È una storia vecchia quanto la discografia: gli artisti litigano con etichette, manager, editori e questa cosa finisce nei dischi. Ci sono album pubblicati controvoglia e altri pensati come sonori vaffanculo alle case discografiche. E poi c’è la tipologia opposta, ovvero i dischi editi senza il permesso dell’artista, grazie ad accordi discutibili o a vecchi contratti. È il caso quest’ultimo di Live from Clear Channel Stripped 2008 di Taylor Swift pubblicato recentemente dalla Big Machine senza il benestare della cantante, ma in modo perfettamente legale. Taylor è in buona compagnia: ecco 10 dischi che in un modo o nell’altro portano i segni di conflitti con etichette e manager.
“Dylan” Bob Dylan (1973)
Dopo essere stato a lungo un artista dell’etichetta Columbia (tornerà ad esserlo), Bob Dylan firma con la Asylum dell’astro nascente della discografia David Geffen. Prima ancora che l’artista riesca a pubblicare con la nuova label, la Columbia dà alle stampe una debolissima raccolta di cover registrate da Dylan per lo più nel 1970. Un vero colpo basso.
“Roots” John Lennon (1975)
Presente Come Together dei Beatles? John Lennon l’aveva basata su You Can’t Catch Me di Chuck Berry. Seguì una causa. Nel 1973 fu deciso che Lennon avrebbe inciso nel suo album solista successivo alcune canzoni del catalogo della Big Seven Music di Morris Levy, detentore dei diritti del pezzo di Berry. Lennon lo fece in un album di cover intitolato Rock’n’Roll e incautamente consegnò una copia delle registrazioni a Levy prima dell’uscita. Lui le stampò in versione pirata col titolo Roots. L’album ufficiale Rock’n’Roll contenente le versioni definitive e ufficiali di quelle session venne pubblicato un mese dopo e seguì naturalmente un’altra causa.
“Metal Machine Music” Lou Reed (1975)
Questo di Lou Reed è il perfetto fuck-you-album, ovvero un disco bizzarro pubblicato per mandare affanculo la casa discografica, in questo caso la RCA, che chiedeva al musicista sempre nuovo materiale, possibilmente di successo. Metal Machine Music contiene un’ora di rumore e feedback suddivisa in quattro parti. Dai più è considerato inascoltabile, altri pensano sia un’invenzione brillante, fra noise e installazione sonora. «Se una persona qualunque fosse venuta a propormi quella merda l’avrei cacciata dall’ufficio», ha detto un dirigente della RCA. Non poteva farlo, quello era Lou Reed e valeva un sacco di soldi.
“Darkness on the Edge of Town” Bruce Springsteen (1978)
Darkness on the Edge of Town è in questa lista perché rappresenta il disco della liberazione per Bruce Springsteen. Dopo il boom di Born to Run del 1975, gli era stato infatti impedito da un giudice di registrare nuova musica per anno intero durante la disputa legale che l’aveva contrapposto al manager Mike Appel. Questa costrizione sembra generare un’energia quasi malata che si sprigiona nelle canzoni del disco.
“Trans” Neil Young (1982)
Chiuso il contratto con la Reprise, negli anni ’80 Neil Young firmò con la Geffen e pubblicò Trans. L’album spiazzò un po’ tutti per la presenza di sintetizzatori e vocoder. Era un modo, per Young, di rappresentare il tentativo di comunicare tramite la tecnologia con il figlio a cui era stata diagnosticata una paralisi cerebrale infantile. Ovviamente non era Harvest e nemmeno After the Gold Rush. Col risultato che la Geffen fece causa a Neil Young perché… non suonava come Neil Young. Davvero.
“Centerfield” John Fogerty (1985)
No, Centerfield non è stato inciso controvoglia e non è stato pubblicato senza l’autorizzazione dell’artista. Anzi, è l’album del grande ritorno di John Fogerty dei Creedence Clearwater Revival dopo 10 anni di silenzio discografico dovuto anche a una lunga contesa con la Fantasy Records. Venne lanciato dal singolo The Old Man Down the Road che ricordava una canzone di Fogerty risalente ai tempi dei Creedence, Run Through the Jungle. Con la conseguenza paradossale che la Fantasy, che possedeva i diritti del vecchio repertorio, accusò Fogerty di avere plagiato se stesso. Vinse il musicista, e il buon senso.
“Amarok” Mike Oldfield (1990)
La Virgin faceva pressione su Mike Oldfield affinché facesse un altro disco come il fortunatissimo Tubular Bells. Il musicista lamentava la mancanza di supporto dell’etichetta alle sue ultime opere. E così nel 1990 se ne uscì con un fuck-you-album intitolato Amarok, una sola traccia lunga un’ora priva di appeal commerciale. Per rendere ancora più chiare le cose, Oldfield incluse il messaggio in codice morse “Fuck you RB”, dove RB stava per Richard Branson, il fondatore della Virgin.
“The Chronic” Dr. Dre (1992)
Quando venne pubblicato The Chronic non esisteva iTunes, né tanto meno Spotify. In seguito, Dr. Dre ha fatto causa all’etichetta Death Row per averlo pubblicato in digitale senza avere il diritto di farlo. Nel 2015 un tribunale gli ha dato ragione riconoscendogli i diritti digitali sul disco che è finito di recente su tutte le piattaforme.
“Chaos and Disorder” Prince (1996)
È l’ultimo album di Prince per la Warner, con la quale il musicista ingaggiò una lunga lotta. Anzi, sulla copertina non compare neanche il nome di Prince, ma il simbolo che in quel periodo lo sostituiva. Il musicista confezionò il disco in 10 giorni per chiudere il contratto che prevedeva 5 album a fronte di un anticipo di 100 milioni di dollari (sì, altri tempi, altri artisti). Si rifiutò di fare promozione. Oggi Chaos and Disorder è una delle sue opere meno note e oggettivamente minori. Quattro mesi dopo, Prince pubblicò per la sia etichetta NPG, via EMI, un triplo intitolato significativamente Emancipation.
“Live from Clear Channel Stripped 2008” Taylor Swift (2020)
A causa di un vecchio contratto, Taylor Swift non possiede le registrazioni del repertorio che ha registrato fra il 2006 e il 2017, e difatti sta pensando di ri-registrare quei pezzi per entrarne in possesso. Nel frattempo la sua ex etichetta Big Machine ha pubblicato un live del 2008. «Un altro caso di avidità in tempi di coronavirus», ha commentato la cantante che è diventata il simbolo della lotta dei musicisti per la proprietà delle loro opere.