Biglietti per i concerti di Springsteen a 4000 dollari: è il dynamic pricing, bellezza | Rolling Stone Italia
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Biglietti per i concerti di Springsteen a 4000 dollari: è il dynamic pricing, bellezza

I fan sono incazzati, Bruce per ora tace, Stevie Van Zandt scrive che «non ho nulla a che fare coi prezzi», Ticketmaster incassa: ecco che cosa sta succedendo con i Platinum Seats

Biglietti per i concerti di Springsteen a 4000 dollari: è il dynamic pricing, bellezza

Bruce Springsteen

Foto: Danny Clinch

Biglietti per vedere Bruce Springsteen a oltre 4000 dollari. Non è il mercato secondario dove si specula sulla rivendita dei tagliandi per i concerti. È il tetto toccato dai prezzi “ufficiali” dei Platinum Seats per vedere Springsteen nelle arene americane nel 2023. I fan sono incazzati, Stevie Van Zandt scrive che «non ho nulla a che fare coi prezzi», Ticketmaster incassa, Springsteen per ora tace.

È l’effetto dell’introduzione del dynamic pricing, un metodo per cambiare il prezzo dei biglietti in ragione della domanda. Negli Stati Uniti è stato adottato almeno fin dal 2018 da Ticketmaster per alcune categorie di biglietti e in alcuni tour selezionati, ma molti fan se ne stanno rendendo conto solo ora.

Il meccanismo è simile a quello che determina i pezzi delle stanze d’hotel o dei viaggi aerei, dove due persone che fanno la stessa tratta nella stessa tipologia di classe possono aver pagato cifre diversissime. Al posto di determinare una volta per tutte il prezzo del biglietto, fissandolo a quello che presumibilmente è l’incrocio fra domanda e offerta, Ticketmaster lo fa variare (non è dato sapere se in modo periodico o in tempo reale, le due possibilità offerte dal dynamic pricing) in base alla richiesta: più gente cerca su Internet i biglietti, più alto sarà il prezzo, che può anche raggiungere le cifre richieste nel mercato secondario.

Nel caso di Springsteen e Ticketmaster, il meccanismo è applicato ai cosiddetti Platinum Seats. A dispetto del nome, che fa pensare a posti a sedere in posizioni privilegiate, non è detto che si trovino nelle prime file, possono essere piazzati ovunque nelle arene, dipende dai concerti (ovviamente la posizione è nota all’acquirente).

Tra i primi a lamentarsi dei prezzi di Springsteen sono stati quelli della storica fanzine Backstreets: «Interessano posti a metà sala per Tampa a 4400 dollari?», ha scritto la testata in un tweet amaramente ironico. Altri hanno scherzato: «Posso pagare due rate del mutuo oppure comprare un biglietto per Tampa».

La quotazione continua dei prezzi è una strategia che viene determinata da chi si occupa del ticketing, ma che viene avvallata dagli artisti e dai loro rappresentanti, a volte all’interno di accordi che prevedono legami di esclusiva fra promoter e piattaforme. È quindi ragionevole pensare che Springsteen, che ancora non si è espresso sulla faccenda, ne sia al corrente. Non sono pratiche che possono avvenire alle sue spalle.

Qualcuno ha chiesto un parere a Stevie Van Zandt, chitarrista della E Street Band e soprattutto membro del giro di Springsteen più attivo sui social e disposto a rispondere ai fan. Il musicista ha scritto che «non ho nulla, ma proprio nulla a che fare col prezzo dei biglietti. Nothing. Nada. Niente. Bubkis. Dick».

Lo scopo del dynamic pricing, si legge nella pagina di Ticketmaster dedicata agli Official Platinum Seats, «è offrire ai fan più appassionati un accesso equo e sicuro ai biglietti migliori, consentendo agli artisti e ad altri soggetti coinvolti nell’organizzazione di eventi dal vivo di fissare un prezzo più vicino al loro reale valore di mercato».

