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Pimp my barchino

Testo: Marco De Vidi
Foto: Matteo de Mayda

Lontano dalle zone dei turisti, i giovani della laguna di Venezia vivono in una realtà parallela, un mondo di barchini pimpati, trap e feste segrete.
La loro storia è diventata un progetto fotografico e ora anche un film, ‘Atlantide’, in concorso a Venezia 78

Un barchino azzurro si stacca dal pontile, dalle casse dello stereo si sente il suono aggressivo di un pezzo trap ad alto volume. Appena fuori dalla banchina, il motore accelera, il barchino si allontana da Burano, affollatissima di turisti che si fanno selfie davanti alle casette colorate in un pomeriggio di fine estate. L'appuntamento è a San Francesco del Deserto, isola abitata solo da alcuni frati francescani che si dedicano all'agricoltura. Pian piano altri barchini entrano nello stretto canale, rallentando. Ormeggiano, ragazzi e ragazze scendono, si salutano, si stendono sul prato. Gli stereo, da cui pochi istanti prima uscivano le note di Vale Pain di Sfera Ebbasta, o del rapper local Vinnie The Don, vengono spenti. «Qui possiamo stare, ma non possiamo ascoltare la musica», mi spiega Federico mentre lega la barca all'anello, indicando con un sorriso il cartello che compare all'entrata dell'isola di San Francesco, che segnala come questa sia una «zona sacra e di preghiera».

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Il pomeriggio si resta qui a prendere il sole, a tuffarsi dal piccolo molo che si affaccia sul grande canale che porta da Burano a Sant'Erasmo. Spunta qualche bottiglia di birra, un mazzo di carte, anche una scacchiera. Tante, tantissime sigarette.

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Poi si parte, tutti insieme. Lungo i canali più grandi la musica riparte a volume altissimo e ci si supera in velocità. In barena, dove il fondale è più basso, serve rallentare, stare attenti alle secche e al cambiamento della marea. Le mete sono l'isola di Torcello, quella di Sant'Erasmo, oppure una delle minuscole isolette disabitate sperdute in mezzo alla laguna. Una delle zone preferite dove andare è Gaian, un grande canale che poi si dirama in tanti canali più piccoli, in mezzo alla barena tra Burano e la frazione di Treporti, parte del comune di terraferma più vicino, Cavallino. Qui si può fare il bagno, oppure pescare. Quando non c'è nessuno, si fissano due corde al retro di un barchino, mentre uno dei più coraggiosi si fa trainare provando a stare in piedi sopra una tavola da wakeboard, in una giocosa imitazione dello sci nautico.

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Se l'adolescenza è l'età della scoperta, per i giovani abitanti di queste isole la laguna è il luogo da cui parte qualsiasi esplorazione. La frequentatissima Venezia si trova a pochi chilometri, ma sembra davvero un mondo lontano. Quest'angolo della laguna nord è solo loro, l'unico mezzo per arrivarci è un barchino da 40 cavalli.

La passione per i motori accomuna tutti. «Per noi avere il barchino è come girare con il motorino in città, è indispensabile per muoversi» mi spiega Jacopo, che ha 21 anni. «A me è sempre piaciuto molto, amo stare all'aria aperta, in mezzo alla natura. Sei da solo e fai quello che vuoi, ti senti libero. E non è una cosa scontata». È a Jacopo che è venuta l'idea, circa tre anni fa, di aprire una pagina su Instagram chiamata Burano Speed Boats, in cui raccogliere foto e video dedicati ai barchini, qualche prova di velocità, i viaggi in laguna con l'hip hop e la trap come colonna sonora, dove in molti mettono annunci di compravendita di motori, eliche, pezzi di ricambio.

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«Ho pensato fosse bello far vedere un po' a tutti come trascorriamo i pomeriggi qui e come ci divertiamo», spiega, «con l'idea di farci due risate mostrando un po' di robe da fioi, insomma».

La maggior parte dei circa 50 ragazzi e ragazze che formano i BSB sono di Burano, altri vengono da Sant'Erasmo, qualcuno da Murano. I più giovani hanno 15 o 16 anni, molti sono attorno ai 20 anni. Si ritrovano tutti insieme soprattutto alle feste, che cercano di tenere il più possibile segrete, evitando di comunicarle sui social network e preferendo il passaparola. Dj set in cui si balla, con delle grandi casse audio noleggiate, che di solito si tengono a Torcello o in qualche punto più difficile da raggiungere, cui partecipano anche coetanei veneziani, o che arrivano dalla terraferma, da Ca' Savio o Treporti.

