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Dentro il cartello del Messico:
tra violenza e cocaina

di Flavio Zocchi

Già vista la terza stagione di Narcos? Bene, da qualche ora sappiamo che la fortunata serie TV prodotta da Netflix si sta spostando dalla Colombia verso "el norte", verso il Messico, la nazione che più di ogni altra ha ereditato, forgiato, ampliato e definito il concetto di "Narcostato", che la Colombia degli anni '80 e '90 prima con Pablo Escobar e poi con il Cartello di Calì aveva reso realtà. Da Pablo al El Mencho (se ne parla sul nuovo numero di Rolling Stone), dalle rotte dei traffici che le organizzazioni colombiane avevano affinato durante gli anni '80 all'attuale guerra totale lungo i 3000 chilometri di frontiera e nel "Gulfo" da parte dei cartelli della droga messicani. Se le serie tv degli ultimi anni sanno tracciare perfettamente - nel loro essere fiction - i risvolti delle "storie" di cronaca, politica e violenza dei nostri tempi, quello che è veramente successo in Messico nell'ultima dozzina d'anni è qualcosa che va al di là dell'immaginazione di qualsivoglia sceneggiatore. Per capirne di più il consiglio è di iniziare dal romanzo di Don Wislow "Il potere del cane" e dal seguente "Il cartello" e approfondire con uno dei tanti scritti del bravissimo Fabrizio Lorusso che da anni "mappa" e racconta il narcotraffico messicano. Lorusso ha scritto "NarcoGuerra", un libro decisivo per comprendere le radici di un problema così grande, insieme a "Mexico invisibile" ci racconta anche il sistema culturale, economico, territoriale e politico che ha fatto del Messico un 'Narcostato'.

"Uno stato fallisce e diventa 'narco-stato', in quanto si trova alla ricerca di una 'pax mafiosa' e di compromessi deteriori più che di un recupero del controllo e degli spazi economici e di potere perduti"

Questo è quello che è diventato il Messico oggi, un paese devastato dal fallimento degli accordi di libero scambio del NAFTA, logorato nei suoi primi 100 anni di vita da un sistema oligarchico e di corruzione che ha pochi uguali nel mondo, che nel 2002 per la prima volta vide un cambio del partito al potere e che nel 2006 ha iniziato una sanguinosa "war on drugs" in combutta con i vertici di Washington da cui compra(va)no armi e da cui - a Fort Bragg in North Carolina - l'esercito e i corpi d'élite messicani si addestravano in tattiche e tecniche di controguerriglia, gli stessi cruenti mezzi che furono adottati su migliaia di civili e di ribelli negli anni '70 nel giardino di casa dell'America latina. Una risposta militare che a nulla è servita in Messico, se non a creare mostri a più teste: i cartelli che nei territori, quelli del Sinaloa, del Golfo, del Chihuahua, facevano la voce grossa ma creavano indotto - l'unico - alle comunità dei campesinos, dando vita anche quel culto à la Al Capone che insieme alla Santa Muerte è diventata parte integrante dell'estetica "narcos".

E intanto settori importanti dell'esercito e delle élite militare che si trasformavano in sicari e trafficanti (e infine loro stessi un cartello, quello terribile degli Zetas che ha radicalmente alzato il livello della brutalità negli omicidi e nelle stragi ), e così si ha la frammentazione delle guerre territoriali che durante tutti gli anni 2000 hanno soggiogato le città di Frontiera - Ciudad Juarez è la località più nota ) - trasformandole in veri e propri fronti di guerra e di palestra per le atrocità più varie, dalle sparizioni forzate, agli stupri, alle stragi. Vere e proprie aree di allenamento per i Cartelli dove poter affinare i mezzi di coercizione e tortura verso la popolazione ma anche verso il nemico - lo Stato e le organizzazioni rivali - anche grazie a mezzi - ben prima dell'ISIS - come YouTube che contengono centinaia di migliaia di video congegnati per incutere paura e mostrare la propria forza.

«Stiamo assistendo alla definitiva
interazione e integrazione con il sistema.»

