Che viaggio le copertine di Francesco Messina per Franco Battiato | Rolling Stone Italia
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Che viaggio le copertine di Francesco Messina per Franco Battiato

Il collage del 'Cinghiale bianco', la posa combat-zen di 'Patriots', le palme della 'Voce del padrone', la finestra su Saturno di 'Mondi lontanissimi': cinque decenni di arte grafica al servizio della musica

Che viaggio le copertine di Francesco Messina per Franco Battiato

Foto: Lelli e Masotti Archivio

Quest’anno cade il quarantennale dell’uscita del bestseller di Franco Battiato La voce del padrone, che per l’occasione, oltre ad essere rimasterizzato dai nastri analogici, è stato ripubblicato con una versione riveduta della celebre cover art. Ecco, riguardo La voce del padrone non si dice mai abbastanza della sua copertina: opera di Francesco Messina, che oltre ad essere un grande musicista (ricordiamo il capolavoro proto vapor Medio Occidente) è da sempre braccio destro di Battiato nel concretizzare visivamente la sua musica, forte anche della sua esperienza come rinomato art director.

Se non si giudica un libro dalla copertina, è però vero che senza di essa un libro non è tale: e nel caso dei dischi, senza immagine non possiamo essere indotti a sognare sul tappeto della musica. Di questa disciplina Francesco Messina è un vero fuoriclasse. Passiamo quindi in rassegna dieci delle sue migliori copertine create per Battiato, per capire come sono nate e come sono entrate nell’inconscio collettivo del pop italiano tutto.

1M.elle le «Gladiator» (1975)

La prima prova è minimale: l’acquerello di un samurai in primo piano, un titolo pennellato a mo’ di logo, il Gill Sans come carattere per andare sul sicuro e un semplice bianco e nero per un disco “concreto” fatto di taglia e cuci, organi liturgici distopici e frammenti di Kosmische Musik, uno dei migliori dischi di Battiato del periodo “ostico”. Ispirata da una fotografia di una rivista, elaborata da Flavia (una sua collega di studio) e suggerita dallo stesso Battiato, sarà ricordata da Messina come un paradosso: «Avevo aspettato una vita per fare una vera copertina per Battiato e quando arrivò l’occasione risultò che non c’era quasi nulla da fare». Prima di allora, Messina aveva collaborato con Battiato curando i manifesti di Baby Sitter, uno spettacolo teatrale del 1977 scritto proprio da Franco. Nonostante per Messina la cover sia un fiasco, c’è del cageano in quell’equilibrio di vuoti e soprattutto il potere di fermare con pochi elementi decisi lo spirito di un intero album. Cosa che in seguito sarà più evidente.

2L’era del cinghiale bianco (1979)

Il lavoro di Messina con il Battiato avant pop che tutti conosciamo inizia però con l’imprescindibile L’era del cinghiale bianco. Già dal titolo si flirta con l’esoterismo di René Guénon (il cinghiale come simbolo di una nuova era spirituale) e il grafico si mette a leggerne l’opera omnia per carpirne i simboli essenziali. Dopodiché seleziona accuratamente piccole illustrazioni tratte dalla biblioteca di un migliaio di volumi del proprio studio (il Polystudio) in modo da creare un collage in cui tutti gli elementi, ritoccati e ricostruiti, vadano a formare un capolavoro di grafica analogica composta per rimanere nel tempo come un libro sacro, pieno di iconografie tratte dai testi dell’LP. Tavola dapprincipio in bianco e nero, viene poi colorata ad aerografo e inchiostri all’anilina, ispirandosi al grande illustratore giapponese Tadanori Yokoo (in particolare alla sua Divina commedia).

3Patriots (1980)

L’era del cinghiale bianco è anche il primo LP in cui Messina, invitato da Battiato, scrive le ironiche note di copertina, cosa che continuerà anche nel successivo Patriots, come “appendice” alle illustrazioni. I fan pensano sia Franco stesso sotto nick a scrivere quelle righe taglienti: in effetti Messina è coinvolto anche nella stesura dei testi della Battiato Factory, diventando quasi il suo doppio. La copertina mostra un Battiato nella sua prima immagine-icona: chitarra al collo e braccia conserte tra il combat e lo zen, una pennellata col titolo dell’LP che sembra quasi una tag, e a destra due mini Giusto Pio e Battiato, seduti scamiciati uno con in mano una macchina da scrivere e uno il synth EMS. A quel tempo Messina cercava una via personale per rimarcare l’appartenenza dei soggetti all’ambiente in cui credeva giusto doverli inserire. Ed ecco un profondo sud (palma e mare inclusi più cammello nel retro) acido, quasi warholiano che interpreta il dissenso del Battiato-pensiero dell’epoca.

