Laila Al Habash: «Nella musica c’è bisogno di femminismo ma non di “artiste donne”» | Rolling Stone Italia
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Laila Al Habash: «Nella musica c’è bisogno di femminismo ma non di “artiste donne”»

Arrivata al terzo singolo per Bomba Dischi, la cantautrice italo-palestinese si conferma uno dei nomi da tenere d'occhio, e il nuovo video di ‘Bluetooth’ è solo un assaggio

Non fatevi ingannare dall’età, Laila Al Habash è una da tenere d’occhio da vicino e le premesse ci sono tutte. Nuovo acquisto di Bomba Dischi, la cantautrice ventenne italo-palestinese ha pubblicato due singoli – Come quella volta e Zattera – con cui è già andata a segno, vuoi per lo stile sonoro e autorale con cui ritrae appieno il mondo che la circonda, vuoi per una freschezza inedita e una voce che segna un distacco in un mondo, quello della scena musicale italiana, ancora troppo maschile. Oggi presentiamo in anteprima il suo nuovo video Bluetooth e abbiamo colto al volo l’occasione per conoscerla meglio.

Laila, sei arrivata al terzo singolo, come ti presenti a chi ancora non ti conosce?
Una ragazza di 20 anni che fa musica.

Prima l’ironia di Come quella volta, poi l’intimità di Zattera, qual è invece il colore di Bluetooth?
È un brano frizzante, che ti fa ballare un po’, ma allo stesso tempo racconta di un sentimento di nostalgia o malinconia che si accende nel vedere un’impronta banale quanto quotidiana lasciata da una persona che è andata via dalla tua vita – il telefono abbinato nel bluetooth della macchina, appunto.

Ogni brano uscito finora sembra prendere direzioni e stili sonori diversi tra loro, è voluto?
Sì, come ogni persona ho tante sfaccettature, quindi ho scelto di pubblicare questi perché, anche se in modo eclettico, danno una visione generale del mio progetto. Ho scritto tanti brani che seguono la scia di Zattera, altri che invece sono più spensierati, altri ancora che prendono una piega totalmente diversa e non parlano d’amore… Non vedo l’ora di pubblicare tutto, ma intanto questi tre singoli sono un assaggio di una visione più ampia che arriverà tra molto poco.

Nei tuoi brani canti sempre in prima persona. Racconti episodi della tua vita personale?
È la cosa che da sempre mi viene più naturale fare, vedo quello che mi succede e a volte le canzoni escono fuori da sole come un gran pianto liberatorio. Anche se ultimamente sto scrivendo cose che prescindono un po’ dalla mia presenza narrativa. Credo che anche questo evolva col tempo. Le mie prime canzoni le ho scritte a 13 anni, adesso ne ho 20, gli argomenti cambiano per forza.

Laila Al Habash

L’immaginario della tua vita quotidiana a Roma è sempre presente, mai invece il tuo lato palestinese. Lo senti lontano?
Dalle canzoni che ho pubblicato in realtà non emerge molto il fatto che vivo a Roma, magari il mio accento sì, quello emerge! Roma la vivo, la adoro e la detesto, ma alla fine sono nata e cresciuta in provincia, e come gran parte di quelli nati qui penso e spero che presto la lascerò. Essere 50% italiana e 50% araba è una cosa di cui vado molto fiera, conosco perfettamente due culture pazzesche ed essere cresciuta in questa dualità mi ha reso molto più aperta mentalmente di tanta gente che conosco. Poi la musica araba è clamorosa, non c’è trap o raggaeton che tenga, la dabke ha il ritmo più coinvolgente del mondo secondo me. Ultimamente il lato palestinese sta uscendo fuori in quello che scrivo, ne parlavo recentemente con Stabber, il mio producer. Poi vedere tanti artisti italo arabi come me mi fa sentire davvero felice e a casa. Penso a Chadia Rodriguez, Mahmood, Ghali… spaccano tutti.

In passato hai raccontato anche delle tue posizioni femministe. Credi ci sia bisogno di un po’ di femminismo nella musica italiana?
Decisamente. C’è gente che mi chiede sbalordita se scrivo e suono davvero io le canzoni o a chi ho chiesto favori per entrare tra gli artisti di Bomba (a nessuno, surprise bitch). E mi riesce difficile pensare che le stesse domande vengano rivolte a un ragazzo. Parlando anche con altre musiciste è emerso da tutte il fatto che inevitabilmente veniamo percepite diversamente, vuoi o non vuoi c’è sempre la tendenza a sessualizzarti subito, a credere che tu non sia competente, che sei arrivata dove sei per tante ragioni tranne che per il tuo valore. Io studio musica da quando ho 3 anni e mezzo, siamo tutti musicisti, siamo tutti validi, donne o uomini poco dovrebbe importare. E per capire questo c’è bisogno di più femminismo.

Tuttavia negli ultimi anni tante artiste donne sono esplose. Credi sia un cambiamento rispetto al passato?
Certo. Ci sono state delle “pioniere” che hanno fatto il lavoro sporco e hanno spianato un po’ la strada a chi, come me, arriva ora in questo campo. Oggi l’unico modo per normalizzare questa cosa, e fare in modo che non si parli più di “artiste donne” e “musica al femminile” come fosse una nicchia ristretta e recintata, è fare in modo che ci siano sempre più ragazze a buttarsi nella musica. Più siamo meglio sarà per tutte.

Ho letto che uno dei tuoi modelli di riferimento è Raffaella Carrà. Non si direbbe, come mai?
Al MI AMI ho incontrato Margherita Vicario che appena mi ha vista mi ha detto: “ci credo che stai in fissa con la Carrà, sei uguale!” ed è stato il complimento più bello del mondo. Di lei ammiro l’estetica che mi ipnotizza da sempre, la consapevolezza che ha sempre avuto del suo personaggio e il fatto che è sempre stata autorevole e non si è mai piegata. Nel mondo della tv è famosa anche perché rifiutava sempre tantissime proposte, era ambiziosa e ha dovuto difendersi e farsi valere per quello che pensava. Per questo è uno dei miei modelli di riferimento. E poi dammi tempo, vedrai che te ne accorgerai.