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Quando il prog italiano sapeva ballare

Non solo il punk, ma anche la disco a fine anni ’70 ha fatto invecchiare suite e tempi dispari. L’unica via d’uscita era sperimentare, come in questi 10 album che portano il progressive in pista e nello spazio

Quando il prog italiano sapeva ballare

Vittorio De Scalzi con i New Trolls nel 1979

Foto: Angelo Deligio/Mondadori via Getty Images

Seconda metà degli anni ’70: esplodono il punk e la disco music. In tale contesto il progressive rock si sta incamminando verso (l’apparente) viale del tramonto. Band come ELP, Yes, Genesis e compagnia rock-sinfonica sono viste come la peste dai giovani punk o dai frequentatori delle discoteche. Gli eroi del prog, per la maggior parte musicisti che hanno da poco superato i 25 anni di età, si sono trasformati in vecchi e pallosissimi dinosauri dai brani interminabili e tronfi, pieni di barocchismi e testi intellettuali che non interessano più a nessuno. È un momento assai particolare nel quale diversi artisti sono costretti a un profondo cambiamento per rimanere a galla nell’ambiente discografico, e chi non ce la fa molla la presa. Da qui nasceranno ibridi pop-prog come And Then There Were Three dei Genesis, Tormato degli Yes e il vituperato Love Beach degli ELP.

In Italia il cambiamento non è così repentino e drastico come in Inghilterra, ma è indubbio che l’aria stia cambiando. I più famosi PFM, Banco e Orme cercano di adattarsi, ognuno a proprio modo: i primi buttandosi nel jazz-rock e poi in un rock a tinte cantautorali (complice la collaborazione con Fabrizio De André), i secondi andando controcorrente e gettando le basi per un’opera orchestrale come …Di terra, i terzi dedicandosi a un pop acustico e cameristico. Altri cercano di inventarsi qualcosa che permetta loro di continuare a portare avanti un discorso musicalmente impegnato ma di maggiore fruizione. È qui che nasce la pazza idea di fondere due generi assolutamente contrapposti come il progressive rock e la disco music. Molti salteranno dalla sedia al solo pensiero, ma negli ’70 è successo anche questo.

Certo, fino a quel momento il prog ha fatto delle ritmiche mai dome (tempi pari e dispari, cambi di tempo, accelerazioni e aperture) uno dei suoi marchi di fabbrica ed è arduo far convivere ciò con le figurazioni disco che pretendono assoluto rigore nel rispettare un costante 4/4 (che in realtà prende le sue mosse dal motorik del kraut rock) utile allo scatenarsi sulle piste da ballo. Non c’è però via d’uscita, si decide quindi di fare a meno delle invenzioni ritmiche e di concentrarsi su ciò che sta sopra, l’importante è dare al pubblico quello che vuole, ovvero musica ballabile. Sul ritmo poi si può spaziare: fare largo uso di tastiere elettroniche dal sapore classicheggiante e/o cosmico, mettere in pista ulteriori generi da fondere, concentrarsi su armonie e melodie non banali. I pezzi inoltre si possono allungare esattamente come nel prog, anche perché più il brano è esteso e più si balla. In poche parole si può ancora sperimentare, basta solo farlo su quel genere di ritmica. Sarà anche questa filosofia che in futuro darà vita all’IDM e all’EDM, alla minimal techno e ad altre forme di musica elettronica che uniscono ricerca sonora e pulsazioni ritmiche costanti.

L’idea parte anche da qui e in Italia sono stati pubblicati non pochi album a testimonianza di questa commistione. Ne abbiamo scovati dieci, alcuni di successo, altri destinati al più oscuro oblio, tutti però concentrati sull’impervia sfida.

“Baciotti” Black Jack (1977)

Christian Baciotti è francese, ma opera in Italia. Nel 1977 piazza il colpaccio con la sua Black Jack che spopola in discoteca. Il brano si snoda in 10 minuti e al di là dei suoi momenti di più facile presa mette in campo tastiere tra Tangerine Dream e Yes. Ma la sorpresa dell’album è la suite A Clown/Musical solo/Fly, pazzesco connubio tra disco, jazz-rock e prog alla quale i Daft Punk di Random Access Memories devono avere dato più di un ascolto.

“Automat” Automat (1978)

Gli Automat sono un trio romano che prova a mixare influenze elettroniche di stampo Kraftwerk/Jean-Michel Jarre con ritmi disco. Il tutto in un’atmosfera cosmica che intorno al 1978 in Italia sembra farla da padrona, grazie a film come Star Wars e serie tv tipo Atlas Ufo Robot. L’album omonimo è ancora oggi godibilissimo e una vera delizia per gli amanti dei suoni analogici, con una lunga suite space a coprire l’intera prima facciata.