4La voce del padrone (1981)

Patriots era d’impatto già dal lettering (rubato tra l’altro anche dai Phoenix a mo’ di omaggio), ma è con La voce del padrone che si forgia l’immagine del Battiato che conosciamo. Una foto di Roberto Masotti trattata stile xerox di un Franco con sandali occhiali da sole e codino che levita tra le solite palme, una mappa della via lattea brutalmente applicata tipo adesivo e una cornice blu scuro con saette colorate tipo collage di Tamburini. Paradosso, la copertina non convince nessuno all’epoca, neanche Battiato, ma il grafico combatte. Va in stampa solo per una questione di fretta: Franco e Messina partono per un viaggio importante proprio il giorno della consegna. Battiato ha un’intuizione: «se mi assicuri che sei veramente convinto, faccio come dici tu». Risultato: è la copertina più ricordata del Maestro. Ancora oggi Messina non sa se per il successo del contenuto o meno: rimane comunque un ritorno a quei “sani” dubbi di M.elle le «Gladiator».

5L’arca di Noè (1982)

La fretta permea anche il successivo LP di Battiato. Stavolta è la EMI a premere per un nuovo album sfruttando la fama improvvisa. Risultato: L’arca di Noè è un disco commerciale nella forma, ma ostico nella sostanza. Tra le tante innovazioni, i primi campionamenti. Messina applica questa tecnica alla copertina, modificando una stampa del monte Ararat comprata molti anni prima in Grecia. Al momento dell’acquisto il nostro si chiede perché diamine la stia predendo: la risposta, nell’Illusoria Casualità del Tutto, sta nel fatto che l’arca di Noè avrebbe attraccato proprio su quel monte. Messina ha sempre preferito la prima versione della cover: un contrasto tra elementi diurni e notturni fusi assieme, mentre la EMI lo costrinse a modificarla poiché troppo National Geographic. Nonostante ciò, gli ideogrammi alieni aggiunti e il lettering simil “persiano” sono affascinanti enigmi ancora da decifrare. Un po’ come il “pittorico” contenuto.

6Orizzonti perduti (1983)

Battiato nell’83 incide questo minimalissimo e sintetico album dai testi urbano-intimisti. Messina interpreta il tutto stampando un sandwich di due polaroid a ritrarre Battiato nell’atto di riflettere su un divano d’epoca con una misteriosa sfera bianca accanto. Completano questa idea di “metafisica del quotidiano” una sovrapposizione di cieli e una decorazione che sembra quasi richiamare dei funghi “alieni”, simbolo dell’autunno, del tempo che passa inesorabile e che non va mai rimpianto. Messina si pentì di questa aggiunta e del lettering, traviato dagli anni ’80 schiavi del pop massimalista. Soffre ancora il fatto di aver sbagliato, dichiarando che «le mode passano, lo stile resta». In quanto a stile, la copertina di Orizzonti perduti regala una definizione “emotiva” probabilmente ineguagliabile nemmeno col moderno Photoshop. Nel retro, una città illuminata ritagliata come un astronave, prologo all’album che sarà a tutti gli effetti il suo sequel.

7Mondi lontanissimi (1985)

L’apparente normalità dell’esistenza è il tema della copertina di questo disco, proiettato verso lo spazio e quindi anche al nostro essere sulla Terra in quanto anch’essa nello spazio. Messina per dare l’idea dello «straordinario nascosto nell’ordinario» si ricorda delle pubblicità per Il Giorno a cura di Savignac, con l’omino in pigiama che apre la finestra. Franco diventa l’omino di spalle in uno scatto veloce, e fuori si vede Saturno, un pianeta riconoscibilissimo, che appare nel buio. Per rendere il tutto credibile, non avendo ancora a disposizione metodi digitali, su un costosissimo materiale di retroproiezione Messina sovrappone con due proiettori l’immagine di saturno e del cielo “marziano” fotografando con lunghi tempi di esposizione: in pratica ottiene un vecchio, suggestivo, fondale cinematografico. Primo caso in cui la copertina arriva pronta alla velocità della luce quasi in contemporanea al disco: una sorpresa per Battiato.

