10 cose che forse non sapete di ‘Back in Black’ degli AC/DC | Rolling Stone Italia
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10 cose che forse non sapete di ‘Back in Black’ degli AC/DC

Piogge torrenziali, apparizioni di fantasmi, invasioni di granchi, grandi liti coi discografici sono gli elementi che hanno concorso a creare quarant’anni fa un album leggendario, il secondo più venduto della storia del rock

10 cose che forse non sapete di ‘Back in Black’ degli AC/DC

Brian Johnson e Malcolm Young nel 1990 durante un concerto degli AC/DC

Foto: IPA

È uno dei dischi più venduti della storia – secondo solo a Thriller di Michael Jackson – e usciva 40 anni fa: per la precisione venerdì 25 luglio 1980. Back in Black, che vedeva gli AC/DC rimettersi in piedi – a velocità miracolosa, peraltro – dopo la morte improvvisa del carismatico frontman Bon Scott, è divenuto un disco-icona ed è considerato uno degli album più importanti nella storia del rock duro. Anzi, per molti è proprio il disco che ha aiutato il genere a risollevarsi, agli albori degli anni ’80, fino a crescere e diventarne grande protagonista. Ecco una decina di curiosità e aneddoti su Back in Black e sui brani che lo compongono.

1Brian Johnson non voleva che qualcuno lo sentisse cantare
Brian Johnson debuttava nel ruolo di cantante degli AC/DC, con la pesantissima eredità di Bon Scott da raccogliere. Per incidere la sua voce, chiese che in studio non ci fosse quasi nessuno, Tony Platt, che faceva da assistente al producer Mutt Lange, ha raccontato alla testata Sound On Sound: «Piazzammo dei pannelli intorno a Brian: non gli piaceva l’idea che qualcuno lo vedesse mentre cantava. Chiese anche che l’aria condizionata non fosse troppo fredda […] e una volta entrato nel suo cubicolo ci restava fino alla fine dei lavori, perché venire nella stanza del mixer avrebbe significato un cambiamento troppo brusco di temperatura e umidità: uno shock termico, una cosa pessima per la sua voce, che invece doveva restare ben calda».

2Il cantante non riusciva a registrare in costume da bagno
Le session per Back In Black durarono poco più di un mese (fra aprile e maggio del 1980) e si svolsero presso i Compass Point Studios, a Nassau, sull’isola caraibica di New Providence. A parte qualche improvviso temporale caraibico, il clima lì è fantastico. Lo sapeva bene Keith Emerson, che si era trasferito sull’isola da un anno circa, per godersi il relax e il sole. Emerson legò immediatamente con gli AC/DC e in particolare con Brian Johnson, con cui andava spesso a pescare e in barca. Il tastierista inglese, nel volume AC/DC FAQ di Susan Massino, racconta: «Un giorno Brian mi disse che aveva difficoltà a cantare bene le sue parti quando andava in studio direttamente dalla spiaggia, ancora in shorts o col costume da bagno. […] Ce la metteva tutta, ma non riusciva a dare il meglio. Poi gli venne un’idea: mi disse che sarebbe andato un attimo nella sua stanza, di aspettarlo. Dopo un’ora circa è tornato vestito come se dovesse salire sul palco ed è entrato in studio, dicendo: “Ok, ora registriamo. Attacca tutto”. E fece una take incredibile. Il fatto è che non poteva cantare quelle canzoni in costume».

3I granchi invadevano la sala d’incisione
Lo studio di registrazione di Nassau era letteralmente a un tiro di schioppo dal mare: una bella comodità che facilitava il relax, come già abbiamo visto. La vicinanza alla spiaggia e la natura selvaggia del luogo portarono a visite non esattamente usuali in studio. La band e i tecnici, infatti, in più occasioni si trovarono faccia a faccia con grossi granchi che entravano a curiosare, creando divertenti siparietti.

