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10 album in cui è coinvolta l’intelligenza artificiale

Sempre più musicisti usano l'IA e il machine learning per mettere a punto nuovi metodi compositivi e come strumenti per realizzare dischi. In che modo? E con quali risultati? Una panoramica

Foto: Possessed Photography/Unsplash

Gli ultimi sono stati gli anni delle intelligenze artificiali. Non che in precedenza non esistessero, ma per la prima volta si percepisce un interesse che raggiunge anche chi non è un genio nella programmazione informatica o ha una vocazione per la sperimentazione d’avanguardia. L’IA sta diventando, insomma, un fenomeno mainstream e sta incuriosendo tantissime persone. Dietro al fenomeno c’è una convergenza di situazioni favorevoli. Innanzitutto i software di IA hanno raggiunto un livello di utilizzabilità adatto alla diffusione: la maggior parte funzionano attraverso il training collettivo. In sostanza, si danno delle indicazioni al software, che le interpreta attraverso le esperienze pregresse, che comprendono gli utilizzi del software da parte di qualsiasi utente dal suo primo lancio. In secondo luogo, alla facilità di utilizzo corrisponde un rapporto tra sforzi e soddisfazione molto vantaggioso: si inizia per ridere, per generare meme, per semplice curiosità; ci si interessa per davvero e si scopre che se si impara a conoscere il funzionamento dell’IA e ci si allena insieme, i risultati possono essere sorprendenti, e il tempo di apprendimento è relativamente veloce. Si tratta di fatto di imparare a chiedere le cose giuste per fare sì che l’IA realizzi qualcosa che corrisponda in maniera sufficiente all’idea dell’utente, sia che si tratti di musica, di arte figurativa, video e via dicendo.

Per farla breve, le intelligenze artificiali stanno entrando nella vita di tutti, musicisti compresi: esistono già decine di software a largo consumo specializzati in composizione musicale come Amper Music, AIVA, Melodrive, Ecrett Music, Amadeus Code, Muzeek e tanti altri, ognuno con i suoi tool e ognuno con i suoi costi di abbonamento. Ma il loro percorso è iniziato da tanto tempo: la prima menzione di metodi di composizione musicale tramite algoritmi informatici risale al 1960, in un articolo di un ricercatore sovietico (R. Kh. Zaripov), e gli studi sono andati avanti per decenni. Gli anni ’10, infine, hanno visto un sempre crescente utilizzo in ambito pop, con diversi artisti che hanno realizzato dischi con l’ausilio di software di intelligenza artificiale. Abbiamo cercato i dieci migliori secondo due criteri: l’innovazione nell’approccio alle IA e l’interesse artistico.

Hello, World

Skygge

2018

Attorno al 2017 Skygge, produttore e autore avanguardista con esperienza nel French pop, ha preso le redini artistiche del Flow Machine Project, progetto gestito da scienziati e musicisti per conto dei Sony Computer Science Laboratories che nel 2016 aveva presentato Daddy’s Car, un brano generato da un’intelligenza artificiale allenata per imitare lo stile dei Beatles. Hello World è invece un album di 15 tracce, composto allenando l’IA a generare timbriche, melodie, progressioni di accordi e via dicendo. Il risultato è un disco sinceramente godibile, che tolto lo straniamento iniziale dovuto alla dinamica della voce, una sorta di collage di sillabe che a momenti ricorda lo stile delle YouTube poop, risulta essere dinamico, coinvolgente e pieno di alti e bassi, con degli elementi pop-rock tendenti al fusion e alla world music. E soprattutto riesce a farsi ascoltare al di là della curiosità suscitata dal particolare metodo di composizione. Il progetto Flow Machine funziona attraverso l’utilizzo di una Style Palette, un modello di machine learning che analizza dati musicali per incrociarne le caratteristiche e generare nuove composizioni che siano, appunto, in “palette”. La versione Pro di Flow Machine contiene 100 preset di Style Palettes, e ogni utente può inserire la propria. I parametri da considerare sono stati decisi nel corso degli anni di gestazione da musicisti, ingegneri del suono e informatici: l’obiettivo complessivo del progetto era quello di dimostrare e sostenere come l’intelligenza artificiale possa stimolare la creatività degli artisti secondo modalità paragonabili a quella di una jam session: nella jam il contesto stimola la creatività dei singoli e la creatività dei singoli influisce sul contesto.

IAMAI

Taryn Southern

2018

Si tratta del primo album scritto da un’artista singola a essere composto e prodotto utilizzando un’intelligenza artificiale. Un disco che ha totalizzato milioni di stream, nonché un chiaro esempio di come può essere la AI music se pensata come una collaborazione artistica tra umani e machine learning. In IAMAI, Taryn Southern e il produttore Ethan Carlson hanno sostanzialmente inserito dati e parametri musicali (bpm, ritmica, strumentazione, stile ecc.) all’interno di un sistema di machine learning che, attraverso vari passaggi, ha generato composizioni musicali inedite basate su probabilità e pattern. Per realizzare il disco sono stati utilizzati diversi sistemi: Watson Beat, Amper, AIVA e Google Magenta. Taryn ha poi scritto le linee di voce e i testi. Il risultato è un disco pop credibile, da qualche parte tra Avril Lavigne, Hilary Duff, Grimes e Owl City, che si fa ascoltare tranquillamente dall’inizio alla fine.