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«Tra i miei amici sono stato il primo ad avere la barca» racconta Federico, anche lui di 21 anni, «mio papà aveva già uno Spazio 5, poi ho avuto il mio primo 40 cavalli quando ho avuto l'età per guidarlo, a 16 anni».

Federico mi spiega quali sono i modelli di barchino più comuni: l'MT, lo Spazio 5, il Rio Midi 500, che è un vecchio modello non più in produzione ma molto ricercato perché particolarmente adatto agli spostamenti in barena. Molte di queste imbarcazioni sono prodotte da un cantiere nautico di Mestre, affacciato sul canale di san Giuliano, che costeggia il ponte della Libertà e la linea della ferrovia.

Acquistare un barchino è una bella spesa. Un modello nuovo può costare 6mila euro, ma con gli usati i prezzi si abbassano un po'. Il Rio Midi, che molti cercano, si trova solo usato, attorno ai 4mila euro. Il motore si acquista a parte, nuovo costa almeno 7mila euro, ma uno usato può valere la metà, tra i 3 e i 4mila euro. E poi ci sono le spese per gli optional: l'interno va arredato, con dei materassini colorati, tutti hanno un impianto stereo, almeno 600-700 euro vanno via per questo tipo di lavori.

«Io infatti lavoro da anni» spiega Federico, «in una pescheria a Venezia, vicino al ponte delle Guglie. Mi sveglio ogni giorno alle 3 del mattino, comincio a lavorare alle 4.30. Preparo il banco, poi vediamo se ci sono ordini dai ristoranti. Oggi, per esempio, ho pulito 10 chili di gamberi, poi ho sfilettato 6 o 7 casse di branzini. Poi il pomeriggio vengo qui».

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Oggi, sul piccolo molo di San Francesco del Deserto, ci sono anche Simone, Alessandro, Jesus, Gabriele. Poi le fie, Fosca, Iris, Irene. Appena liberi arrivano dal ristorante anche Christian e Francesco, cuoco e pizzaiolo: oggi hanno lavorato molto, Burano è piena di visitatori in questo periodo dell'anno. Christian, mi racconta, è l'unico che ha la patente della macchina, una vecchia Polo che lascia parcheggiata a Ca' Savio e che guida solo ogni tanto.

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Dal mondo dei barchini pimpati è stato catturato anche il regista ravennate Yuri Ancarani, che in questi giorni presenterà alla Mostra del cinema il suo nuovo film, Atlantide, ambientato tra Burano, Sant'Erasmo e Venezia.

Uno delle prime persone con cui il regista è entrato in contatto è proprio Jacopo, conosciuto nell'osteria di Burano dove lavora. «Sono arrivato a questo tavolo dove c'erano Yuri, sua mamma e la sua assistente. E dal nulla mi ha chiesto se sapevo qualcosa di barchini. Sono rimasto un po' così» racconta Jacopo, «all'inizio pensavo fossero dei poliziotti. Ci siamo comunque scambiati i numeri e poi ci siamo sentiti». L'idea che Yuri fosse uno sbirro aveva convinto un po' tutti, tanto più che il momento dell'avvicinamento a Jacopo coincideva con l'intensificarsi di controlli e fermi da parte delle forze dell'ordine in quella parte di laguna nord.

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Ora, dopo aver preso parte alle riprese e pronto per assistere alla proiezione ufficiale al Lido, Jacopo si rende conto che «per me e per tutti noi è una grande soddisfazione, ci è sempre piaciuta l'idea che fuori ci conoscessero, che anche gli altri capissero la bellezza del nostro modo di divertirci».

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«Ci ho messo quattro anni a fare questo film e inizialmente c'è stata tantissima diffidenza», spiega invece il regista, che in questo lasso di tempo si è spostato a vivere in laguna, prima nella zona di Castello a Venezia e poi nell'isola di Sant'Erasmo. «È stato decisamente complesso perché i ragazzi non sono attori e il film è partito senza sceneggiatura perché volevo seguire le loro vite. Man mano ho costruito la storia raccontando le loro vicende, mescolandole anche ai fatti di cronaca che accadevano nel periodo in cui io vivevo lì».

