10 dischi per scoprire il prog giapponese anni ’70 e ’80 | Rolling Stone Italia
Sinfonie della Luna

10 dischi per scoprire il prog giapponese anni ’70 e ’80

Copie dei gruppi italiani, titoli in francese, canzoni in un inglese discutibile, echi dei Genesis. Ma anche lavori personali, bombardamenti tastieristici, raffinatezze. Viaggio ai confini del progressive

10 dischi per scoprire il prog giapponese anni ’70 e ’80

Joe Yamanaka e Hideki Ishima della Flower Travellin’ Band

Foto: Jun Sato/WireImage

Il Giappone ha fornito al progressive una gran quantità di band eccellenti, alcune in grado di operare una personale rivisitazione degli stilemi occidentali, altre con una venerazione così intensa nei confronti del prog, specie quello italiano, da creare copie fedeli. Anche le band derivative sono però state in grado di copiare dannatamente bene, tutti suonano alla grande.

Negli anni ’70 sono usciti i lavori più personali, spesso tinti di psichedelia, hard rock e folk autoctono. E a tal proposito fareste bene a procurarvi l’essenziale volume Japrocksampler di Julian Cope. Negli ’80 si assiste a una vera esplosione di prog sinfonico, con album che sono una vera goduria gli amanti dei bombardamenti tastieristici.

In tutto ciò bisogna superare uno scoglio, per molti assai arduo: abituare le orecchie al cantato in inglese con accento giapponese o in lingua madre. In realtà il giapponese è molto musicale e non sarà difficile abituarsi ai suoi suoni. Una volta fatto, vi si aprirà un mondo, bene esemplificato da questi 10 album.

Satori

Flower Travellin’ Band

1971

L’ondata di band giapponesi dei primissimi anni ’70 unisce spesso i suoni slabbrati degli Stooges a lacerti proto-prog in un calderone nel quale le strutture si ampliano e si colorano inglobando profumi esotici. Guidata dal cantante Akira “Joe” Yamanaka, la Flower Travellin’ Band offre una lunghissima suite divisa in cinque parti che è un vero maelstrom nel quale affogare sospinti sempre più nel profondo dai gorghi chitarristici di Hideki Ishima, al fine di trovare il Satori (l’illuminazione) nel delirio. Per Julian Cope questo è l’album numero uno di tutto il rock giapponese.

Love Will Make a Better You

Love Live Life + One

1971

All’inizio esistevano i Love Live Life, che poi sono diventati + One con l’aggiunta del cantante Akira Fuse, oggi star di prima grandezza. Love Will Make a Better You fa immergree pian piano in un mondo totalmente altro, con richiami blues fagocitati da incursioni psych sempre più visionarie. Emblematica la suite che copre l’intera prima faccia con Fuse che sussurra in trance “sono un essere umano, sono un essere umano” mentre intorno a lui il suono fonde come acciaio rovente facendosi avanguardia pura.

An Old Castle of Transylvania

Cosmos Factory

1973

Con i Cosmos Factory vengono alla luce le prime incursioni sinfoniche sottolineate da un bel parco tastieristico, con Moog e Mellotron a tutto spiano. La band non fa però a meno di robuste strutture ritmiche e della chitarra. La titanica suite da quasi 20 minuti che titola il disco si erge a rappresentanza di un suono che si muove sulle coordinate del Biglietto per l’Inferno, solo un anno prima.

Isshoku-Sokuhatsu

Yonin Bayashi

1974

Gli Yonin Bayashi (“Quattro musicisti”) sono stati una tra le più blasonate band giapponesi e Isshoku-Sokuhatsu (“Situazione esplosiva”) è il loro capolavoro. È basato su un inedito incrocio tra i Pink Floyd epoca Meddle e i Deep Purple, con un tocco deciso di personalità fornito da incursioni folk ed elettroniche a colorare una serie di composizioni d’alta scuola.

Nipponjin

Far East Family Band

1975

Nipponjin della comune musical-esoterica Far East Family Band è uno dei più celebrati album giapponesi per vari motivi: è stato pubblicato dalla storica etichetta inglese Vertigo, è stato prodotto da Klaus Schulze e all’interno dell’ensemble presta la sua opera la futura new age star Kitaro (all’anagrafe Masanori Takahashi). Detto ciò, il disco è un meraviglioso e fluttuante coacervo di space rock, folk e misticismo, con tastiere iridescenti e un’aura soave di spiritualità. Provoca effetti benefici anche senza droghe.

Shingetsu

Shingetsu

1979

Al cambio del decennio il prog giapponese si fa via via più sinfonico, perde un poco di originalità e si avvicina a quello della scuola inglese e italiana. Nel contempo cresce la voglia di sfoggiare una tecnica spesso eccellente unita a musiche ad alto tasso emotivo. Gli Shingetsu sono tra le formazioni più celebrate della scena che nel loro esordio ricreano il mondo surreale e romantico di marca Genesis con tutti gli annessi e connessi che potrete aspettarvi. Oni è forse il più bel brano del Jap prog

Kenso II

Kenso

1982

Se non amate i virtuosismi meglio girare al largo dai Kenso. Fatevi dire però una cosa: quando si suona in questo modo non si può che rimanere a bocca aperta per il gusto e la raffinatezza infusi in otto composizioni una più bella dell’altra. C’è molta Mahavishnu Orchestra qui dentro, ma anche i consueti aromi esotici, uno spiccato sinfonismo e grandi parti di flauto a rendere Kenso II un must have.

Sinfonia della Luna

Mugen

1984

Avviso ai cuori più romantici: con questo disco la lacrimuccia è assicurata. Omaggio accorato al prog italiano sin dal titolo, Sinfonia della Luna è uno di quei dischi capaci di trasportare in mondi magici e mitologici, con omaggi al suono di PFM, Orme e Museo Rosenbach insieme alle classiche atmosfere genesisiane. La suite che copre quasi per intero la prima facciata è regale, il brano finale (Ballo della Luna) è trascendentale. Purtroppo la voce fa molto Mazinga, ma per fortuna le parti vocali sono rade, in compenso le tastiere di Katsuhiko Hayashi svettano.

La mosaïque de la rêverie

Pageant

1986

Di magia in magia La mosaïque de la rêverie è esattamente ciò che il titolo promette, un universo onirico che prende vita grazie alla voce della Kate Bush giapponese Hiroko Nagai, capace di rendere ammaliante e sensuale la lingua giapponese. La musica è ancora debitrice dei Genesis più fatati e brani come la title track o Rires dans la nuit sono una vera manna per i progster. Non chiedetemi il perché dei titoli in francese, so solo che questa visione orientale del romanticismo (un po’ decadente) occidentale è assai fascinosa.

The Scene of Pale Blue

Outer Limits

1987

C’è molto prog italiano nella musica degli Outer Limits ma, come per altre band di questa lista, arriva sempre il momento in cui esce fuori il carattere, il pizzico di originalità a rendere il tutto gustoso e peculiare. The Scene of Pale Blue è caratterizzato dalla suite omonima che cala l’ascoltatore in atmosfere tenebrose da romanzo gotico, con un violino alla Mauro Pagani a imperversare e le consuete cascate di tastiere a creare quegli antri di mistero e sospensione evocati dalla splendida copertina.

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