Young Paint

Actress / Young Paint

2018

Non figura nella discografia ufficiale di Actress, ma in quella dello sconosciuto e silenzioso alter ego virtuale Young Paint. In ogni caso, la mente alla base è sempre quella di Darren J. Cunningham, che nel 2018 ha iniziato ad esplorare il mondo delle intelligenze artificiali, creando il proprio programma di learning e componendoci un mini album di sei tracce IDM/ambient. Non entusiasmante, ma quello che esce dalla testa di Darren ha sempre un fascino smisurato. Il disco si fa ascoltare e ti impone di pensare a quanto sia geniale e bizzarro quel ragazzo britannico. Stando al racconto dello stesso Cunningham, Young Paint, che non è solo il nome del suo alterego ma anche il programma di machine learning utilizzato dall’artista, ha contribuito a circa il 30% della musica. «Più entri nel processo più realizzi questa idea di un uomo e una macchina che diventano un’unica forma di scrittura», ha spiegato a lato dell’uscita del disco: «C’è qualcosa di spaventoso e oscuro e sexy in tutto questo».

Proto

Holly Herndon

2019

Molto probabilmente, al momento, questo è il capolavoro del genere – se di genere si tratta – dell’AI music. Holly Herndon, caleidoscopica e geniale artista statunitense, dopo una serie di dischi e esperimenti in cui ha esplorato in lungo e in largo le possibilità dell’ibridazione tra tecnologia e mente umana con il dichiarato intento di voler dimostrare che la tecnologia sia tutt’altro che un agente disumanizzante, ha presentato al mondo il suo primo lavoro realizzato con il contributo di Spawn, il prototipo d’intelligenza artificiale da lei congegnato insieme al consueto partner Mathew Dryhurst e alla programmatrice Jules LaPlace. Holly insiste molto sul fatto che il fattore umano sia determinante e complementare a quello di Spawn, e sul fatto che l’artisticità dipenda dalla gestione del processo di apprendimento a cui viene sottoposto il software. Nel caso di Proto, Spawn ha imparato a riconoscere, interpretare e rielaborare le voci, unendosi infine a esse nella traccia Extreme Lover, in cui si sente uno spoken della voce generata dal machine learning. Il risultato, in ogni caso, è spettacolare: un disco sfaccettato, poliedrico, colto e catchy allo stesso tempo, che riesce a essere art pop senza risultare spocchioso o noioso, sorretto dal caleidoscopio di suoni e di voci che rendono perfettamente il mondo concettuale professato da Holly, un caos armonico in cui le macchine e gli uomini vivono e creano completandosi a vicenda. Laureata in Musica elettronica e strumenti di registrazione al Mills College di Oakland, con successivo dottorato di ricerca in Composizione presso il Center for Computer Research in Music, Herndon ha continuato a esplorare il mondo delle intelligenze artificiale, e lo scorso anno ha pubblicato Jolene in featuring con Holly+, suo alter ego digitale che si presenta come uno strumento/software in grado di generare voci. Più facile a farsi che a dirsi: Holly+ è disponibile al pubblico ed è semplicissimo da usare.

Spleen Machine

Alex Braga

2020

Un EP per pianoforte e intelligenza artificiale: Alex Braga ha passato molto tempo della sua vita recente a cercare qualcuno che avesse la sua stessa visione dell’intelligenza artificiale applicata alla musica. Per lui, in sintesi, le IA erano strumenti moderni che andavano sfruttati nel loro potenziale così come Mozart aveva fatto con la macchina più moderna della sua epoca, ovvero il pianoforte. Tra i progetti di Braga c’era quello di creare un software che fosse capace di duettare in tempo reale con un pianista. Alla fine, qualcuno (ovvero: Francesco Riganti Fulginei e Antonino Laudani, professori che da tempo studiavano le intelligenze artificiali nella risoluzione di problemi numerici) all’Università di Roma Tre ha deciso di dare ascolto ai potenziali deliri del musicista. La cosa ha funzionato ed è nato A-Mint, un sistema neurale complesso composto da reti neurali che collaborano fra loro e creano musica sul momento. La particolarità di questo software è che il sistema non necessita addestramento pregresso, ma compie il suo compito sul momento, in base agli stimoli suggeriti dal pianista che sta suonando, producendo ogni volta un accompagnamento diverso. Il disco in questione è un piccolo gioiello di pianismo, nonché un esempio ben riuscito di collaborazione tra uomo e macchina.

