A scuola da Peppe Vessicchio tre metri sotto l'Aurelia | Rolling Stone Italia
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A scuola da Peppe Vessicchio tre metri sotto l’Aurelia

Un po' Hogwarts della musica e un po' Saranno Famosi offline, l’accademia diretta dal Maestro è una specie di stato indipendente in cui le leggi dell'armonia contano come e più di quelle della società. L’abbiamo visitata

A scuola da Peppe Vessicchio tre metri sotto l’Aurelia

Peppe Vessicchio e Luciano Cannito, direttore musicale e direttore artistico di Art Village

Foto press

A due minuti dalla stazione Cornelia della linea A, l’ingresso all’Art Village della Fabrizio Di Fiore Entertainment, la più grande scuola di spettacolo italiana per metratura e offerta didattica, sembra un’altra, immensa fermata della metropolitana che, invece che condurre i suoi passeggeri verso il centro della capitale che ritorna alla sua concezione di normalità, prova a trasportali verso un’idea di futuro.

Discendendo in questo sottosuolo per la presentazione alla stampa della nuova sede e dei nuovi piani di studi, ci pervade la sensazione niente affatto sgradevole del contrasto tra la città infuocata a mezzogiorno e il fresco, felpato sottosuolo in cui veniamo accolti. Mentre scendiamo i gradini che separano Roma dalla Hogwarts sottosopra per ballerini e musicisti, riecheggia in noi l’ultimo vagito urbano, fornito dalle indicazioni di un passante – «Ah, sì, Ar Village, te rimane de là», indicando un piccolo centro commerciale il cui stile architettonico è l’ibridazione tra un omaggio tardivo al brutalismo sovietico e una demo di Minecraft – e poi solo solfeggio e plié, soundcheck e sudore.

Incastonato nel cemento, tra un OVS e una filiale dell’Agenzia delle Entrate, Art Village è un universo a sé: un auditorium, quattordici aule, due studi di registrazione, bar, ristorante, appartamenti per gli allievi fuorisede, cinquanta persone di staff; sale relax usate per ripassare e sale prova usate per viverci. Questo luogo è una sorta di speak easy della città reale che cede il passo a un mondo parallelo in cui la vita scorre a un ritmo proprio, non scandito da semafori o timbrature di cartellino, ma dal ticchettio dei metronomi e dall’alzarsi e abbassarsi degli scaldamuscoli. E il cui traffico di studenti e professori non conosce altri vigili all’infuori dei suoi due direttori, artistico e musicale: Luciano Cannito (già direttore del corpo di ballo di pressoché qualunque fondazione lirico-sinfonica) e Peppe Vessicchio (icona della musica leggera e dei barber shop).

L’auditorium di Art Village. Foto press

L’Art Village non vuole essere una torre d’avorio fatta di promesse di fama eterna, ma un un rimedio fattivo contro la fame contingente. In particolare, quella di lavoro che affligge il comparto dello spettacolo. «Di un artista musicale valutiamo sempre di più come sta sul palco e come parla, come comunica, come esercita la sua popolarità. Tutto questo andava insegnato anche in Italia. L’etimologia greca di musica, del resto, include anche il movimento e la parola, si riferisce a tutte le muse», ci ha detto il direttore musicale, mentre cercavamo di destreggiarci tra i due istinti, egualmente insistenti, di accarezzargli la barba bianca e ringraziarlo di esistere.

Alla base della filosofia di Art Village c’è un semplice concetto programmatico: l’arte non è un hobby o un talent show, ma un lavoro. E un lavoro che si fa, se tutto va bene, nel presente e che dunque, a meno che non si voglia diventare uno strumentista classico, non si apprende nei conservatori e tantomeno nei licei musicali. Qui si studia senza l’ansia di andare in onda in corso d’opera, ma si studia. Magari aspirando a un’audizione per una delle produzioni di Fabrizio Di Fiore (le prossime sono per Sette spose per sette fratelli), ma prima si studia.

La lezione più importante di Art Village non sta solo nell’aver nell’aver teorizzato e messo in pratica un Saranno Famosi offline, in cui al massimo si è conoscenti di Maria De Filippi (e il cui certificato conclusivo equivale a una laurea triennale) ma anche e soprattutto una specie di stato indipendente, in cui le leggi dell’armonia contano come e più di quelle della società, e ci può essere altrettanta concretezza e ispirazione in un passo a due rispetto a quelle infuse in una lezione di management di sé stessi, tra economia e fantasia, pragmatismo e improvvisazione jazz.

Il tutto non tre metri sopra il cielo, ma sull’Aurelia. La locandina di uno spettacolo prodotto qui, che decora la porta dell’auditorium, sintetizza tutto questo benissimo. Il titolo è Diventerò una stella, ma l’astro in questione non è metaforico o metafisico: è una semplice luminaria, accesa per un numero finito di lampadine, eppure in grado di illuminare alla perfezione il palco su cui orbita. Senza troppe illusioni, sottintende, sarà ancora più bello volare appesi a un gancio meccanico.

Durante la conferenza stampa, se il microfono gracchia per un istante, compare sul palco, in un balzo, un tecnico del suono che non sembra tanto un fornitore esterno quanto una creatura autoctona, a metà tra un fonico e un funambolo, e comunque parte di una coreografia pensata per l’occasione. Raramente abbiamo visto registi di dirette streaming che incedono in skinny jeans con quelle posture perfette.

Una lezione all’Art Village

Anche la presentazione di un progetto può essere azione scenica a passo di danza. L’impressione è che questo impegno per i dettagli di una conferenza stampa sia parte di un concetto non tanto di moda, ma da non sottovalutare, chiamato formazione.

Vessicchio è così adorabile e disponibile che è difficilissimo separarcisi, anche dopo il tour completo della sede. Insieme a Cannito sembra chiederti di tornare, di seguire i progressi della classe di quest’anno, di tifare per le loro audizioni. Quando inizia a esporci la sua teoria sull’importanza dell’esposizione alla musica polifonica per la maturazione ideale dei pomodori, capiamo di aver fatto bene a restare. «È una questione di stress da ossidazione», ci confida senza aggiungere, con la modestia da gentiluomo d’altri tempi, che a questa materia, apparentemente stravagante, ha dedicato un libro serio.

«Anche noi esseri umani, come i pomodori, siamo fatti per gran parte di acqua. Dunque la musica non può che farci bene, soprattutto se l’ascoltiamo oltre che dalle orecchie, col corpo». Mentre riemergiamo sull’asfalto, intoniamo un mantra: Roma Ovest sopra di me, Peppe Vessicchio dentro di me.

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