5 cose che abbiamo imparato dalla conversazione tra Michael Stipe e Laurie Anderson | Rolling Stone Italia
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5 cose che abbiamo imparato dalla conversazione tra Michael Stipe e Laurie Anderson

L’ex frontman dei R.E.M. e l’icona dell’avanguardia si sono intervistati a vicenda per il ‘New York Times’. Hanno parlato di vulnerabilità nel pop, della musica “radicale” di Billie Eilish e dell’importanza dei propri fallimenti

5 cose che abbiamo imparato dalla conversazione tra Michael Stipe e Laurie Anderson

Nell'illustrazione, foto di Rick Diamond/Getty Images

Il New York Times Style Magazine ha pubblicato una lunga conversazione tra Michael Stipe e Laurie Anderson. L’ex frontman dei R.E.M. e l’icona della musica d’avanguardia si sono incontrati lo scorso novembre in uno studio fotografico di New York e hanno parlato dei loro progetti futuri, di come si fa a catalogare il passato, dell’importanza della vulnerabilità nel pop e di qual è la musica “radicale” della contemporaneità. Ecco cinque cose che abbiamo scoperto leggendo la loro conversazione.

Nel pop degli anni ’80, essere vulnerabile era una rarità

«La cosa che mi piaceva di più delle prime cose che hai scritto era il linguaggio, il modo in cui le parole si srotolavano», dice Laurie Anderson del suo primo approccio con la musica dei R.E.M. «Ero un uomo vulnerabile e sono orgoglioso di non aver mai fatto finta di essere qualcosa che non ero, anche prima di parlare pubblicamente della mia sessualità», risponde Stipe. «La vulnerabilità e la sensibilità in un uomo pubblico non erano comuni per la mia generazione». Per il cantante lo stesso discorso vale anche per Lou Reed. «Quando scriveva si concedeva una vulnerabilità immensa. Ma sapeva essere anche burbero».

Oggi la musica radicale è nel mainstream, come Billie Eilish

Dopo aver raccontato con quanta difficoltà ha accettato di «essere una pop star», Michael Stipe spiega cos’è per lui la musica radicale nel 2020. «Direi che oggi la musica radicale è nel mainstream. È Billie Eilish, musica formata dagli algoritmi che dettano cosa dobbiamo ascoltare sulle piattaforme», dice. «Vorrei un senso di comunità, di gruppo, il sudore… non queste cose sempre più grandi vendute in mercati altrettanto grandi», risponde Anderson. «Ogni volta che le grandi corporation decidono di monetizzare l’arte, la prima parola che usano è community. Dicono di amare la tua community, poi la comprano e la rivendono sistemata per un gigantesco pubblico di gente con lo smartphone». «È tutto annacquato», risponde Stipe.

Se fosse un giovane musicista, Michael Stipe non vivrebbe a New York

«Sono arrivato per la prima volta a New York nel 1979, quando ero un teenager. All’epoca era tutta una questione di possibilità e opportunità, e l’ho scoperta attraverso la scena punk rock e il CBGB», racconta Stipe. «Sono partito pensando: “Qui è dove troverò me stesso”». «Se avessi la stessa età adesso, verresti a New York?», chiede subito Laurie Anderson. «No», risponde Stipe. «Se fossi nato nel 2000 sarei probabilmente ossessionato con il Sud America, o una città come Porto».

Laurie Anderson è stata ingaggiata da Paul Allen per immaginare il futuro

«Mi piace circondarmi di futuristi, mi piace ascoltare cosa hanno da dire. Tu ti definiresti futurista?», chiede Michael Stipe. Anderson racconta del suo incontro con Paul Allen, il co-fondatore di Microsoft, a cui ha inviato una serie di film, video, idee per siti web e dischi. Voleva che Allen diventasse “il suo Medici”. Alla fine, Anderson è entrata a far parte di Interval Research, un gruppo di persone assunte da Allen per immaginare il futuro. «Aveva ingaggiato un centinaio di persone per farsi dire cosa avrebbe fatto la gente in futuro», dice Anderson. «Abbiamo messo in piedi un sacco di grandi progetti, ho fondato una media company e ha finanziato molte delle mie idee».

I veri artisti devono saper fallire

Verso la fine della conversazione, Stipe e Anderson parlano dei progetti futuri. «Non penso mai alla mia eredità, neanche per un secondo. Tuttavia, penso continuamente a Lou. Credo sia importante mettere insieme la sua opera, sono un’archivista. Ma non mi importa delle mie cose», dice Anderson. «Dopo aver lavorato tanto, pensi sempre: vorrei solo fare cose nuove. Ma quando ci provi, è terrificante». «Perché non sai se sarà un buon lavoro o no?», chiede Stipe. «Potrebbe essere terribile», risponde Anderson. «Per me un vero artista lo si riconosce così», continua Stipe. «Prima di dirti tale devi cadere di faccia e rialzarti. Io ho fallito questa mattina e di sicuro anche ieri. Mi sono svegliato e i miei primi pensieri erano cupi e terribili».

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