Chain Tripping

Yacht

2019

La band dance punk inglese degli Yacht è sempre stata molto attenta a trovare soluzioni innovative durante tutti i momenti del processo artistico: memorabili ad esempio le copertine disponibili solamente via fax che hanno contraddistinto i loro primi anni di carriera. In ogni caso la cantante Claire Evans è da sempre esperta di pionierismo web e vanta anche diverse pubblicazioni su argomenti di avanguardia tecnologica. Inevitabile quindi l’interesse per l’applicazione musicale delle intelligenze artificiali. Per la realizzazione del disco Evans ha sviluppato un processo di composizione generato dall’apprendimento automatico. La band ha sempre avuto il pallino dell’intelligenza artificiale e la sua ricerca andava avanti da anni, ma Evans lamentava il fatto che i risultati fino al 2016 fossero scientificamente interessanti ma poco adatti alla discografia. Per realizzare il disco la band comincia dal 2016 a fare ricerche e tentativi su varie applicazioni disponibili, tra cui persino Shazam, per poi decidere di costruire il proprio sistema, una sorta di Frankenstein di funzioni delle varie app che avevano sperimentato. Dopo un lungo processo fatto di annotazioni MIDI per addestrare il sistema e generazioni automatiche di clip e brevi frammenti musicali, la Evans è giunta alla conclusione che testi, strutture e rifiniture andavano oltre le capacità della tecnologia e competevano, almeno per il momento, soltanto alla mente umana. Così la band ha rifinito il disco elaborando il materiale generato dal software. Un disco che, per la cronaca, farebbe ballare indistintamente umani e identità digitali, e che ricorda il meglio della disco anglosassone anni ’80 e ’90.

The Songularity

Botnik

2020

Botnik è il nome di un collettivo tecnologico che suggerisce un utilizzo forse più goliardico dell’IA applicata alla musica: l’album The Songularity è di fatto una raccolta di emulazioni di stili di artisti famosi generato dalla collaborazione tra umani e intelligenze artificiali. I testi, generati da algoritmi, sono stati remixati usando ballate folk scozzesi, recensioni di Amazon, sample di Strokes e Smiths e molto altro. Le reference sono immediatamente riconoscibili e l’intento è diverso rispetto a quello di altri pionieri più interessati al riscontro discografico e artistico dei loro progetti. Il metodo di Botnik si basa sul testo predittivo: l’algoritmo, in sostanza, genera nuova musica sulla base di calcoli probabilistici dipendenti dal database scelto per l’addestramento del machine learning. I Botnik erano già conosciuti in campo tecnologico perché hanno usato l’intelligenza artificiale per creare un programma con cui hanno realizzato un intero libro di Harry Potter e una sceneggiatura di Scrubs.

C

Yona

2018

Presentato nel 2019 dal Barbican di Londra in concomitanza con la mostra AI: More than Human, Yona è uno dei più importanti entertainer virtuali del mondo. Creata da Auxuman, una società che costruisce entertainer virtuali e mondi virtuali, questa AI nasce da un’idea del musicista Ash Koosha e dell’artista Isabella Winthrop, che l’hanno programmata con la capacità di creare i propri testi, accordi e melodie. In realtà, come scritto nella sua pagina Bandcamp, Yona è una cantante, cantautrice e performer virtuale che esiste attraverso la collaborazione con l’uomo. C è un disco elettronico/ambient che nasce attraverso sperimentazioni realizzate su sistemi automatizzati di testi/poesie, modelli di voci melodiche e di composizione musicale. A spiegarne la realizzazione ci ha pensato Ash Koosha: «I testi e la musica di Yona sono creati da una serie di sistemi usati dal produttore/curatore umano, ma il materiale di partenza deriva da internet. Dalla poesia agli articoli sulla vita umana, è il nostro linguaggio umano a plasmare la poetica dietro la musica di Yona».

Wind Down

James Blake

2022

Primo album costruito con un’intelligenza artificiale ad essere pubblicato da una major (in questo caso Universal) è realizzato con l’intenzione di aiutare il sonno in collaborazione con Endel, società da tempo impegnata nella cura del benessere psicofisico. James Blake e i collaboratori di Endel hanno utilizzato la tecnologia IA per produrre 15 paesaggi sonori, originariamente realizzati per essere riprodotti su un’app lanciata da Endel. Blake ha fornito i suoni, mentre l’esperienza adattiva dell’app e l’IA permettono al processo di costruire i brani. Il motore rileva quando l’ascoltatore sta iniziando a dormire e in seguito modifica i suoni gradualmente, creando i propri suoni per aiutare quelli generati da Blake a spingere l’ascoltatore in un sonno profondo. Una versione di questo lavoro, che riprende concettualmente e per tipologia le Reflection di Brian Eno, è stata fissata su album.

Riquiquí Bronze Instances

Arca

2020

Cento versioni di Riquiquí, singolo di punta di KiCk i, generate da Bronze, un software di intelligenza artificiale con cui Arca aveva già collaborato nel 2019, per un progetto che coinvolgeva anche il Museum of Modern Art di New York. La copertina stessa del pezzo è un QR Code che rimanda a un portale in grado di creare mutazioni istantanee dello stesso brano.

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