10 dischi per capire cos’è il pronk | Rolling Stone Italia
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10 dischi per capire cos’è il pronk

Nata a fine anni ’80 e applicata retroattivamente a certe band post punk e new wave, l’etichetta pronk indica l’unione eccitante e per alcuni scandalosa di prog e punk. Unire gli opposti: si può fare

10 dischi per capire cos’è il pronk

Gli Ultravox! nel 1977

Foto: Ian Dickson/Redferns

Quante storie sono state raccontate sul rapporto fra punk e prog? Una per tutte: la t-shirt di Johnny Rotten con la scritta “I hate Pink Floyd”. In realtà il re del punk non solo amava la band di Roger Waters, ma impazziva dietro a Van Der Graaf Generator, King Crimson e compagnia. Tutte cose spesso dichiarate quando ormai era nei PIL e non disdegnava influssi art rock. Chiaro che nel 1976 era meglio tenere certe passioni per sé, il prog doveva soccombere e nulla poteva sbarrare la strada al punk. Come Lydon insegna, però, c’era chi amava quella musica e avrebbe voluto suonarla.

Il ritorno a ritmi secchi, pochi accordi e tanta passione aveva giovato al panorama rock che (in alcuni casi) stava diventando barocco e artefatto. Anche il virtuosismo tanto sbandierato nel prog col punk era stato finalmente ridimensionato. Largo alle idee, chi ne aveva avrebbe suonato, qualunque fosse la sua levatura di musicista.

In questo contesto alcuni cominciarono a manifestare le proprie passioni usando il punk (e poi il post punk) come base di partenza per proporre brani che recuperavano spirito e strumentazione del prog, spogliato da virtuosismi e pomposità.

Verso la fine degli anni ’80 venne fuori un gruppo chiamato Cardiacs che univa sfacciatamente i due stili. Per loro, la stampa inglese coniò il temine pronk, ovvero prog + punk, che finì per connotare in maniera retroattiva anche band del passato.

Il pronk prevede energia e ritmi squadrati (ma c’è anche chi propone tempi dispari da capogiro, suonati in modo esplosivo) che accolgono Moog, Mellotron, profumi canterburiani, jazz-rock e psych. Ne sono la prova questi 10 album fatti di musica fresca e dirompente, ma anche cervellotica e labirintica, testimonianze di quanto a volte sia saggio tentare di mescolare gli opposti.

Ultravox!

Ultravox!

1977

Gli Ultravox! (col punto esclamativo) erano teoricamente un gruppo punk, in realtà le loro influenze erano assai più variegate: Hawkwind, Roxy Music, Kraftwerk, King Crimson, tra le altre. Si trattava di dare in pasto al pubblico affamato di anarchia un qualcosa che non tradisse lo spirito del tempo, ma allo stesso tempo mostrasse le sfaccettature della formazione capitanata dal carismatico John Foxx. La produzione di Brian Eno riuscì a far convivere l’impossibile, ascoltare I Want to Be a Machine per credere.

Real Life

Magazine

1978

Dopo i Buzzcocks, il cantante Howard Devoto si mette in proprio con in testa l’idea di definire la sua via progressive al punk. Ecco quindi i Magazine e Real Life, gioioso crossover che inizia con Definitve Gaze, tra accenni reggae, synth Yes, chitarre Clash, voce tra Rotten e Syd Barrett. Analoghe modalità nel singolo Shot by Both Sides, vero inno pronk ante litteram dal ritornello deflagrante che spazza via ogni dubbio sulla incredibile mistura che la band è stata in grado di mettere in atto.

154

Wire

1979

Il capolavoro wave 154 ha decisi accenti pronk e in particolare una certa atmosfera pinkfloydiana. Siamo al paradosso, la musica degli odiati  Pink Floyd si fonde con il (post) punk dei Wire, tra paesaggi estatici e malinconici che si tingono di elettronica, chitarre lancinanti, ritmiche in paranoia e voci alienate per canzoni d’alta classe.

The Raven

The Stranglers

1979

Gli Stranglers si buttano nella rivoluzione punk con vigore, portandosi dietro un suono in larga parte basato sulle tastiere di Dave Greenfield, il cui amore per Rick Wakeman è spesso evidente. In The Raven spiccano la la title track, con Minimoog a manetta su chitarre alla Damned, Baroque Bordello con tanto di clavicembalo e il singolo Duchess, genesisiano fin dal titolo.

Confusional Quartet

Confusional Quartet

1980

Anche in Italia ci sono stati folli e geniali pronkers. Le ritmiche qui pazzeggiano in un delirio di tempi e controtempi da far girare la testa, sempre belli secchi e punk nel midollo. I 13 brani dell’esordio triturano prog, jazz, sigle tv, videogiochi, spy movies e molto altro. Degli Area demenziali, di una geniale demenza.

The Seduction

Ludus

1981

Che dire di questi bei tipi che univano il punk al suono di Canterbury di Hatfield and The North, Gong o Slapp Happy? I misconosciuti Ludus sono tra le band più originali di questa storia, con la voce lunare della charmante Linder Sterling e gli otto minuti di Unveiled (A Woman’s Travelogue) a rappresentare una sinfonia di Schönberg in chiave pronk, con stranianti cambi di scena e balzi dal free jazz al cameristico. Puro genio.

Deceit

This Heat

1981

I This Heat partono da substrati punk per poi farsi prog inglobando world, jazz, improvvisazione, elettronica. Un tripudio di suoni ritmici e tribali, con voci austere che danno vita a inni inquietanti. Rispetto agli album precedenti, Deceit (registrato in un magazzino abbandonato) è più accessibile, ma non meno spietato, con un approccio sui generis alla canzone e la voce-strumento di Charles Hayward a troneggiare.

Without Mercy

Durutti Column

1984

La chitarra con delay di Vini Reilly è una delizia nel suo magico serpeggiare. Specie in questo disco, un emblema del pronk tra post punk, classicismo, jazz-rock psichedelico alla Soft Machine, minimalismo e tanto altro. Uno splendido equilibrio di melodie indimenticabili.

Civilization and Its Discotheques

Fibonaccis

1987

Che ne pensate di una fusione tra Henry Cow e Talking Heads? L’abbinamento sulla carta è accattivante e nel caso dei Fibonaccis va alla grande. I loro pezzi hanno le trame cervellotiche degli inglesi e il ritmo irresistibile degli americani in temi spigolosi, chitarre funk, cadenze disco, un bizzarro senso della melodia e una sorta di giocoso stato d’animo che accarezza finanche le atmosfere dei Genesis. Irresistibili.

A Little Man and a House and the Whole World Window

Cardiacs

1988

I pronkers per eccellenza sono i Cardiacs, con grandi cori di Mellotron che fanno da sottofondo a interludi ska, astrusi cambi di tempo, profumi genesisiani, sporchi muri di chitarre e fughe di tastiere classicheggianti. Sul tutto la voce di Tim Smith che a seconda del momento sa essere Peter Gabriel o Johnny Rotten. Un suono personalissimo per una band che merita di essere riscoperta.