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Che cosa significa organizzare un festival estivo nel 2021?

Abbiamo girato la domanda ai tipi dell'Ortigia Sound System. In breve: non è facile. E bisogna volerlo fortemente, perché oggi mettere in piedi un festival è anche una dichiarazione politica

Foto: Stefano Mattea

Le esperienze musicali più intense sono spesso quelle legate ai festival estivi. Non solo l’emozione del concerto e della performance, ma per l’esperienza orizzontale in cui si fugge dal lavoro, dallo studio, dalle responsabilità e dallo stress per abbandonarsi in un piccolo e fugace luogo magico. A volte ridisegnando le grandi città, a volte valorizzando i piccoli borghi, i bei festival estivi hanno la capacità di catapultarci in una nuova e più sana realtà.

Nella piccola isola di Ortigia, la parte più antica della città di Siracusa, questo accade da sette anni, ovvero da quando alcune persone si sono unite per tirar su uno dei festival più interessanti e affascinanti (per location, accomodation e scelte artistiche) d’Italia, l’Ortigia Sound System. Nel 2020, però, come molti eventi estivi, il festival si è fermato per ritornare con la nuova edizione questo 28 luglio, con tutte le problematiche del caso da affrontare e superare.

Ma come si resiste? Come si riparte? Come si mantiene la qualità nonostante le economie ridotte? Ne abbiamo parlato con Enrico Gambadoro e Marco Antonio Zuccarello, rispettivamente direttore creativo e organizzatore dell’OSS, definendo cinque punti critici e un messaggio di ripartenza.

Superare la confusione

«Ancora oggi, in realtà, ripartire è un punto interrogativo. C’è molta confusione nella comunicazione del governo su quale tipologia di eventi si potrà tenere. Noi ci dovremmo quindi attenere alle normative attuali, ovvero un festival che preveda posti a sedere, capienze limitate, distanziamento, igienizzazione, rilevamento temperature e tutte quelle procedure che abbiamo imparato a conoscere nell’ultimo anno e mezzo. Questo comporta, tra l’altro, l’esigenza di assumere due responsabili per il piano Covid per la preparazione e il rispetto dei protocolli vigenti, figure professionali finora mai ipotizzate».

Contare (ma non troppo) sugli aiuti

«Sono arrivati alcuni aiuti, risicati. Il MIBAC (Ministero per i Beni e le Attività Culturali) ha elargito fondi facendo riferimento ai mancanti sbigliettamenti causati dalla pandemia, ovvero in relazione a quanti biglietti sono stati di norma venduti nelle edizioni precedenti. La Regione Sicilia invece ha disposto un bando che non è ancora stato ufficializzato, i fondi sono quindi momentaneamente bloccati. Si poteva fare di più, sicuramente. Sarebbero serviti degli aiuti anche per quest’estate dove i festival si faranno, ma con regole ferree sulle capienze. Sarebbe servito un programma diverso, come accaduto all’estero, ad esempio in Francia e Inghilterra, dove i sostegni sono stati elargiti a cadenza mensile e non una tantum».

Fare i conti con le capienze ridotte

«Le capienze ridotte sono un danno, in particolare per festival delle nostre dimensioni. Noi, ad esempio, siamo passati da 3000 a 1000 posti e questo è un problema per introiti e business plan. Oltretutto in questi 1000 posti bisogna considerare anche chi ha deciso di rinnovare il biglietto della scorsa edizione che non si è tenuta. Questo limita le vendite e crea liste d’attesa».

Ridimensionarsi, per forza

«Con un terzo della capienza possibile, il festival si è dovuto dimezzare nella sua entità economica. Abbiamo dovuto optare per una produzione low profile, non nella qualità del lavoro, ma in certi specifici dettagli che quest’anno non erano sostenibili. Non c’era la possibilità di fare certe spese. Abbiamo dovuto quindi evitare eventi come i nostri celebri boat party, nonché quelle location che non erano sostenibili per capienza e per la normativa che vieta al pubblico la possibilità di ballare. Un altro ridimensionamento ha coinvolto la line-up del festival, quest’anno strutturata su un programma meno folto. C’è stato un controllo maggiore sulle economie perché siamo in presenza di un limite: se negli anni precedenti gli investimenti potevano essere dei rischi di impresa, vista la maggior capienza, questa volta abbiamo dovuto essere super oculati in investimenti e produzione».

Cercare una line-up convincente

«Con pochi artisti del panorama italiano che rientrano in certi canoni, con i posti a sedere e con il budget limitato, trovare il punto d’incontro giusto senza snaturare il festival è stato complesso. Si sono dovuti fare dei compromessi. Ortigia non è uno spazio dove fare cose troppo sperimentali, ma un luogo in cui si cerca di costruire una line-up solare adatta a un festival estivo in una certa location. Abbiamo puntato quindi su artisti italiani ricercati (Venerus, Il Quadro di Troisi, Gigi Masin) che parlano un linguaggio internazionale. Il compromesso è stato trovare qualcosa di italiano che risuonasse anche con l’ambiente circostante. Abbiamo fatto di necessità virtù, non è stato per nulla facile. Abbiamo però voluto che tutti suonassero full band, al completo, così da garantire il miglior live possibile al pubblico e diversificare da altri festival che hanno preferito live acustici. Oltretutto nella nostra line-up – sempre per le normative citate – abbiamo dovuto escludere i dj: mettere un dj di fronte alla gente seduta è a nostro avviso una delle cose più tristi che si possa fare quest’anno. I cachet degli artisti non sono stati ridimensionati, se non con un lievissimo ribasso».

Concepire il festival come dichiarazione politica

«Organizzare un festival estivo nel 2021 in Italia è una dichiarazione politica ed emotiva che può innescare fiducia nei confronti dell’industria culturale e d’intrattenimento. Dalla pandemia abbiamo imparato che un festival deve essere dinamico, aperto al cambiamento, capace di trovare nuove soluzioni soprattutto offline, sfruttando social e piani editoriali; chi non è stato in grado di cambiare il modo di pensare il proprio festival, difatti, quest’anno non è presente in calendario. La dinamicità inciderà sul futuro e sulla futurabilità dei festival estivi da qui ai prossimi anni. Fare questo festival in presenza per noi è quindi un messaggio di ripartenza: non possiamo più stare fermi. I festival (la musica, i concerti, il condividere un’esperienza) fanno parte del nostro benessere psicologico, una medicina contro la frenesia del quotidiano».

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