Il film segue le vicende di Daniele, un ragazzo spiantato appassionato di barchini come il gruppo di coetanei che però lo esclude. È una Venezia sconosciuta quella che mostra Yuri Ancarani, ma molto più vera dell'immagine da cartolina che anche molto cinema le mette addosso. Tra gare di velocità, incidenti, inseguimenti con le barche della guardia di finanza, furti, risse, è un ritratto crudo e realistico, che si compie in un crescendo psichedelico.
I barchini che sfrecciano, con la musica altissima e le luci a led che illuminano le esplorazioni notturne in laguna, sono parte integrante di Atlantide. Anche la soundtrack trap ed elettronica suona particolarmente azzeccata, con i contributi di Sick Luke e Lorenzo Senni, con il gran lavoro sui suoni del fonico Mirco Mencacci.

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Mentre parliamo del film, Federico mi mostra sullo smartphone le foto di com'era la sua barca durante le riprese. L'esterno bianco, l'interno rosa, alcuni adesivi tribali, la scritta con il nome di Emma. «Ora il suo nome non c'è più, secondo te perché?», mi chiede. Gli amori finiscono anche in quest'angolo di laguna nord. Gli adesivi sono spariti, l'esterno della barca è stato ridipinto, il colore ora è grigio scuro. All'interno spicca l'impianto stereo nuovo, molto potente, con i led rossi, la copertura del cruscotto è in carbonio. Il look è cambiato totalmente. «Non la sentivo più mia» spiega Federico, «ma rivedere com'era nel film mi va bene, alla fine è un ricordo».

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«In verità i barchini per me sono un pretesto per parlare di qualcos'altro», riflette Ancarani. «Ho usato quest'ambientazione, questo scenario magico, per raccontare un'altra storia, quella dei rituali adolescenziali dei giovani maschi per diventare adulti. È questo il film, il gruppo, l'outsider che non viene accettato, il tentativo folle di omologarsi agli altri, con rituali violenti e sempre alla ricerca del limite. È questo bisogno di essere come gli altri, senza amplificare le proprie attitudini, nel periodo più importante che è quello dell'adolescenza, quando stai diventando adulto, che porta inesorabilmente al fallimento, perché ovviamente noi siamo tutti diversi».

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«All'inizio ero interessato a Venezia» continua il regista, «ma poi ho capito che per conoscere Venezia hai l'obbligo prima di conoscere la laguna. I veneziani vivono la laguna, passano più tempo possibile nell'isola di Sant'Erasmo, nelle isole abbandonate. Questo nessuno lo sa, la vita del veneziano è una vita segreta. Qualcosa a cui non hai accesso se vieni da fuori. Io in qualche modo ho potuto avere accesso a questa vita perché mi sono trasferito in un'isola, e quindi ho dimostrato di apprezzare la laguna, ho acquisito la fiducia necessaria per entrare nel loro mondo».

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È un mondo in cui anche se domina il mito della velocità, persistono riti che sembrano fuori dal tempo. La pesca, per esempio. I più appassionati si svegliano all'alba per andare a pescare prima del sorgere del sole. In base al periodo dell'anno si raccolgono molluschi, pesci come branzini e orate, oppure gransopori, i grandi granchi della laguna. Enrico, che ora ha 19 anni, ha deciso di farne un lavoro. «Ho lasciato la scuola per andare a pescare, perché mi piaceva troppo», mi racconta. «Pesco soprattutto vongole veraci e la pesca si svolge dall'alba al tramonto, tra Burano e Murano. Uso anche una delle tecniche tradizionali, la pesca a deo, si aspetta la massima secca e si va a raccogliere le vongole una a una manualmente». Con un socio ha aperto la sua azienda, «non ho padroni, non ho orari, mi piace molto fare questa vita. È un lavoro, ma lo faccio con tantissima passione».

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Anche il suo amico Jacopo, che adesso lavora come cameriere, sembra convinto dall'entusiasmo di Enrico. «Dopo questa stagione smetto, voglio andare anch'io a pescare» spiega, «e poi si guadagna anche di più».

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Sul fatto di lasciare la sua isola, per qualsiasi altro posto, ha davvero pochi dubbi. «Venezia è bella, mi piace, ma a viverci non andrei mai. Qui è tutta un'altra cosa. C'è libertà, si sta tranquilli, sai che puoi dormire con le porte e le fineste aperte. Da nessun'altra parte esiste una libertà del genere. Sto bene a Burano, è un paradiso qui. Se ne ho la possibilità fino all'ultimo vorrei rimanerci».