40 anni fa usciva ‘The Wall’, l’incubo dei Pink Floyd | Rolling Stone Italia
Musica

40 anni fa usciva ‘The Wall’, l’incubo dei Pink Floyd

Festeggiamo l'anniversario dell'album di ‘Comfortably Numb' e ‘Another Brick in the Wall’ rileggendo la recensione originale pubblicata da Rolling Stone nel 1980

40 anni fa usciva ‘The Wall’, l’incubo dei Pink Floyd

La recensione che state per leggere è stata pubblicata su Rolling Stone nel febbraio 1980.

Pur non minando in alcun modo lo status di capolavoro musicale di Dark Side of the Moon (ancora in classifica a quasi sette anni dall’uscita), il dodicesimo album dei Pink Floyd, The Wall, è l’opera più sorprendente dal punto di vista dei testi pubblicata dal gruppo nei suoi tredici anni di eccezionale carriera. Il bassista Roger Waters, autore di musiche (quasi tutte) e parole (tutte), proietta sulle quattro facciate dell’album un’oscura e complessa visione della società occidentale (e in particolare modo quella britannica) nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale, così incessantemente tetra e aspra da far sembrare artisti contemporanei cinici e pessimisti come Randy Newman o Nico simili a Peter Pan o Trilli.

The Wall è una splendida sintesi delle note ossessioni tematiche di Waters: la brutale misantropia dell’ultimo LP dei Pink Floyd, Animals; l’amara malinconia di mezza età di Dark Side of the Moon; l’idea sorprendentemente scaltra secondo la quale l’industria musicale è microcosmo di oppressione istituzionale (Wish You Were Here); e il timore di psicosi incombente che attraversa tutti questi album – a cui si aggiunge uno spirito antibellico profondamente sentito che risale all’album del ’68 A Saucerful of Secrets. Ma laddove Animals, per esempio, soffriva di un esagerato autocompiacimento, l’ancor più miserabile The Wall prende invece vita con un’inarrestabile rabbia sprigionata dai testi, che risulta chiaramente genuina e, nella sua peculiarità, in fin dei conti spaventosa.

Strutturato come un ciclo (le ultime parole del lato 4 compongono una frase che viene completata dalle prime parole del lato 1), The Wall non offre alcuna via d’uscita, se non la follia, da un mondo che opprime gli uomini in ogni modo. Il processo – almeno per gli appartenenti alla generazione di Waters – ha inizio fin dalla nascita con un amore materno soffocante e distorto. Troviamo poi alcuni vaghi ricordi degli sconvolgimenti dovuti ai bombardamenti durante la guerra:

Did you ever wonder
Why we had to run for shelter
When the promise of a brave new world
Unfurled beneath a clear blue sky?

Ti sei mai chiesto
Perché dovevamo nasconderci
Quando la promessa di un mondo migliore
Veniva sbandierata sotto un limpido cielo azzurro?

Nelle scuole controllate dal governo i bambini sono sistematicamente tormentati e umiliati da insegnanti che a loro volta vengono castigati quando la sera tornano a casa e “le loro mogli grasse e psicopatiche li picchiano fino a farli in pezzi”.

Dal punto di vista di Roger Waters, anche il più grande successo che si può raggiungere durante la vita – nel suo caso la fama internazionale da rockstar – è soltanto una presa in giro, data la natura mortale dell’uomo. Anche la debole speranza di una salvezza data dai rapporti interpersonali che rischiarava leggermente Animals è scomparsa del tutto: le donne sono imperscrutabili oggetti sessuali e gli uomini (i loro diretti oppressori nel grande grande schema di oppressi e oppressori) restano inevitabilmente soli ad annaspare in una frustrazione sempre più insopportabile. Questo muro di alienazione alla fine dà origine a una prigione, e il penoso prigioniero, ormai in stato catatonico, si sottopone al “Processo” – The Trial, un bizzarro cataclisma musicale ispirato da Gilbert e Sullivan passando per Brecht e Weill – in cui tutti i suoi passati tormentatori si incontrano impazienti di ucciderlo.

Sono tutti concetti molto pesanti, non esattamente la ricetta per il successo di un album. Se The Wall avrà successo commerciale dipenderà probabilmente dalle sue qualità musicali, che sono parecchie. I fan della prima ora troveranno quantità soddisfacenti di riff spaccaossa e chitarre urlanti e cosmiche (In the Flesh), oltre a una delle ballate più amabili mai registrate dalla band (Comfortably Numb). Il canto, poi, è di prima qualità, chiaro e appassionato. Fate caso alla voce nella spaventosa One of My Turns, in cui il narratore, una folle rockstar, urla contro la groupie che si trova con lui, mentre le sue sinapsi ormai distrutte fanno cilecca come petardi bagnati: “Ti piacerebbe imparare a volare? / Ti piacerebbe guardarmi mentre ci provo?”.

Non tutto è perfetto. La durata di The Wall è assolutamente giustificata dalla profondità dei temi trattati, ma la musica è un po’ troppo diluita. Il maestro dell’heavy metal Bob Ezrin, che ha coprodotto l’album insieme a Roger Waters e al chitarrista David Gilmour, aggiunge consapevolezza hard rock in alcune parti (soprattutto nella funkeggiante Young Lust), ma in generale non riesce a essere all’altezza del suono brillante che il fonico Alan Parsons ha donato a Dark Side of the Moon. A un primo ascolto anche i più devoti floydiani potrebbero non essere conquistati immediatamente dall’ambientazione sonora relativamente piatta di The Wall. Ma quando alla fine succede – e osservano meglio il minaccioso panorama tratteggiato nei testi – finiscono per chiedersi quale sia il modo per uscirne velocemente.

 

Altre notizie su:  Pink Floyd