4 “Hells Bells” nasce da un temporale

AC/DC - Hells Bells (Official Video)

In primavera, a Nassau, temporali e piogge improvvise sono piuttosto frequenti: e, infatti, nel corso delle registrazioni, si verificarono black out e interruzioni di corrente per via delle precipitazioni a volte molto copiose. Proprio a uno di questi scrosci violentissimi si deve la nascita del testo di uno dei brani più simbolici di Back in Black: la funerea Hells Bells.

Johnson, che ha raccontato l’aneddoto nel 2006 a Louder Sound, era a corto di idee per i testi e Mutt Lange stava cercando di aiutarlo a uscire dall’impasse: «Una sera ero seduto sul letto della mia stanza. Quelle camere erano dei cubicoli con solamente un letto, un tavolo con una lampada sopra e un bagno privato. Nient’altro. […] Mutt arriva e mi dice: “Stasera i ragazzi stanno incidendo Hells Bells”. […] Poi mi fa: “Ascolta… c’è il tuono!”. E io gli rispondo: “In Inghilterra lo chiamiamo tuono rotolante [“rolling thunder”, nda]”. E lui: “Bello, segnati queste parole”. E da lì… boom! Inizia a piovere fortissimo – e io scrivo “pioggia torrenziale” [“pouring rain”, nda]. Poi inizia a tirare vento fortissimo – e io scrivo “sto arrivando, come un uragano” [“I’m comin’ on like a hurricane”, nda]. Ero decollato: buttai giù tutte le parole quella sera».

5Johnson dice di aver visto un fantasma (di Bon Scott?)
Brian Johnson fu praticamente costretto a scrivere i testi a Nassau, durante le registrazioni. Nel volume del 2013 Louder Than Hell: The Definitive Oral History Of Metal (di Jon Wiederhorn e Katherine Turman) il cantante dà una versione “spooky” della genesi delle parole di You Shook Me All Night Long: «Non credo nei fantasmi e robe del genere. Ma quella notte mi è successo qualcosa, in quella stanza. Qualcosa mi è passato attraverso ed è stato grandioso. Non mi frega un cazzo se la gente mi crede o no, ma qualcosa […] mi ha detto: “Va bene, figliolo, va bene”, con voce calma. Mi piacerebbe pensare che fosse Bon, ma non posso dirlo: sono troppo realista e non voglio che la gente si faccia prendere la mano. Ma qualcosa è davvero accaduto e io ho iniziato a scrivere la canzone».

6“Rock and Roll Ain’t Noise Pollution” nasce come riempitivo

AC/DC - Rock And Roll Ain't Noise Pollution (Official Video)

Dopo cinque settimane ai Compass Point, gli AC/DC avevano terminato nove pezzi, ma ne mancava uno per chiudere l’album e raggiungere il minutaggio minimo richiesto. Malcolm e Angus risolsero il problema scrivendo una nuova canzone in un quarto d’ora, in studio. Brian Johnson, in un’intervista del 2016 rilasciata a Louder Sound, ha ricordato: «Ho avuto l’impressione che volessero fare un riempitivo, una specie di scherzo da ubriachi. Malcolm venne da me e mi disse: “Ascolta, Jonno, la chiameremo Rock and Roll Ain’t Noise Pollution”. Subito pensai: “Eh? Questo è un titolo interessante per farci un testo!”. Non dimenticherò mai il momento in cui sono entrato nella sala di ripresa. È partita l’intro e in cuffia ho sentito la voce di Mutt che mi diceva: “Brian, puoi dire qualcosa su questa parte? Parla”. Stavo fumando una sigaretta – e si sente nella registrazione [si percepisce chiaramente il rumore di un accendino, nda]. Così […] mi sono messo a fare questa imitazione, tipo predicatore sudista. Giuro che l’abbiamo incisa in una sola take. E non pensavo che sarebbe davvero finita sul disco».