“Movimenti nel cielo” Maurizio Fabrizio (1978)

Autore di pregio e braccio destro di Angelo Branduardi, specie nel suo periodo di maggiore successo, Maurizio Fabrizio concepisce la sua seconda opera solista Movimenti nel cielo come suite strumentale nella quale convivono influenze branduardiane e momenti orchestrali. La differenza la fanno certe ritmiche di stampo disco che vivacizzano il tessuto sinfonico in un’intelligente rivisitazione del “classico” prog adattato allo spirito del 1978.

“Labyrinthus” Labyrinthus (1978)

Misconosciuto lavoro ideato dal compositore e regista Giovanni Damiani, Labyrinthus è l’unico esempio in Italia di opera disco. Racconta il mito del Minotauro traslato nella modernità, con un migrante ad affrontare il labirinto delle difficoltà per sopravvivere. Un tema decisamente avanti per l’epoca messo in scena in un incredibile doppio album con super-musicisti del miglior giro italiano del tempo, nel quale la disco music si mischia con una miriade infinita di altri generi.

“Aldebaran” New Trolls (1978)

Dopo litigi, scioglimenti e band alternative i New Trolls tornano alla ribalta nel ’76 con Concerto grosso numero 2, nel quale già spuntano ritmi disco tra le pieghe classicheggianti. La metamorfosi si compie con Aldebaran, che già dall’iniziale Suite disco mette le cose in chiaro congiungendo perfettamente il sound tipico della band genovese con le nuove attitudini danzerecce. L’album ha un altro momento topico negli otto minuti di Dancing che già dal titolo dice tutto. Infine Aldebaran è anche l’album del tormentone Quella carezza della sera.

“Aquarium Sounds” Aquarium Sounds (1979)

Aquarium Sounds è un progetto del compositore di colonne sonore Filippo Trecca che, contornato da diversi session men, nel 1979 dà alle stampe un lavoro mai distribuito nei normali circuiti discografici ma circolato solo in forma di album promozionale. Nonostante sia sconosciuto ai più, è un ottimo disco con brani strumentali dallo spiccato gusto melodico, impreziositi da un grande lavoro tastieristico sopra le usuali ritmiche disco. Da segnalare Acquario, che fece da sigla all’omonimo programma condotto da Maurizio Costanzo, ed Elena tip, con Ilona Staller (aka Cicciolina) ai languidi cameo vocali.

“Capolinea” Banco (1979)

Archiviato il progetto sinfonico …Di terra e dato alle stampe il bellissimo Canto di primavera, il Banco del Mutuo Soccorso cerca di rimanere a galla accorciando il nome e ri-arrangiando i propri classici in formato disco music. Il tutto viene immortalato nel live Capolinea che lascia basiti i vecchi estimatori ma che stupisce per la freschezza che i brani acquisiscono grazie al rinnovato impulso ritmico. Da R.I.P. a Il ragno passando per gli strumentali Capolinea e Garofano rosso qui è tutto un ballare su spartiti quanto mai creativi e coinvolgenti.

“Iceman” I Signori della Galassia (1979)

I savonesi Signori della Galassia si presentano abbigliati da eroi spaziali e propongono un gustoso sound tra prog, disco ed elettronica modello Kraftwerk. Già autori nel 1978 di un mediocre album omonimo, ci riprovano l’anno successivo con Iceman, decisamente più godibile. Qui la proposta si fa più personale e le atmosfere cosmiche dominano in brani come Proxima Centauri, Archeopterix e Oltre il cristallo, veri manifesti space-disco.

“Triangolo” Triangolo (1979)


Triangolo è un progetto di Gianni e Alberto Tirelli, già autori, come Lapera, di un ottimo quanto misconosciuto album prog nel 1975: L’acqua purificatrice. Nel 1979 i due si uniscono al tastierista Sergio Conte (proveniente dai Jumbo) per un disco che prende come riferimento il mondo sonoro (e non) tipico di Renato Zero e lo trasla in una straniante dimensione prog-disco-punk dal fascino kitsch. Basta ascoltare Voglio tutto per capire che razza di mix originale i Triangolo siano riusciti a tirare fuori. Peccato siano durati giusto lo spazio di questo disco.

“Astrolympix” Colombo-Harris (1980)

Per presentare questo disco basterebbero i nomi, quelli dei protagonisti Roberto Colombo e Mark Harris, e quelli dei session men ospiti: Alberto Radius, Ares Tavolazzi, Walter Calloni, Tullio De Piscopo. Purtroppo l’album non è del tutto all’altezza della fama dei musicisti coinvolti, ma si tratta in ogni caso di un ottimo esempio di pop-disco con atmosfere spaziali e vagamente progheggianti.