Dal punto di vista del rivenditore di biglietti, il dynamic pricing è un modo escludere chi specula nel mercato secondario. Col risultato che, almeno per certi concerti, chi vende i biglietti trattiene l’incasso extra che una volta restava nelle mani degli odiati bagarini. Come ha detto qualche anno fa Don McGhee, manager dei Kiss, «se c’è qualcuno che è disposto a pagare 500 dollari un biglietto che ne vale 150, quei soldi dovrebbero andare alla band».

Non è la prima volta che il dynamic pricing porta a impennate dei prezzi dei concerti negli Stati Uniti. È successo ad esempio per Paul McCartney, Harry Styles e, in genere, per artisti richiestissimi dal pubblico la cui offerta, misurata in numero di posti disponibili nei palasport, è largamente inferiore alla domanda. Il caso più noto è quello del tour di Reputation di Taylor Swift di quattro anni fa, i cui prezzi si impennarono per via del dynamic pricing, con la vendita data in esclusiva a Ticketmaster. I prezzi raggiunti all’epoca, si parla di meno di 1000 dollari, sono largamente inferiori rispetto a quelli odierni di Springsteen.

Il dynamic pricing riguarda solo alcuni eventi e solo una parte dei biglietti messi in vendita. E naturalmente, oltre a salire il prezzo può anche scendere, trasformando l’acquisto del biglietto di un concerto in un’esperienza che ricorda quella della compravendita delle azioni, con effetti esasperanti per molti. Un altro effetto del dynamic pricing è il differimento dei sold out che di solito si registrano per artisti come Springsteen o Swift poco dopo l’apertura della vendita online. Come ha detto tempo fa Gary Bongiovanni della testata Pollstar, «il nuovo mantra dell’industria è questo: se fai subito un sold out vuol dire che hai tenuto i prezzi troppo bassi».

Dal punto di vista delle regole del mercato, uno dei punti della questione ha a che fare con la domanda. «Potete essere confusi e arrabbiati con Ticketmaster, il mercato secondario, Bruce, il capitalismo, lo stato del pianeta e con qualunque altra cosa», ha twittato l’account Bruce Funds gestito da Donna Gray, che tempo fa Variety definì «la santa patrona dei fan di Springsteen» e che ha postato l’immagine di un biglietto per Tampa del valore di oltre 4300 dollari. «Ma è la persona disposta a pagare questa cifra a rendere tutto ciò possibile. Non comprate e non vedrete più certi prezzi».

C’è naturalmente un aspetto diciamo così etico o più banalmente sentimentale che non va sottovalutato, specie quando si parla di artisti come Bruce Springsteen amati non solo per la loro musica, ma anche per le loro “politiche” e per ciò che rappresentano. La determinazione del prezzo secondo pure regole di mercato aliena chi considera la musica non solo un bene, ma qualcosa di più, una parte non secondaria della propria formazione culturale.

Anche senza dynamic pricing, i prezzi dei biglietti hanno subito negli ultimi anni un’impennata totalmente scollegata dall’inflazione. Né aiuta il fatto che sia coinvolta Ticketmaster, società che domina il mercato globale del ticketing e che dai tempi dei Pearl Jam è il villain per eccellenza per i musicisti che vogliono gestire la propria attività adottando pratiche rispettose del pubblico. Aggrava le cose il fatto che molti fan di Springsteen hanno cominciato a vedere concerti in un mondo pre digitale. Alcuni fra i più irritati dalle nuove pratiche sono loro, cresciuti in un’epoca in cui potevi andare a comprare in un negozio un biglietto per un concerto richiestissimo del tuo gruppo preferito per l’equivalente di una ventina di euro e farlo settimane dopo l’inizio delle vendite. È un mondo che non tornerà più. In quello di oggi, paradossalmente, più i prezzi dei concerti si alzano, più la musica sembra perdere valore.

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