7La casa discografica non voleva la copertina nera
La band aveva un’idea ben definita per la copertina ancora prima di iniziare le registrazioni: i ragazzi volevano fosse un tributo a Bon Scott. Il problema è che la Atlantic non era per nulla contenta della prospettiva di pubblicare un disco con un artwork così: tutto nero, funereo, listato a lutto. Jerry Greenberg, presidente della Atlantic, ha dichiarato nel 2017: «Temevamo che con il total black la gente non riuscisse a capire di chi era il disco e, in più, l’album non si sarebbe notato molto negli espositori dei negozi». Dopo un lungo braccio di ferro (Angus Young ha più volte scherzato dicendo: «Probabilmente abbiamo impiegato più tempo per la copertina che per fare il disco»), venne raggiunto un compromesso: nella tiratura iniziale, su uno sfondo nerissimo, svetta il logo degli AC/DC in rilievo e bordato di bianco, mentre il titolo è quasi invisibile (in rilievo, nero, e senza contorni).

8C’è chi dice di avere sentito i demo dell’album… cantati da Bon Scott

Foto: Fin Costello/Staff

È praticamente assodato che il contributo di Bon Scott ai brani di Back in Black è stato quasi impalpabile (forse qualche porzione di testo che potrebbe essere stata estrapolata dai suoi “famosi” bloc notes di appunti andati perduti). Ma molti dei suoi fan più accaniti non sono del medesimo avviso, anzi, c’è chi addirittura sostiene di avere ascoltato dei demo di pezzi cantati da Bon. Uno dei fautori di questa tesi è Buzz Bidstrup, manager, produttore, ex componente della rock band The Angels e amico di Scott. Nel maggio 2020 ha detto al Sydney Herald che, alcuni anni dopo l’uscita di Back in Black, una persona gli ha fatto ascoltare un nastro in cui l’amico scomparso cantava alcuni di quei pezzi. «Vorrei avere una copia di quella cassetta», ha dichiarato. «Me la fece sentire una persona di fiducia, per cui penso fosse autentica». Il fatto che tutto sia così fumoso – oltre all’esistenza ben nota di versioni fake di brani spacciati per cantati da Scott – non depone però a favore dell’attendibilità del racconto.

9Ci sono le campane grazie a una pisciata di Malcolm Young
Appena terminate le registrazioni ai Compass Point, Malcolm Young volò diretto a New York insieme a Mutt Lange e Tony Platt per il mixaggio finale ai leggendari Electric Lady Studios. La leggenda vuole che, uscito dallo studio per una “pausa pipì”, Malcolm abbia sentito i rintocchi di una campana per strada: da lì gli venne l’idea di inserirne una all’inizio di Hells Bells.

Platt volò addirittura a Loughborough (Leicestershire, UK) per immortalare i rintocchi delle campane incorporate in un monumento ai caduti della Seconda guerra mondiale (noto come Carillon). Ma il campanile era strapieno di piccioni che disturbarono gravemente la registrazione. Platt fu costretto a incidere quindi il suono di una campana simile, presso la fonderia (John Taylor Bellfounders) che aveva forgiato quelle del monumento.

10“You Shook Me All Night Long” ha rischiato di non uscire come singolo

AC/DC - You Shook Me All Night Long (Official Video)

Nel volume The Youngs di Jesse Fink, Tony Platt racconta le vicissitudini di You Shook Me All Night Long, pezzo simbolo della band e primo singolo tratto dall’album. Quando Platt lo presentò al dipartimento marketing della Atlantic, scoprì con raccapriccio che erano più le persone a cui non piaceva di quelle che gradivano il brano. Al capo del dipartimento piaceva, ma era in minoranza.

«Ricordo due o tre tizi del marketing che sentenziavano: “No, non lo vedo assolutamente come singolo”», racconta. «E invece è uno dei più grandi singoli rock di tutti i tempi. È lì che mi feci un’idea ben precisa delle persone che lavoravano nel settore marketing dell’industria discografica. Quella è una canzone che parla da sola». Una curiosità: fino a qualche anno fa, il pezzo è stato presente in modo costante nella top 10 dei più suonati negli strip club statunitensi compilata dalla PANDA, l’associazione dei DJ che lavorano nei club per soli adulti.

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