggio, ma questa volta il risultato presenta fortissime influenze soul e bubblegum. I brani più interessanti, “Fields of Blue” e “In The Morning I’ll be Better”, descrivono un mondo nebbioso e al sapore di piña colada