Daniele Silvestri, Rodrigo D’Erasmo e la canzone per gli invisibili della musica | Rolling Stone Italia
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Daniele Silvestri, Rodrigo D’Erasmo e la canzone per gli invisibili della musica

I due musicisti raccontano ‘Lost in the Desert’, il brano scritto con Joan as Police Woman, Rancore, Venerus e altri per supportare i lavoratori del mondo dello spettacolo

«Avete presente quando, alla fine di uno spettacolo, di un concerto, di un’esibizione di qualsiasi genere il protagonista chiede “un applauso ai tecnici!”, magari aggiungendo qualcosa tipo “senza di loro, nulla di questo sarebbe possibile”… avete presente? Ecco. È vero», dice Daniele Silvestri di Lost in the Desert, canzone scritta da un collettivo di musicisti – Rodrigo D’Erasmo, Rancore, Joan as Police Woman, Mace, Venerus, Enrico Gabrielli, Fabio Rondanini, Antonio Filippelli, Daniele Tortora, Gabriele Lazzarotti e Alain Johannes – per sostenere i tecnici e i lavoratori dello spettacolo durante l’emergenza coronavirus. I guadagni del brano, disponibile su tutte le piattaforme digitali da oggi, verranno devoluti al fondo Covid-19 Music Relief, voluto in Italia da Spotify in collaborazione con Music Innovation Hub e FIMI per sostenere la categoria. Il video, girato da Fabio Magnasciutti, è in anteprima sul sito di Rolling Stone

Il brano, ci ha raccontato Rodrigo D’Erasmo, è nato spontaneamente, quasi per caso, durante i primi giorni di isolamento, quando il violinista era al lavoro con Mace e Venerus per un progetto legato a un’installazione di Edoardo Tresoldi. «C’era l’entusiasmo di chi si è appena incrociato artisticamente e ha dovuto subito interrompere», dice D’Erasmo. «La canzone parte da un beat di Mace e Venerus, una cellula piccola ma che aveva già tutti gli ingredienti per essere fonte d’ispirazione. Su quella cellula abbiamo lavorato tutti: Daniele Silvestri ha fatto un grosso lavoro di struttura e arrangiamento, Enrico Gabrielli ha messo flauti e dei cori, Rondanini e Lazzarotti la sezione ritmica e così via. Poi il pezzo è volato oltreoceano da Joan, che sostanzialmente ha tirato fuori la canzone».

«Confesso che al primo contatto con la cosa non l’avevo capita del tutto», dice Silvestri. «Poi quando ho ascoltato la parte di Rodrigo, che suona il violino come se fosse un kalashnikov, e le aggiunte più delicate di Enrico Gabrielli, ho intuito che c’erano molte possibilità. Il pezzo è arrivato a me nel momento giusto, forse do il meglio quando ci sono dei semi da sviluppare e non quando c’è da chiudere il pacchetto. Insomma, quando ho restituito la palla avevo messo insieme tutti i cambiamenti dinamici e le diverse melodie: non era ancora una canzone, ma conteneva tutte le strade possibili. È cambiato tutto con la parte vocale di Joan, prima Lost in the Desert era una canzone solo in potenza, poi è diventato tutto chiaro».

Joan ha lavorato al pezzo di notte, a New York, quando l’emergenza sanitaria non era ancora arrivata nella sua fase più critica. «Il pezzo ha un’atmosfera più diretta e pop di quello che faccio di solito, è stato bello lavorarci», dice. «Purtroppo molti lavoratori americani vivono la stessa situazione di quelli italiani. Non solo nella musica, anche chi lavora nei ristoranti, i tassisti, parrucchieri, graphic designer… al governo non interessa».

Nel frattempo, mentre tutti gli artisti coinvolti erano impegnati in una sorta di gioco del telefono musicale, si è fatta strada la consapevolezza di dedicare tutto il lavoro ai tecnici, agli “invisibili” che lavorano dietro le quinte di spettacoli e concerti che sono stati colpiti duramente dall’emergenza. «La preoccupazione per tutti questi lavoratori è arrivata nei primissimi giorni di isolamento», spiega D’Erasmo. «Sono sempre stato legato a tutte le crew con cui ho lavorato, ho grandissimo rispetto della passione, della fatica e della gioia con cui fanno il loro lavoro. Noi musicisti possiamo trovare forme alternative di sussistenza, il tecnico da tour o da studio no. Immaginavamo che tutti i principali player musicali avrebbero mantenuto gli standard di produzione, e invece i dati dicono che in questo periodo si è fatta pochissima musica».

Per il settore i temi sono due: il primo è l’emergenza vera e propria, che rende necessario trovare un modo perché tutti i lavoratori intermittenti possano accedere agli ammortizzatori sociali o a un’eventuale ricollocazione; il secondo è una riorganizzazione complessiva di un settore frammentato e che non è ancora riuscito a farsi categoria. «Molti stanno già lavorando per cercare una strada alternativa», dice D’Erasmo. «Parallelamente a questo brano ci sono persone che tutti i giorni sono seduti a tavoli di lavoro per elaborare un disegno di legge e fare una riforma radicale di tutta la scena. L’idea è provare ad avvicinarci a una gestione del settore spettacolo simile a quella della Francia, per esempio, che è anni luce avanti rispetto a noi».

«Diventare categoria significa anche definirsi, capire qual è il minimo di competenze, doveri e diritti della mia professione», spiega Silvestri. «In cosa devo essere competente? Su cosa posso contare? Cosa posso fare se vivo un momento di difficoltà? Se fossi il ministro della cultura, su un sacco di temi non saprei nemmeno a chi rivolgermi».

Senza tutti questi lavoratori invisibili, la condivisione di cui parla Lost in the Desert non sarebbe possibile. «Stiamo descrivendo l’assenza d’interazione, che è una peculiarità di questo periodo», dice Silvestri. «La solitudine imposta, l’isolamento non scelto in cui ti ritrovi per necessità e per legge, è qualcosa di enorme che abbiamo affrontato tutti. I testi della canzone, sia il mio che quelli di Joan e Rancore, contengono parole che non si sarebbero potute scrivere prima. La canzone è uno specchio di come sarebbe una vita senza condividere, e allo stesso tempo la rivendicazione del fatto che nella condivisione sta il cuore di questo mestiere. E adesso, chi ha il privilegio di far sentire la propria voce, chi non finirà sotto un ponte perché per tre mesi non si faranno concerti, ha maggiori responsabilità. Per questo la prima parola che canto è “tecnicamente”. È un modo per dire che dietro a tutto questo ci sono professionalità che forse non siamo mai riusciti a raccontare bene. Ora facciamo ammenda».