Charlie Watts spiegato da Questlove: «Era l’anti-batterista» | Rolling Stone Italia
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Charlie Watts spiegato da Questlove: «Era l’anti-batterista»

Il leader dei Roots spiega la grandezza del musicista degli Stones. «Solo i veri batteristi sanno che era lui il più grande metronomo al mondo. La sua tecnica 'less-is-more' era geniale»

Charlie Watts spiegato da Questlove: «Era l’anti-batterista»

Questlove e Charlie Watts, più simili di quanto pensate

Foto: ason Mendez/Invision/AP; Chris Tuite/imageSPACE/MediaPunch/IPX/AP

Charlie Watts sapeva alla perfezione che cosa ci si aspetta da una canzone dei Rolling Stones. Non parlo dei superclassici, ma dei pezzi che non sono stati celebrati a sufficienza, tipo Almost Hear You Sigh o la cover di Harlem Shuffle. È vecchio il dibattito su quale sia la fase migliore degli Stones. Per me, Watts è sempre stato un batterista solido. Era l’anti-batterista. Non era uno che dava a vedere quel che faceva. Costruiva le fondamenta.

Ci unisce la reputazione di persone imperturbabili – avete presente, no, la faccia seria che aveva quando suonava? Io sono venuto al mondo in un periodo in cui la tentazione di esibire i propri talenti era massima e per un batterista non è facile cercare di non strafare, di non attirare l’attenzione, di lavorare per il gruppo. Nei primi cinque o sei anni coi Roots per rigare dritto, specialmente in un genere che fa dell’appariscenza una regola, ho sempre tenuto bene in testa la lezione di Watts, uno che è diventato una leggenda non grazie ai musicisti con cui suonava, ma per la capacità di porre le basi di un pezzo.

Mettere giù una base solida è più importante della grandezza del tuo drum kit o della velocità o del volume a cui suoni. Solo i veri batteristi conoscono il valore di Charlie Watts e sanno che era lui il più grande il metronomo al mondo. Il suo stile è stato il mio punto di riferimento coi Roots. Meno faceva, più grande era.

Per qualche motivo, ho cominciato ad amare gli Stones dai dischi “sbagliati”. Quando sono entrato nei mie trent’anni di vita, attorno al ’98/99, ho scoperto grazie alle ristampe la magia di Can’t You Hear Me Knocking e di Exile on Main St., o il suo lavoro su I Just Want to See His Face o nel blues Shake Your Hips. L’ho studiato un sacco.

Don Was mi ha raccontato una storia a cui ancora mi rifiuto di credere. Ha voluto a tutti i costi far sentire The Seed dei Roots ai Rolling Stones per far loro capire come dovevano suonare. Credo stessero lavorando a A Bigger Bang. Non ci credevo. E invece mi ha detto che gliel’ha fatta sentire più volte.

Quando registrai quel pezzo per l’album Phrenology volevo un suono di batteria bello grezzo. Mi ero perciò messo in testa di suonare come un me stesso più giovane, con 10 anni in meno di esperienza. Mi sono ispirati al Charlie Watts di Sticky Fingers e di Exile, a quello stile molto libero. Ricordo di avere ascoltato di brutto Exile on Main St. cercando di catturarne lo spirito prima di registrare The Seed.

Quando cerca d’avvicinarsi al rock, la prima cosa che viene in mente a chi fa hip hop sono i riff di Smoke on the Water o Iron Man o Smells Like Teen Spirit. La loro idea di rock è la roba che farebbe muovere le teste di Beavis e Butt-Head. A me invece interessava Exile on Main St.

The Roots - The Seed (2.0) (320kbps) (feat. Cody ChesnuTT)

Il marchio di fabbrica di Charlie era questo: non suonava mai il charleston mentre suonava il rullante, il che è inusuale perché è i batteristi sono tipo programmati per suonare tutto quando contemporaneamente. Mai visto un batterista suonare come lui. Ascoltate il finale di Start Me Up, quando si lascia andare.

I dilettanti o i neofiti pensano che meno suonano e più si sentiranno le loro manchevolezze. Non era certo il caso di Charlie Watts. Prendete Brown Sugar: è un bell’esempio di come concentrandosi sulla grancassa e il rullante e non sul charleston si rende il pezzo più forte, e lo stesso vale per la cassa in quattro – o forse in questo caso dovremmo dire cassa in otto – di Satisfaction. Meno faceva e più era pesante.

Ho incontrato tutti i membri degli Stones tranne Charlie. Li ho visti due volte in concerto: lo show “teatrale” del 2002 che era piccolo rispetto all’altro, Voodoo Lounge allo stadio. Me ne sono andato pensando: wow, chissà se suonerò in modo altrettanto potente quando avrò 70 anni.

Gli Stones sono andati avanti per decenni. Sono sicuro che la loro amicizia sia durata più di qualunque relazione sentimentale abbiano avuto in vita loro, il che la dice lunga sul valore del loro lascito. Ne conosco di band che si sono sfilacciate, che hanno finito le idee, che hanno dovuto smettere. La tenacia degli Stones e la loro voglia di andare sempre, sempre avanti è ammirevole.

Fuori dagli Stones, Charlie era anche un bravo batterista jazz e lo dico perché per me la creatività è trasferibile. Charlie sapeva qual era il suo compito quando tornava a suonare coi Rolling Stones. Ecco perché era un genio. Fidatevi, non c’è cosa più geniale del less-is-more.

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.