Tutto questo ha portato il Messico tra il 2007 e il 2012 ad avere migliaia di morti e di stragi, un clima di sfiducia e paura in ogni angolo del paese che ha portato a rieleggere un rappresentante del PRI, proprio quel partito unico al potere per 100 anni responsabile della disgregazione istituzionale dello stato nato anche dalla Rivoluzione di Emiliano Zapata ucciso a tradimento nel 1917, esattamente centanni fa. Negli ultimi 4 anni l’atteggiamento del Partito Rivoluzionario Istituzionale ha in qualche modo cambiato l’impostazione della guerra alla droga ma ha finito, e tra poco capirete perché, a sancire per certi versi quello che è oggi il “Narcostato” messicano. L'arresto del capo dei capi El Chapo alcuni cambiamenti a livello legislativo, penale e militare, non hanno allontanato la violenza della strada e non hanno interrotto il business della droga verso gli Stati Uniti, ma hanno - a nostro avviso - solamente cementato quella pax mafiosa di cui Buscaglia parla. Oggi il Messico vive una crisi economica ancora più profonda di qualche anno fa, le multinazionali stanno "arando" il territorio portando sfruttamento sotto forma di lavoro e trovano come mediatori on the ground gli uomini dei Cartelli, che garantiscono la pace e regolano le economie. Stiamo assistendo, come spiega Bataglia, alla "definitiva interazione e integrazione con il sistema di protezione e gli apparati burocratici, politici e di polizia".

Una pace mafiosa che è sempre e in continua evoluzione, che negli ultimi due anni ha avuto un incremento della violenza, causata forse dal vuoto di potere lasciato nel Sinaloa ma anche dall'aggressività dei nuovi drug lords come El Mencho e del Cartello Nuova Generazione di Jalisco che si intreccia con uno Stato totalmente assoggettato e legato, su fino alle altissime cariche istituzionali, all'economia dei Narcos. Così quello che Los Zetas, Cartello di Sinaloa, Familia Michoacana, Cavalieri Templari ed altri hanno fatto per anni (quasi 100000 morti, almeno 25000 desparecitos, sfruttamento dei migranti, omicidi politici, omicidi dei giornalisti) sta riaccadendo di nuovo, con nuovi protagonisti (CNGJ) e grazie anche al gradito 'aumento della domanda di eroina negli Stati Uniti (il Messico è il terzo produttore al mondo di papaveri). Gli scontri per il potere ci dicono che, di nuovo, ci siamo e che la violenza e la guerra mietono ancora più vittime tra i civili. E così tutto è compromesso, il mondo di sotto combacia con il mondo di sopra, i poteri economici legali e illegali discutono e fanno accordi con parti dello Stato. E sempre più spesso relazioni di interesse si scontrano per il dominio di un territorio. E chi ci va di mezzo? i danni della falsa guerra al narcotraffico ricadono sui cittadini e le cittadine. Soprattutto le parti attive socialmente: militanti politici, giornalisti, preti, e popolazione critica vengono uccisi o fatti sparire. Com'è successo con i "43 di Ayotzinapa", una delle storie più agghiaccianti degli ultimi anni: "il 26 settembre 2014, 43 studenti dell'istituto magistrale 'Raúl Isidro Burgos' di Ayotzinapa sono stati sottoposti a sparizione forzata a Iguala, nello stato del Guerrero. I resti carbonizzati di uno di loro sono stati ritrovati alcune settimane più tardi. Gli altri 42 risultano ancora dispersi" (Amnesty international ha ricostruito gli avvenimenti della tragedia qui).