8Fisiognomica (1988)

Dallo spazio di fuori si passa a quello interiore, dell’uomo e delle sue modifiche nel tempo, anche somatiche, cambiamenti che seguono quelli delle stelle. Basandosi su La fisiognomica di Lavater, Messina sceglie una foto di Franco da piccolo che indica mutamento: il naso non è quello importante che conosciamo procuratosi dopo una botta contro un palo della porta mentre giocava a calcio in gioventù. Messina accentua il colore caldo e antico della foto d’epoca sovrapponendogli una mappa della galassia, ispirandosi alle tonalità di alcune copertine dei Kraftwerk. Semplice ed efficace, come anche la foto interna di B. Mandarini, scovata in un volume del Touring Club, la quale illustra un uomo e un cane nell’Italia rurale tra Ottocento e Novecento quasi come si scambiassero l’anima. Inizialmente pensata come copertina alternativa, qui è il simbolo del brano Nomadi, scritto dall’amico Yuri Camisasca.

9Il vuoto (2007)

Mentre la copertina di Dieci stratagemmi, che anticipa questo lavoro, fu di difficile realizzazione a causa di un veto della casa discografica (l’utilizzo di carta vetrata non fu accettato e fu tutto un gioco al ribasso per abbattere i costi), la cover de Il vuoto torna alla semplicità. E anche all’idea di vita come grande film illusorio, con sagome di edifici prese da ricostruzioni del vecchio West in film di serie B. In questo caso, sembra anche la traduzione del nulla dell’era digitale, delle eterne incompiute in AutoCAD, oppure sfondamenti di grafica nei trick dei videogiochi. Ad ogni modo un senso di horror vacui sorge dalla copertina. Una versione alternativa era basata su una foto di Messina scattata al Parco del Castello di Miramare a Trieste, nella quale sembra che una massa di persone si dirigano docilmente verso il nulla. A Messina sembrava una citazione di Incontri ravvicinati del terzo tipo, a tutti gli altri qualcosa di decisamente lugubre, quindi fu scartata. Inutile dire che per Messina sarebbe stata molto meglio della definitiva.

10Apriti Sesamo (2012)

Il vuoto inaugura le fondamentali intuizioni di Messina con sulle future scene elettroniche vapor e HD dei 2000, che musicalmente Battiato aveva anticipato nelle sue opere classiche (soprattutto in Campi magnetici e Benvenuto Cellini). Ma è solo in Apriti Sesamo che il nostro fa una sintesi del periodo storico con una perfetta cover glo fi: del titolo interpreta il concetto di passaggio dalla vita alla morte, quindi dal fenomenico all’assoluto, blurrando una foto di un cielo nuvoloso in un tramonto particolarmente cromatico. Messina si ispira al Libro tibetano del vivere e del morire di Rinpoche: a un certo punto del Grande Passaggio lo spazio viene percepito come luce azzurra, l’acqua luce bianca, la terra luce gialla, il fuoco luce rossa e l’aria verde. Alla semplicità di questa trasfigurazione tra finito e infinito fa contrappunto la complessità di quello che, a tutt’ oggi, è il testamento musicale di Battiato (e soprattutto di Sgalambro, che verrà poi a mancare). Pura magia.

«A volte anche le copertine (il vestito della musica, come diceva Peter Saville) è necessario che si adeguino, o meglio tentino di dare, almeno ogni tanto, lettura esplicita anche agli aspetti più nascosti». Questo dice Messina nel suo ottimo libro/semiautobiografia Ogni tanto passava una nave, compendio della sua opera di grafico e musicista, non solo per Battiato (ricordiamo i suoi lavori per Finardi, Alice, Fabio Concato). Per il Maestro firmerà altre copertine di successo come la serie di Fleurs e l’ultimo Torneremo ancora. Noi ovviamente tifiamo che i due ritornino ancora sul serio, per insegnare a noi poveri mortali l’immagine nella musica e viceversa. Ovvero: “com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire”.

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