Soldato bavaglio la guerra dei narcos rolling stone

Un evento, quello dei “43 che ha portato alla luce – se no la completa verità – per lo meno i traffici (sulla rotta di Chicago) e l'incapacità che rasenta la complicità degli organi dello Stato, locale e federale. In Messico siamo oggi davanti a dati che fanno tremare: solamente nei primi sei mesi del 2017 ci sono stati 12.000 casi di omicidi e ben 27 stati su 32 oramai sono coinvolti e subiscono un aumento del tasso delle uccisioni e della criminalità. Infine, giusto per dare un'ulteriore idea della situazione messicana, nel 2016 la guerra in Siria ha causato la morte di 50.000 persone ed è quella che ha fatto più vittime nel mondo, ma il conflitto "a bassa intensità" in Messico è al secondo posto in questa classifica della conta dei morti: oltre 23.000 le persone uccise, superando le guerre in Iraq (17.000 morti) e in Afghanistan (16.000 vittime). In questo luogo del pianeta dove lo Stato è in crisi, dove la guerra è presente e futuro, dove i diritti umani sono un eufemismo, tutte le forze legali, semilegali e illegali in campo sanno che per mantenere l'equilibrio di una pace sempre in bilico significa anche "spingere" in certi ambiti decisivi, nella potente economia del turismo e nell'arma di distrazione di massa, il calcio. Anche se - anche qui- si può facilmente ipotizzare la permeabilità di questi settori.

Il massimo campionato - La Liga Messicana - è tra i tornei più visiti al mondo (subito dietro a Premier League, Bundesliga e Liga) e da qualche anno attira anche giocatori e allenatori di livello o connazionali tornati in patria dopo aver giocato in Europa come Rafa Marquez. Rafa è considerato il più forte difensore messicano di tutti i tempi, ha vinto tutto giocando sette anni al Barcellona e dopo essere passato da noi (a Verona) e negli States è tornato a casa per giocare con gli Atlas di Guadalajara. Bene, qualche settimana fa - una indagine del Dipartimento del Tesoro Usa ha messo sotto accusa 43 società messicane tra cui un Casinò e guarda caso un club di calcio - Marquez è stato inquisito e i suoi beni negli Stati Uniti congelati.

Secondo ma primo in ordine di importanza, in questo scenario di guerra il turismo è forza economica e forza pacificante, e bisogna dire che il Messico é un paese sicuro per i turisti. I visitatori generano ricchezza, una ricchezza possibile solo se si sentono sicuri. Le mete di grandi alberghi e viaggi internazionali sono lontane da morti e sparizione forzate. Ad Acapulco -negli anni '80 icona del turismo anche qui in Europa - hanno visto il dramma della narcoguerra lacerare una città, solo negli ultimi mesi la meta sulla costa del pacifico è tornata "tranquilla" e le attenzioni dei potentati sono tutte rivolte a farla "vivere" di turismo come succede a Città del Messico, Palenque e nello Yucatan, a Cancun e Toulum.

Il turismo è un bene su cui guadagnare e con cui giustificare grandi opere e grandi progetti dove arricchirsi speculando a spese dello stato marcio e corrotto. Parlare di Messico oggi è difficile, raccontarne i fatti e gli eventi è difficile. Non abbiamo volutamente citato il Muro di Trump, e non abbiamo spiegato quanto la crisi economica sul confine con i “gringos” stia cambiando la demografia di alcune aree, non abbiamo citato il confine sud del Messico dove gli zapatisti continuano a resistere organizzando forme di governo autonomo nel Chiapas assediato dai trafficanti di uomini e donne provenienti da tutto il Sud America. Non abbiamo parlato di giornalisti come Rubén Espinoza, trovato morto in casa dopo infami torture e da ampi settori della società civile definito “vittima di omicidio di stato“, non abbiamo parlato delle comunità che in tutto il Messico si stanno organizzando in gruppi di difesa popolare per tenere viva la speranza in una quotidianità difficile. Non abbiamo parlato delle magliette del Chapo o di Alberto Carrillo Fuente che nei mercati hanno sostituito quella del Che. Non abbiamo parlato della musica, del "narcocorrido" le canzoni che omaggiano i Cartelli e che hanno creato una vera e proprio narcocultura. Quel che succede in Messico è tragico e indegno. E la storia di un paese in guerra - spesso per un pugno di pesos – o semplicemente per una qualche forma di vantaggio individuale. Storie d’interesse e la vita umana che sembra aver solo per la ricchezza che genera o porta. Chissà, forse il Messico ha “studiato” l’Italia, e i rapporti stato-mafia. Storie nelle storie.